Luci e ombre del governo Draghi

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Il dado è tratto! Dopo i 262 voti del Senato, sono arrivati i 535 della Camera: meno male. Il governo italiano è cosa fatta: bene. E il trasformismo che abbiamo sempre demonizzato può in certi casi essere utile: esatto. Il doppio dei politici sui tecnici “esterni”: forse giusto. Poche donne e molti uomini: peccato… ma non è una tragedia! Preoccupazioni per molti settentrionali e pochi meridionali: una grande sciocchezza! E c’è una destra sovranista e urlatrice nazional-populista fuori dalla storia: pazienza! Ma c’è anche dell’altro.

Perché se ricordiamo bene, nel corso della crisi è stato spesso evocato il “Governo dei migliori”. Aggiungo: evocato e auspicato con molta superficialità e tanta precipitazione. Ed è stato invocato ed atteso, un comandante capo granitico, muscoloso e capace. Con un suo personale governo di ferro ben piantato a palazzo Chigi. Per rispondere così al sentimento diffuso fra gli Italiani, di questi tempi paurosi e alla ricerca di un uomo forte che li tranquillizzi: caratteristica di un regime autoritario come ha rilevato tempo fa il Censis.

Quest’insieme di notizie messe in un unico calderone e date in pasto senza discernimento, grazie ai vecchi e nuovi media, ad una opinione pubblica spaventata, distratta e incerta sul proprio futuro e su quello dei figli, preoccupa. E anche molto.

Preoccupa il disinvolto atteggiamento, da parte della stampa quotidiana, della pletora di giornalisti che rincorrono, la notizia breve e il parlato veloce, delle televisioni e dei social, dove si è sempre taciuto sui pericoli nascosti per la nostra democrazia rappresentativa, quando si vara un governo di esperti. I quali, in quanto tali, difficilmente hanno dei dubbi. Non ammettono il dissenso, la discussione e la mediazione. E sono portati a snobbare il Parlamento e gli inesperti. Tanto sanno tutto loro!

Il modello: “ragazzino lasciami lavorare” faceva forse felice solo il vecchio Platone, che, come dicono gli studiosi, amava solo i governi delle aristocrazie e dei migliori, ma non amava per niente, anzi odiava, la democrazia del popolo e il voto popolare.

Ma veniamo ad oggi.

 

I governi del Presidente

I governi del Presidente non sono nuovi in Italia. Quando tuttavia essi si contestualizzano e si calano nella storia politica e sociale che si vive, come amava raccomandare il sociologo Luigi Sturzo, possono avere significati e aspettative diversi.

Che poi nel nostro caso, proprio il governo Draghi possa (forse) rappresentare l’inizio di un tempo post-ideologico che unisce, che lega i diversi, che rompe i vecchi schemi, e capace di mescolare il passato alla luce di un futuro tutto ancora da costruire, è il solo aspetto positivo nascosto dietro le righe di tutta la vicenda. Ed è solo da augurarselo con quel pizzico di ottimismo che non guasta mai. Di un tempo cioè che una volta presa coscienza che “siamo tutti sulla stessa barca”, per dirla col ‘compagno’ Bergoglio, e che in prospettiva dobbiamo remare tutti insieme collaborando ed evitando i conflitti, ci ritrovi più uniti e ci faccia necessariamente superare, non solo per l’emergenza che viviamo, le vecchie categorie politiche orizzontali ideologiche che abbiamo ereditate dalla storia: destra, sinistra, centro.

Senza tuttavia concedere nulla ai populismi del né di destra né di sinistra, ma caso mai, e se proprio ci teniamo, ce le faccia almeno ridefinire con la speranza che sappiano mantenere rigidamente fisso il timone verso un europeismo politico. E che, sorretti da Norberto Bobbio, ci mettano nelle condizioni di distinguere sempre fra eguaglianza e diseguaglianza. Uno studioso, Bobbio, che tra le altre cose raccomandava proprio agli intellettuali e ai “migliori” che: “Il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non già di raccogliere certezze”.

