«Meno prediche e più ascolto»

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di Monica Zicchiero, in “Corriere del Veneto” del 17 febbraio 2012

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Non lo cercano a messa, nell’eucaristia, nella confessione e men che mai nelle parole del Papa. Eppure i cittadini del Nord Est Dio riescono a trovarlo. Nella preghiera solitaria, nella ricerca di armonia, nella condanna del lavoro nero e dell’evasione fiscale. Ma non nella Chiesa, nel modo nel quale gestisce i suoi beni, Imu compresa. Ecco, «2012 – Fuga dalla Chiesa» potrebbe essere il sottotitolo della ricerca realizzata dall’Osservatorio Socio-Religioso del Triveneto di Alessandro Castegnaro. La ricerca si chiama «Nord Est. Una religiosità in rapida trasformazione», è stata realizzata in vista del convegno Aquileia 2 di aprile e sarà discussa sabato al Centro Cardinal Urbani di Zelarino, a Mestre, nel seminario «Presente e futuro della religiosità del Nord Est».

Un’indagine franca, che non nasconde nulla e considera dato allarmante il fatto che a scappare più veloci siano i giovani, le donne e i laureati. Come dire che la Chiesa non è attraente per le persone più interessanti, quelle che pongono più interrogativi. E se le persone interessanti vanno altrove, cosa resta nelle parrocchie? Scranni vuoti, neanche i bambini del catechismo «vanno tutti a messa la domenica, anzi», ammette Don Renato Marangoni, segretario del comitato preparatorio di Aquileia 2. Quei banchi vuoti suggeriscono il cambio di strategia: «dalla pastorale delle campane alla pastorale dei campanelli», suggerisce monsignor Lucio Soravito De Franceschi, vicepresidente del comitato preparatorio del Convegno Ecclesiale del Nord Est. Uscire dalle parrocchie e andare a cercare le persone dove vivono e non per proporre loro prediche. Ma per ascoltare. «Dalla pastorale dell’azione, alla pastorale della relazione – spiega – mettere al centro le persone, falle sentire a loro agio, non mettersi a fare le prediche ma ascoltare e stimarsi in ciò che di positivo c’è nel cuore». Una rivoluzione copernicana per la Chiesa, un ritorno ai fondamentali dopo secoli di precetti e sacramenti. Ma necessaria. Sui media torna in questi giorni la campagna pubblicitaria che invita a scegliere l’ora di religione a scuola. Eppure l’81 per cento dei ragazzi di quinta superiore la frequenta. «Perché è l’unico luogo nella scuola nel quale si parla della vita, dei temi che altrove non trovano spazio, del rapporto con gli altri, del bene e del male», sintetizza Castegnaro. All’oratorio va solo il 20% dei diciottenni, invece di religione a scuola si vuole parlare «è l’ultima chiamata alla spiritualità prima di congedarsene fino ai momenti cruciali della vita», analizza. Prendi la spiritualità e mettila da parte, si potrebbe dire.

E la voglia di spiritualità a Nord Est, dice la ricerca, resta forte: oltre il 45% dei giovani fino a 29 anni, 70% nei trenta-quarantenni, si arriva al 90% fino a 74 anni. L’indagine è stata condotta analizzando 2.136 questionari equamente distribuiti ad adulti tra i 18 e 74 anni nati e residenti tra Friuli Venezia Giulia, trentino Alto Adige, nel quadrilatero del Veneto «bianco» tra Treviso, Padova, Verona e Vicenza e il resto della regione con Rovigo, Belluno e Venezia, che «è la diocesi più secolarizzata del Nord Est», sottolinea Castegnaro. La prima sorpresa è che non c’è tanta differenza tra la locomotiva d’Italia e il resto del paese, non sui temi fondamentali: l’atteggiamento verso gli immigrati (uno su tre molto contrariato dalla loro presenza, due moderatamente infastiditi) e sulle loro religioni (nelle quali tre quarti vedono importanti verità da scoprire, sulla condanna unanime dell’evasione fiscale e del lavoro nero (dal-1’85 al 95%), mentre sulla convivenza c’è maggiore accettazione (45,6% contro la media italiana del 26%), e si prega un pochino di più, ma insomma la differenza è davvero poca cosa, tanto da spingere gli autori della ricerca a dire che i discorsi sulla specificità di questa parte d’Italia «appaiono sempre più parte di un’ideologia del Nord Est, che della realtà».

