Legge Rosato: i presupposti del giudizio

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Per arricchire il confronto sulla riforma della legge elettorale, avviato su c3dem dalle considerazioni di Sandro Campanini e dai contributi che abbiamo ricevuto dal prof. Mario Chiavario e da Guido Bodrato, pubblichiamo qui l’intervento che Stefano Ceccanti, costituzionalista, già senatore Pd, ex presidente della Fuci, ha scritto per Adista (e pubblicato in Adista Segni Nuovi n. 37 del 20 ottobre)

 

  1. Chiarire il parametro di giudizio: si migliora o no rispetto alla legislazione vigente?

Per arrivare a un giudizio dobbiamo anzitutto chiarire quale parametro usiamo.

Se ognuno parte dal proprio  sistema ideale ovviamente è difficile che possa essere anche lontanamente soddisfatto. Forse, più che ragionare per principi non negoziabili, conviene allora partire da un parametro più realistico: la legge migliora o peggiora le norme che esistono in questa momento, lette alla luce di alcune finalità?

Le critiche più pregnanti alla legislazione vigente sono a mio avviso le seguenti:

– sul piano della rappresentanza appare altamente discutibile il ricorso alle preferenze, peraltro diverso tra la Camera (preferenza doppia di genere) e il Senato (unica, peraltro in circoscrizioni regionali, una dimensione del tutto folle per costo delle campagne); le preferenze sono un rapporto di forza tra correnti e lobbies perché, specie su una dimensione di scala abbastanza ampia tra l’elettore che vota e il candidato, hai bisogno di un’organizzazione ad hoc rivale di quella che hanno i tuoi rivali di partito contro cui ti giochi l’elezione. È vero che la legge Calderoli con lunghissime liste bloccate che rendevano impossibile la conoscenza tra eletti ed elettori ha determinato per reazione una spinta a rivalutare le preferenze, ma la nostra memoria dovrebbe essere sufficientemente lunga per ricordare come finì la cosiddetta prima Repubblica;

– sul piano della governabilità, in un quadro di frammentazione dell’elettorato, mentre nel recente sistema dei partiti eravamo abituati a veder iniziare la legislatura a un Governo legittimato dagli elettori, è oggi quasi certo che ciò non potrà accadere; essendo i partiti deboli e poco capaci di accordi, l’ipotesi più probabile è che si stabilizzi nella formazione dei governi quella supplenza presidenziale che sin qui si manifestava, se necessario (ed è accaduto più volte), nella seconda parte delle legislature.

  1. Prima di giudicare riepiloghiamo i punti chiave della legge

Come interverrebbe allora la legge Rosato? Riepiloghiamo i punti chiave, senza darli per scontati prima di procedere alla comparazione con le norme vigenti.

La proposta di riforma è identica per le due Camere.

L’elettore dà un voto unico che vale per una lista proporzionale bloccata corta di massimo quattro nomi in una circoscrizione plurinominale e per un candidato nel collegio uninominale.

Le coalizioni devono essere omogenee sul piano nazionale.

Nei 232 collegi della Camera (225 in 18 regioni, 1 in Val d’Aosta e 6 in Trentino Alto Adige) è eletto il candidato che arriva primo. 12 sono eletti come sempre nei collegi esteri. I restanti 386 seggi sono attribuiti con la proporzionale, utilizzando il metodo del quoziente: gli sbarramenti sono del 10% per le coalizioni e del 3% per le liste, nonché del 20% regionale (o due collegi vinti) per le liste delle minoranze linguistiche.

Al Senato, invece, i collegi sarebbero 116 (109 in 18 regioni, 1 in Val d’Aosta e 6 in Trentino Alto Adige). 6 senatori restano eletti all’estero. I restanti 193 sono eletti con la proporzionale: con formula identica a quella illustrata per la Camera.

  1. Differenziare il giudizio tra rappresentanza e governabilità e due postille

Dal punto di vista della rappresentanza il sistema è decisamente migliore perché adotterebbe soluzioni europee (liste bloccate corte e collegi uninominali maggioritari) invece dell’anomalia – Italia sola tra le grandi democrazie – del voto di preferenza.

Dal punto di vista della governabilità, invece, il cambiamento è obiettivamente limitato, incrementale, nel senso che se le opzioni degli elettori restano frammentate, senza una lista o coalizione che superi il 40%, allora dalle urne non uscirà un vincitore e si dovrà far ricorso alla ricerca di difficili coalizioni post-elettorali con ruolo rilevante della Presidenza della Repubblica.

Vi è solo una differenza, significativa anche se non risolutiva, nel senso che si inserisce un limitato correttivo maggioritario legato ai collegi, non solo matematico ma anche di tipo psicologico (nel collegio la spinta è al voto utile tra i soli candidati potenzialmente vincenti), mentre nelle leggi vigenti la disproporzionalità era solo dovuta allo sbarramento e alla soglia del 40%, difficilmente raggiungibile, per accedere al premio Camera.

I problemi relativi alla governabilità sono quindi rinviati alla prossima legislatura, ma è alquanto dubbio che essi possano essere affrontati efficacemente solo sul piano elettorale.

In sintesi, quindi, un miglioramento, pur parziale, si sta comunque affermando e sarebbe comunque sbagliato non apprezzarlo.

Infine due postille. La prima è sulla costituzionalità: molte scelte potevano certo essere diverse, ma evitiamo ogni volta che non siamo d’accordo con una di esse di tirare in ballo l’incostituzionalità. È un argomento inflazionato, in questo caso poco convincente. La seconda è sul voto di fiducia, certo spiacevole. Ma come si fa a fine legislatura, quando i singoli deputati hanno lavorato da anni nelle circoscrizioni esistenti, pensare che la approvino alla Camera in un centinaio di votazioni a scrutinio segreto, col vantaggio di non metterci la faccia, senza cedere alla tentazione di riflessi corporativi? L’anomalia è il voto segreto alla Camera su una materia che non è di coscienza e infatti al Senato non è previsto. Penso che il voto di fiducia fosse lo strumento per il bene possibile, per ottenere questa riforma comunque migliorativa. Per carità, si può certo non condividere questo giudizio, però allora bisogna sostenere che il bene possibile sarebbe stata la conferma delle leggi vigenti. Le possibilità alternative erano solo riforma con fiducia o status quo senza fiducia. Posta questa onestà intellettuale, ognuno tragga le proprie legittime conclusioni.

 

Stefano Ceccanti

 

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  1. Quando si fa politica …per amministrare, anche con l’attenzione al bene comune, ci vuole anche una certa dose di realismo. Credo che l’intervento di Ceccanti sulla riforma proposta da Rosato, ne sia una testimonianza, insieme ad una dimostrazione di qualificata professionalità. Molte parole che hanno fatto rumore o certi distinguo, stile Grasso, sanno molto di bruciato….anche quando vengono imbelletate con la difesa della democrazia.

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