 

Gli esperti al governo

Sono da giorni convinto – e non sono solo, grazie a Dio – che con l’incarico a Draghi stiamo tutti guardando il dito e non la luna. Mattarella ha fatto più del suo dovere. E Draghi è bravo. Non ci sono dubbi! Draghi ha un ottimo profilo etico e professionale. È un uomo responsabile e serio. Parla poco e non ama i social. Ed è, nel suo campo economico-finanziario, super-competente. Bene, anche perché raccoglie ampi consensi: da un recentissimo sondaggio Winpoll per Il Sole 24 ore, risulta che ben 2/3 di italiani hanno fiducia nelle misure di Draghi anche se gli suggeriscono di mettere al primo posto le politiche per favorire l’occupazione e la formazione. Draghi, se crede ai sondaggi, è avvertito.

Detto tutto ciò, abbiamo completamente rimosso e stiamo tuttavia dimenticando, che quelli che ne escono con le ossa rotte, forse da guarire in lunghi anni se non è già tardi, sono la politica italiana, i partiti italiani, assieme alla qualità della classe politica italiana e delle élite culturali italiane. Citando alcuni dati Censis, il 76% degli italiani non ha oggi fiducia nei partiti, tenendo conto che la sfiducia sale all’81% tra gli operai, e va all’89% tra i disoccupati.

A mio avviso partiti e classe politica sono sfiduciati e delegittimati già da un po’ di tempo, non solo per aver preso ultimamente in prestito da uno studio legale l’avvocato Conte consacrando così un antiparlamentarismo già in fase avanzata, ma anche per aver dimostrato al mondo intero la loro incapacità di sapere (e potere) gestire una crisi che tutta Europa sta dimostrando di sapere (e potere) gestire – bene o male e con più o meno errori – nel rispetto delle più semplici ed elementari regole democratiche e parlamentari di routine. Senza l’aiuto di governi del Presidente. E soprattutto senza aver bisogno di “tecnici esterni” nel Governo. Se è tutta colpa del Recovery plan, e della sua amministrazione, allora la delegittimazione preoccupa di più, perché è molto più subdola. Sino a fare pensare male sul modo scorretto di gestire i soldi da parte dei politici e dei burocrati italiani. Anche di fronte a una classe politica che ormai ama il protagonismo, la politica spettacolo e i cinguettii, e con partiti, partitini e gruppi personali, i governi di un Paese non dovrebbero mai essere governi tecnici, perché augurarsi tali governi con dei tecnici unici e insindacabili possessori delle verità significa augurarsi governi forti ma non democratici.

 

Remiamo insieme …ricordando Bergoglio

Auguriamo a questo punto al nostro Paese che, proprio grazie a Draghi e al rimescolamento delle carte ideologiche che la sua presenza potrebbe promuovere e ha iniziato a promuovere, si esca fuori al più presto dal “momentaccio”, sanitario e non, che attraversiamo. E, soprattutto, possiamo uscire da quello che ci aspetta nel post-covid, quando occorrerà essere più uniti e coesi per affrontare il signor futuro pieno di incognite.

Perché il vero nodo è proprio quest’ultimo. Un Paese, cioè, in grado di uscire fuori dalla rivoluzionaria e duratura crisi epocale che viviamo e vivremo, provocata da radicali cambiamenti sociali e culturali (lavorativi, tecnologici e climatici) e dunque necessariamente politici, con cui dovremo fare i conti nel futuro iniziato da tempo.

Non bisogna essere per forza cattolici per ripetere assieme al cosiddetto “marxista” Bergoglio, come dicevo, che questo futuro ci trova tutti “sulla stessa barca”. Dobbiamo solo sperare che questo futuro non abbia ogni volta e sempre più bisogno – in particolare nei momenti critici e di emergenza – di grandi e pur rispettabili nomi esterni alla dialettica politica e ai partiti politici. Non abbia, cioè, bisogno di governi tecnici lontani dal Parlamento, e sappia e possa risolvere le crisi al suo interno con una sua classe politica selezionata agli inizi e formata per bene, senza la tombola delle primarie e senza ricorrere agli studi legali e alle Università, o a bravi banchieri. Draghi è autorevole. Il suo governo è autorevole. E “…tranquillizza l’Unione Europea”, come ha detto Prodi

Auguri a Draghi e ai suoi ministri di buon lavoro.

 

Nino Labate

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