Si va più veloci, dunque, ma in quale direzione? Quella della personalizzazione della fede. Quasi tutti conoscono il proprio parroco (solo il 12,7% non sa chi sia), ci si parla anche (il 57%), sentire le prediche sulla castità prima del matrimonio (il 73% non trova nulla di male nei rapporti prematrimoniali), la scomunica dei divorziati (per il 61% non è un fatto grave) e le convivenze (il 79% non le considera disdicevoli) ma a messa ci vanno in pochi: ogni settimana il 28,9 per cento, il 37,5% qualche volta durante l’anno, il 17% mai. Eppure il 75,6% si dichiara ancora cattolico, dato che vent’anni fa, ai tempi di Aquileia i arrivava al 90%. I battezzati calano del 22,7%, dal 96,3% sui nati del 1989 al 73,6% del 2009, anche se la debacle nella popolazione autoctona, nata e residente nell’area, appare meno grave: il 9,2% in meno, sono battezzati gli 88,1% dei cattolici.

Certo, l’immigrazione cambia le proporzioni, ma è soprattutto il modo di essere cattolici che cambia. Crede all’esistenza di Dio il 56%, con quale incertezza ci crede un altro 33,9%, tuttavia la parola del Vangelo viene ritenuta meno attendibile. Gesù è sicuramente figlio di Dio per i153,1%, però la transustanziazione dell’ostia in corpo e sangue di Cristo per il 47,7% è solo un fatto simbolico, non un vero miracolo; nella condanna dell’aldilà crede il 27,5% e invece per il 23,3% Dio salverà tutti perché non può essere cattivo, il 42,6 è incerto sulla resurrezione. In sostanza la fede oggi è meno ingenua, dice Castegnaro.

Ad esser scoraggiante è il giudizio sulla Chiesa cattolica: non positivo per il 61% dei giovani, per quasi il 40% di chi ha tra i 3o e i 59 anni e perfino tra chi ha trai 6o e i 74 anni le bocciature sono al 31,1%. A non piacere è la distanza tra ciò che dicono il Papa e vescovi e ciò che la gente vive (70,1%), il modo in cui la Chiesa usa i suoi beni (66,1%), la morale sessuale (65,1%), l’intervento nelle decisioni politiche (56,1%). E Poi per 1’84,3% a decidere cosa è bene e male sono soprattutto la coscienza individuale (84,3%) e la legge di Dio (66,1%) e papa e vescovi vengono per ultimi (32,4%). 11 bisogno di spiritualità per il 52% dei giovani vuol dire ricerca della pace interiore e dell’armonia. E le donne, tradizionalmente più religiose, sono sempre meno assidue, solo il 14,5 delle ragazze nate nel 1990 dà molta importanza alla religione, e le più critiche nei confronti della chiesa sono le laureate, 58% contro d 48% dei laureati maschi.

Colpa della secolarizzazione, tendenza epocale, o della Chiesa? E’ una delle domande chiave di Aquileia 2. La via, in ogni caso «è interloquire col dubbio, che l’incertezza è sempre domanda di senso. Senza fare prediche, dobbiamo ascoltare i problemi e portare la nostra testimonianza di fede», dice monsignor Soravito. Parlare del paradiso, come dice Celentano? «Parliamo delle fede incarnata», piuttosto. E del – l’Imu? «E’ un’ingiustizia pagare le tasse su strutture come case della gioventù o i luoghi del catechismo con i quali diamo un servizio allo Stato», scuote la testa monsignore.

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