L’assenza delle donne

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Il Sinodo sulla famiglia appena terminato è certamente una tappa non solo positiva ma importante del rinnovamento della Chiesa di Gesù aperto finalmente in questo pontificato, dopo il troppo lungo  intervallo dal Vaticano secondo. Questo è il dato positivo da cui ripartire, e ripartire con fiducia e determinazione, per adeguare la Chiesa agli uomini e alle donne contemporanei.

Vorrei richiamare il dovere di una riflessione collettiva a partire da alcuni termini che hanno, mi pare, un valore chiave.

I primi due, entrati in modo netto nei lavori appena conchiusi, e determinanti per l’ulteriore riflessione, mi paiono “discernimento”  e “Chiesa”. Non si lavorerà mai abbastanza sul senso che assume la parola discernimento in luogo della parola “dottrina”. La parola “dottrina” resta pur sempre un rimando pratico-operativo nella organizzazione comunicativa e pedagogica delle verità di fondo, un espediente necessario, che va usato con distacco e prudenza,  consapevoli del rischio che porta con sé di pigrizia mentale e di passività di approcci. Ma la vita spirituale, la coerenza interiore dei singoli non si costruisce, né per sé né a favore degli altri, sulla dottrina. Si costruisce con il perenne ripensamento, con le riscoperte, con l’emergere delle contraddizioni e il tentativo di superarle, con la scoperta di vie nuove e di potenzialità inedite. I Santi vivono molto di più di discernimento imprevisto che di rimandi alla dottrina.

E la Chiesa non è una struttura immobile costruita una volta per tutte. La ecclesia è, non solo per un dato etimologico, un’assemblea, una somma variabile e complessa di soggetti che si incontrano nella coscienza del loro interesse comune e di tutte le loro variabili, per divenire sempre più comunità, senza mai chiudersi su se stessa e identificarsi nelle sue forme visibili. Ritrovare l'”ecclesialità” originaria della Chiesa, con i suoi dinamismi interni, e le sue variabili storiche, è uno dei compiti fondamentali del passaggio che stiamo vivendo.

E ci sono invece altre due parole che sono state ancora troppo assenti. La prima è “donne”. La loro assenza, come tema e come soggetti, ha il tono di un silenzio urlato. Ci sarebbero molte cose da dire e non c’è qui lo spazio. Ma vorrei esprimermi con una domanda. Siamo sicuri che, se ci fosse stata più attenzione, teorica e teologica, operativa e pedagogica, nei secoli passati e nei decenni vicini, al dato di fondo dell’essere “due” dell’umanità – e non si fosse invece analizzato l’umano, nella filosofia, nella teologia e nella storia, identificandolo col maschile e ignorando il femminile –, le spinte alla omosessualità sarebbero state quelle che sono oggi? Non c’è un rapporto fra la mancata attenzione, teorica e pedagogica, ai significati dell’essere “due” e l’emergere di un significato della parola “genere” che va oltre quel dato? Non sarà proprio di qui che si deve ripartire?

La seconda parola che bisognerà pure decidersi a coniugare con la prima è “sacro”. Non è proprio l’esclusione delle donne dal “sacro”, dal sacro cristiano, il segno del nostro non essere “due”? Le donne lavano regolarmente i piedi sporchi del loro anziani malati, ma non lo fanno nelle celebrazioni rituali delle solidarietà. La carità femminile resta fuori dal sacro cristiano, è segno di inferiorità, non di missione, checché se ne dica in letteratura. E un “sacro” senza le donne che lo agiscano anche formalmente non è un sacro cristiano. Maria non può restare un’eccezione.

 

Paola Gaiotti de Biase

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  1. Si, effettivamente alla parola UOMO si dovrebbe più giustamente citare la parola: UMANITA’ sempre e nella Chiesa, ma anche nel mondo laico la dove si dichirano i Diritti dell’uomo,ecc..

  2. Sono in totale condivisione con Paola. Invece sono in leggero dissenzo nell’ultima parte del suo intervento, quella che riguarda l’uso della parola “sacro” pronunciata formalmente quando si parla di attività femminile nella Chiesa. Il sacro femminile è presente da tempo nelle attività di molte parrocchie ( che poi sono quelle che veramente contano per la diffusione del nuovo che sta emergendo) come stimolo intelligente e riconosciuto nelle nuove realtà cristiane che, nonostante tutto, emergono in questi anni. Le donne sono riconosciute e apprezzate per il loro specifico di intuizione, di competenza e di attività risolutive pratiche e costruttive. Forse non si può generalizzare ma questa realtà di compartecipazione è possibile solo se le donne sono veramente consapevoli del loro ruolo specifico “diverso” e altrettanto decisivo come quello degli uomini nella famiglia, nella società e nella Chiesa. Forse è per questa consapevolezza che nella Chiesa, nella famiglia e nella società si dovrebbe lavorare di più.
    Rachele Acquaviva Filippetto

  3. La domanda di Paola é ben posta e richiederebbe un approfondimento storico e una riflessione sulla attualità.
    Non si sono ancora tratte tutte le conseguenze teoriche e pratiche dal “maschio e femmina li creò, o lo creò”. Certamente la struttura ecclesiastica solo maschile determina un messaggio equivoco e non corrispondente alla realtà della vita. Persino i cantori della Cappella Sistina sono tutti maschi ancora oggi, nonostante le aperture verbali di papa Francesco. Fa impressione oggi vedere tante celebrazioni, assemblee liturgiche o meno tutte rigorosamente maschili e in genere di uomini anziani. Come può apparire madre un chiesa che si presenta così?
    Certamente il tema del sacro nel rapporto con il femminile é di attualità, almeno fra le persone più sensibili e meno vincolate agli aspetti tradizionali.

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