L’Assemblea dei quadri CISL tra lavoro e povertà

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La Cisl si appresta a celebrare la propria Assemblea Organizzativa, momento importante di dibattito a tutti i livelli del sindacato per fare il punto della situazione.

L’aggettivo “organizzativo” naturalmente circoscrive la materia in discussione, ma non sono mancate comunque in passato Assemblee Organizzative che hanno mirato alto a proposito di organizzazione e delle sue prospettive.

Qua e là nei “Temi per la Conferenza nazionale organizzativa” vengono citate questioni di grande rilievo, ma in modo veloce, senza dare loro un’attenzione specifica e proporzionata. Per fare solo un esempio, si parla di “riconversione ecologica della società”: che cosa significa? dovremmo prepararci organizzativamente per affrontare il problema?

Tutto il documento, a prescindere dai temi più strettamente organizzativi, tra cui svetta decisamente quello dei servizi, ospita un unico grande tema fondamentale: quello di un sindacato che non si limita a rappresentare i lavoratori e i pensionati, ma si apre ad una dimensione sociale più vasta (“lavoro, sociale e comunità”, “la povertà è un tema nostro”, “rappresentare comunità locali”, “periferie una nuova centralità per l’azione sindacale”: sono alcune tra le molte espressioni  che ricorrono nel testo ).

Per chi, come il sottoscritto, da tempo sostiene che non abbiamo più un mondo del lavoro organizzato e strutturato ben distinto da un’area sociale povera, limitata e separata, ma che i confini sono oramai slabbrati, che molti lavoratori sono poveri, oppure possono diventarlo  perché guadagnano poco, saltuariamente, sono precari, fanno lavoretti, lavori non considerati, lavori in nero, lavori pagati e non pagati, questa scelta appare essenziale per posizionare il sindacato di fronte a uno dei maggiori temi sociali attuali.

Se mi è consentita un’osservazione, questa scelta strategica meriterebbe di essere accompagnata da una solida riflessione fondativa che la motivasse, la ricollegasse alle altre scelte fondamentali del sindacato (ad esempio, quella della partecipazione qui stranamente dimenticata), delineasse quindi una prospettiva, che non si riducesse al proselitismo.

Non c’è chi non veda che qui si gioca una partita decisiva del futuro del sindacato: la prospettiva di un lavoro sempre più disarticolato e frammentato (in larga misura povero) è un’immagine plausibile di ciò che ci attende: non più un lavoro stabile garantito, ma, al contrario, un miscuglio generalizzato di lavoro e povertà e sullo sfondo la minaccia di una società dove il lavoro  manca.

Se poi guardiamo la situazione mondiale, realtà entro cui siamo sempre di più immersi, vediamo che l’Africa ha un 70% di lavoratori “informali” e che i suoi abitanti nel giro di 30 anni passeranno da un miliardo e duecento milioni a quasi tre miliardi di persone: come dice uno studioso africano, “non penserete che questi siano destinati a diventare lavoratori salariati a tempo pieno  in forma stabile?”.  Bisognerà invece pensare che, accanto a un’economia più propriamente capitalistica, esistano altre economie, economie diverse che possano offrire lavoro dignitoso (decent work, dice l’ILO), per l’Africa, per gli altri continenti, ma sempre di più anche per gli USA e per l’Europa.

Segnalo dei problemi solo per dare un’idea delle questioni che si aprono; si può decidere di partire dalla pratica (incominciamo a sperimentare, poi vediamo) e pensare successivamente alla “teoria”, purché non ci si dimentichi che della teoria (cioè di una visone politica lungimirante, che guardi al periodo lungo) c’è bisogno se si vogliono aprire delle prospettive vere e significative tanto per i settori deboli, quanto per la società.

Il sindacato non ha il compito di svolgere un’opera assistenziale (può farlo solo occasionalmente e marginalmente, in casi particolari); ha invece il compito di svolgere un’azione politico-sociale, cioè fornire risposte strutturali per risolvere i problemi sul piano economico, contrattuale, legislativo: è un lavoro di lunga lena e impegnativo, a cui poi ricollegare logicamente l’attività di carattere organizzativo.

Questi temi mi riportano a una convinzione personale profonda: più che di Congressi (necessari) dove si guarda molto alle elezioni alle diverse cariche, più di assemblee (utili) dove si esaminano i problemi organizzativi, ciò di cui oggi avrebbe un grande bisogno il sindacato è un’Assemblea Programmatica a tutto campo dove si parli solo di idee, di pensiero, di concezioni, per mettere a fuoco il futuro del sindacato e la sua natura di attore della trasformazione sociale nella società globale.

 

Sandro Antoniazzi

One Comment

  1. Non so se un’Assemblea Programmatica, come propone Sandro Antoniazzi, sia ciò che serve al sindacato, intendendo alla CISL visto che parla dell’Assemblea Organizzativa della CISL. Ciò che so è che per gli stessi temi che Sandro richiama, con il lavoro al primo posto, la riflessione nella CISL, certo importante, è destinata all’inutilità se non diviene riflessione unitaria con CGIL e UIL. Del tema dell’unità sindacale, o meglio della prospettiva del sindacato unitario come condizione indispensabile e strategica per affrontare i molti e importanti temi che la realtà pone, non mi sembra sia oggetto di attenta e profonda riflessione nè nell’Assemblea nè, in generale, nel dibattito sindacale.
    Sembra che la CISL (ma anche CGIL e UIL) non si renda conto che il tempo di credersi al centro del mondo del lavoro e del Paese è largamente superato e che la dimensione dei problemi che si devono affrontare impone di riprendere a dare credibilità al percorso dell’unità sindacale e del sindacato unitario.
    Idea folle? No, ma condizione di sopravvivenza del sindacato confederale e della sua iniziativa, questo sì.

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