La pubblicità, cifra del mondo in cui viviamo

| 2 Comments

Se c’è qualcuno che vuole farsi ridere in faccia, non deve fare altro che affermare l’inutilità della comunicazione pubblicitaria. Quella comunicazione che nelle sue diverse configurazioni socioculturali, semiotiche e linguistiche è tesa a convincere i consumatori a comprare un certo prodotto, una certa marca di oggetto, un certo bene di consumo, ecc. E, non per ultimo, quella che condizionerebbe a votare per un certo partito e per un certo uomo politico. Gli investimenti nel settore, peraltro faraonici e tali da mantenere in vita la stampa quotidiana e periodica, la radio, la tv, la cartellonistica, il volantinaggio, i social, ecc., sono lì a dimostrare i vantaggi della pubblicità, basati sulla certezza degli effetti di “persuasione occulta” e su sofisticate strategie di condizionamento dell’opinione pubblica. In questo scenario il consumatore, una volta definito come molecola isolata senza sostegni cognitivi e vagante nel buio, diventa un obiettivo indifeso da colpire con tutti i metodi possibili e immaginabili. Pronto a rispondere agli stimoli pubblicitari senza poter reagire. Succube insomma della manipolazione comunicativa. Come ben sanno gli studiosi, siamo anche in presenza della pubblicità ingannevole. La quale, nonostante le denunce, viene sopportata dal sistema perché fa parte del gioco: per pubblicizzare e vendere un prodotto si ricorre spesso a sotterfugi falsi e a palesi menzogne, così da convincere meglio il destinatario del messaggio, specie se minore, sulla sua bontà e sulla sua buona qualità.

Detta così, la faccenda non avrebbe più seguito. Anche perché sulla spinta al consumo del messaggio pubblicitario c’è della verità. Ma se stanno veramente così le cose sembra strano che ci siano stati e ci siano ancora studiosi, opinionisti, saggisti, donne e uomini di cultura che, messi di fronte al rapporto diretto e passivo tra fruitore di pubblicità e convincimento a comprare, o ad agire o votare in un certo modo, inseriscono dei dubbi sugli effetti determinanti del messaggio. Anche quando esso viene falsificato ad arte. Forse – si afferma – ci sono di mezzo altre cose su cui si indaga poco. Nonostante alcune certezze empiriche, e alcuni riscontri delle ricerche di marketing aziendale, rimangono, infatti, perennemente sospesi diversi interrogativi su cui, come accennavo, si sono concentrati molti studiosi dedicando anni di approfondimenti, e fornendo alcune spiegazioni sulla complessità dei motivi della “persuasione occulta”. La loro ipotesi di lavoro è sempre stata quella che il destinatario del messaggio inserito nel suo target, il lettore, l’ascoltatore, il telespettatore, il navigatore web, siano soggetti attivi e non passivi. Soggetti che riescono a difendersi e a reagire intenzionalmente anche nella scelta del messaggio. I dubbi sulla passività aumentano quando si inseriscono i filtri dei rapporti interpersonali, i contesti sociali e culturali e le mediazioni che un messaggio incontra prima di raggiungere il suo target.

E’ veramente possibile che un supposto indifeso e isolato destinatario, guardando uno spot pubblicitario, leggendo una fake news e quello che gira sulla Rete, si convinca ad acquistare un prodotto, o a votare un certo partito o un certo uomo politico, e a odiare tutto il resto?

I media e le menzogne in politica

Arriviamo a noi. E trasferiamo nella politica e nella democrazia rappresentativa dei nostri giorni queste osservazioni e questi interrogativi. Tolti di mezzo, perché superflui, la storia, le grandi idee, i buoni progetti; scomparsi i grandi partiti di massa del Novecento che offrivano identità e passioni; e subentrando il disamore verso i partiti, anche la politica è, infatti, diventata un grande mercato di domanda/offerta tutto giocato sul presente. Il passato non interessa più. E il futuro ancora meno. Il marketing, con le sue istantanee fotografiche dei sondaggi, entra così con prepotenza nella sfera della democrazia politica, con i suoi marchi, con i suoi studiosi e consulenti sugli effetti di persuasione per votare in un determinato modo, e un determinato candidato. Con la sua propaganda e i suoi effetti di breve e lungo termine. Non è finita. Perché com’è sufficientemente noto, una volta immersi nelle scorciatoie metafisiche della post verità, siamo inoltre di fronte ad un dibattito senza fine sulle c.d. fake news: notizie false, notizie menzognere, notizie che imbrogliano, notizie bufale … chiamiamole come vogliamo, e su cui si è già accumulata un’abbondante letteratura. Con questo particolarissimo “mercato” presente nelle democrazie di tutto il mondo, ci troviamo messi così di fronte agli interrogativi più problematici, ma non nuovi, della nostra società: come si forma l’opinione pubblica nella democrazia politica dei nostri giorni? quanto pesa sull‘elettore e sul libero voto la pubblicità del partito, del candidato? quanto influiscono i passaggi del leader in Tv? e, soprattutto, quanto persuadono le c.d. fake news sulle scelte di voto dell’elettore?

Gli istituti di ricerca e le cattedre universitarie stanno già studiando il fenomeno alla luce delle novità tecnologiche. Ben sapendo che indagare su queste curiosità significa far proseguire la ricerca di un robusto filone di sociologia delle comunicazioni. Antico. Antico quanta forse è antica la sistemazione degli studi sulla comunicazione di massa, con l’avvento prima della radio e dopo della televisione. Mentre sul rapporto falsità/verità, menzogna/verità in politica, un cenno alle provocazioni di una delle più serie studiose del secolo scorso, va fatto. Si tratta di Hannah Arendt. La quale, una volta che ha sfidato gli intellettuali di tutto il mondo definendo “banale” il “male” più tragico del nostro “secolo breve”, riesce a sfidare il nostro buon senso, ricordandoci che l’uso della menzogna in politica non è poi così scandaloso. Questa acuta studiosa, ci ha messo quindi in guardia. E ci ha avvisato che la menzogna è parte integrante della politica, e che essa fa parte del gioco democratico. Dobbiamo rassegnarci. Ma dobbiamo nello stesso tempo stare molto  attenti.

