La relazione di sostenibilità del debito e la pagella del governo Monti

“Il nuovo governo – dice l’economista che presiede il Comitato etico della Banca Popolare Etica, nel valutare l’iniziativa del governo Monti per la crescita – ci pare abbia concezioni antiche, legate alla dialettica tra privato massimizzatore di profitto e pubblico che redistribuisce attraverso welfare vecchio stampo. Imparare a valorizzare le energie dell’economia civile e della partecipazione dal basso dei cittadini può invece risultare fondamentale per la quadratura del cerchio tra benessere, equità e sostenibilità del debito”.

di Leonardo Becchetti*

apparso sul sito www.repubblica.it  il  31 gen 2012

Il governo Monti ha iniziato il suo cammino dovendo affrontare l’emergenza di un debito pubblico italiano che rischiava di esplodere per via della crisi dello spread. Ha promesso di agire su tre fronti: rigore, equità e crescita. Se vogliamo valutare questa prima fase di percorso dobbiamo proprio partire dall’emergenza su cui si è dovuto subito intervenire. La relazione contabile di sostenibilità del debito pubblico mette assieme con una formula matematica fattori che contribuiscono alla sua riduzione (avanzo primario, inflazione, crescita reale dell’economia) e fattori che contribuiscono al suo aumento (volume del debito pregresso in rapporto al PIL, costo medio del debito). Guardando a questa formula il governo ha sinora agito con molta efficacia su due elementi (avanzo primario e costo medio del debito) riuscendo con il suo attivismo a convincere i mercati della sostenibilità del debito ed evitando che la ”febbre dello spread” portasse nel tempo ad un costo medio del debito insostenibile.

Il successo finale di questa manovra dipende però da un altro dei fattori della formula, ovvero dalla crescita reale dell’economia. E’ qui che sinora i risultati sono più deboli (anche perché la crescita non è direttamente manipolabile dai governi e i risultati di eventuali politiche hanno effetti ritardati nel tempo).

Con i valori di oggi dei fattori sopra descritti il debito è sostenibile, ovvero il rapporto debito/PIL tende a scendere. Ma se le previsioni di recessione si aggravassero solo di poco da quelle già nere di questi giorni (tra -1,6 e -2,2 percento) la situazione tornerebbe rischiosa e i finanziatori potrebbero di nuovo togliere la fiducia all’Italia.

La strada è una sola e coniuga assieme rilancio dello sviluppo ed equità. Il governo deve muoversi d’ora in poi a saldi di bilancio invariati (ovvero non aumentare ulteriormente l’avanzo primario) ed usare tutti gli introiti che spera di ottenere dai tagli di spesa pubblica suggeriti dalla spending review e dalla lotta all’evasione per ridurre le tasse sul reddito e sul lavoro in modo da ridare ossigeno ai ceti medio-bassi che si trovano in grave difficoltà. Deve inoltre procedere con decisione sulla semplificazione burocratica e, se si troveranno risorse, ad investimenti nel settore ICT e nella banda larga.

Esiste però un problema più generale di inquadramento della situazione in cui viviamo che a mio avviso non è del tutto compreso. In un’economia globalizzata nella quale esiste la legge del 30 (salario mensile di quasi un miliardo di diseredati), 200 (reddito mensile di un buon operaio specializzato nell’Est Europa), 1500 (salario in diminuzione di un lavoratore sempre più precarizzato da noi a parità di qualifiche), se pensiamo di ripartire in settori dove la variabile più importante è il costo del lavoro della manodopera non specializzata, non ne usciamo. Dobbiamo invece puntare su tutti quei fattori competitivi “non delocalizzabili” in cui siamo ricchi, come arte, storia, ricchezza del paesaggio e del territorio, beni e servizi di qualità. E dobbiamo imparare a misurare il benessere con “occhiali” diversi imparando a valorizzare quelle risorse invisibili (fiducia, gratuità, capitale sociale) che sono anche alla radice del benessere economico.

Da questo punto di vista il nuovo governo ci pare abbia concezioni antiche, legate alla dialettica privato massimizzatore di profitto e pubblico che redistribuisce attraverso welfare vecchio stampo. Imparare a valorizzare le energie dell’economia civile e della partecipazione dal basso dei cittadini può invece risultare fondamentale per la quadratura del cerchio tra benessere, equità e sostenibilità del debito

Continuando su questo piano si dovrebbe riflettere sul fatto che nelle economie “mature” solo il 10-15 percento del valore aggiunto proviene dalla manifattura tradizionale mentre il 30 percento dai servizi alla persona (sanità, istruzione, servizi sociali). Imprenditore è colui che organizza degli elementi organici o inorganici (materiali, persone) in modo originale creando qualcosa cui la gente attribuisce valore. Negli ultimi anni molte importanti innovazioni trasversali (bio, commercio equo solidale, gruppi di acquisto solidale, last minute market, microcredito, finanza e banca etica, energie rinnovabili, reinserimento lavoro, energy saving companies) hanno contribuito a creare valore economico in modo socialmente ed ambientalmente sostenibile. Lo stesso Lawrence Summers, ex consulente di Clinton ed economista di spicco, ha detto in questi giorni a Davos che ci sono settori dove c’è molta concorrenza ma si creano ben pochi posti di lavoro mentre sviluppando quelli dei servizi alla persona si può creare molta occupazione. Il mondo muove nella direzione di un’economia più civile e non vorremmo che i politici fossero gli ultimi ad accorgersene.

*Leonardo Becchetti è Ordinario di Economia Politica presso la facoltà di Economia dell’Università di Roma “Tor Vergata”. Ha studiato alla London School of Ecomics e a Oxford, E’ presidente del Comitato Etico della Banca Popolare Etica, direttore scientifico della Fondazione Achille Grandi, presidente delle Comunità di Vita Cristiana (la Lega Missionaria Studenti).

Comments are closed.