Le “fake news”, le bugie. Ma il cittadino è veramente indifeso?

Le conclusioni della Arendt ci farebbero chiudere il discorso sulle fake news: esse fanno fisiologicamente parte del linguaggio politico e della propaganda. Accanto alla “…paura dello straniero” – come ha recentemente sottolineato papa Francesco -,  grazie alle false notizie ci troviamo allora di fronte anche alla paura che la nostra coscienza sia “pilotata” dall’estero?

E’ a questo punto che il vero problema rimane però un altro. Ed è stato Sabino Cassese che, avendo di mira la crescita dell’ignoranza nella società italiana, lo riassume molto bene recensendo un saggio di Tom Nichols sulla “morte delle competenza”, pubblicato sul Domenicale del Sole 24 Ore: “ … diffusissimo è anche quel circolo vizioso per cui tante persone cercano soltanto conferme a ciò che già sanno o credono … per cui tendono a muoversi entro un ambito delimitato dalle loro convinzioni acquisite, e vogliono che risulti vero ciò in cui credono … o ciò che conferma loro conoscenze, speranze o timori (…) anche attraverso l’esplosione dei Social”. Insomma Cassese mette al centro la debolezza culturale della persona che consuma e crede alle falsità, più che il messaggio falso, o il mezzo in sé. E, nel sottolineare che “l’epidemia dell’ignoranza” regna ormai sovrana sulla democrazia anche in virtù della comunicazione, osserva che le competenze diventano superflue: “Ignoranti e orgogliosi di esserlo” titola infatti la sua recensione.

Cassese richiama vecchi studi sulla comunicazione di massa; sugli effetti dell’esposizione ai media e dell’esposizione selettiva ai messaggi (quando mi reco all’edicola, mi reco con l’intenzione di comprare un determinato giornale e non mi faccio influenzare dall’edicolante o dai giornali esposti); su chi trasmette (la necessità – oggi urgenza per i social – di togliere l’anonimato all’emittente e di conoscere la fonte) e a chi trasmette (la conoscenza del destinatario e del suo contesto culturale e sociale) e con quale mezzo trasmette (radio, Tv, web); sull’importanza dell’influenza personale, dei “leader di opinioni” e delle pressioni dei mondi vitali (famiglia, amici che si frequentano abitualmente, colleghi di lavoro, associazioni) nella decodifica dei messaggi; sul rinforzo di nostri precedenti convincimenti. Sull’efficacia, insomma, della pubblicità nel mercato generale – compreso quello della politica e compresi i sondaggi di opinioni demoscopici – che deve in ogni caso tener conto dei fattori di mediazione sociali. Quelle mediazioni cioè che ci evitano di supporre il lettore, l’ascoltatore, il telespettatore e il navigatore web, isolato e passivo prigioniero dei messaggi tesi a persuadere, e che ci proibiscono di trattarlo da indifeso telespettatore e navigatore nelle mani di un messaggio falso, secondo un banale rapporto stimolo/risposta.

Avviandomi alla conclusione faccio mie le parole dell’indimenticabile Edmondo Berselli, che in un suo breve saggio del 2003 pubblicato sulla rivista “Il Mulino” (La Tv, la politica e l’antidoto del mercato), dopo aver ricordato che “… non è il caso di immaginare un imprinting deterministico delle visioni del mondo proiettate dal sistema televisivo”, e dopo aver sottolineato che l’influenza della televisione è sempre in relazione con le fasce sociali della popolazione, riassumeva il rapporto tra formazione di opinione e televisione in questo modo: “Occorre una visione pessimistica della società italiana per immaginarla come una sudditanza indistinta, dominata dalla potenza intrinseca della televisione … e non si spiega affatto per quale motivo (soprattutto, n.d.r.) i ceti più moderni e preparati dovrebbero essere inerti davanti al piccolo schermo, fino a risultare succubi della sua influenza politica.”

Le raccomandazioni sulla comunicazione del Concilio Vaticano II

Senza nessun intento pedagogico, ma solo per ricordare, in questa sede e in questo sito non è alla fine irrilevante citare il concilio ecumenico Vaticano II. In un documento sui media, contestato ma alla fine approvato da Paolo VI il 4 dicembre 1963 (“Decreto sugli Strumenti della Comunicazione Sociale” più noto come “Inter Mirifica”), i padri conciliari, dimostrando lungimiranza, consapevolezza e un “… forte fiuto” sul “segno dei tempi” della rivoluzione tecnologica già in atto, si sono dichiarati molto preoccupati sulle sue inevitabili ricadute sociali ed etiche. In alcuni brevissimi capitoli del Decreto hanno sottolineato temi ai nostri giorni ancora attuali perché rimasti inascoltati: “Diritto all’informazione”; “Opinioni pubbliche”; “Doveri degli autori”; “Doveri dei recettori”; “Doveri dei giovani e dei genitori”; necessità della “Formazione degli autori e dei recettori”. Credo che dopo oltre mezzo secolo dobbiamo ancora fare i conti con queste raccomandazioni. E che soprattutto le scuole pubbliche siano ancora alla ricerca sul da farsi nei processi educativi.

 

Nino Labate

2 Comments

  1. Caro Nino,
    congratuluazioni per aver tratteggiato un tema di grande importanza, con sapienza. Di seguito un piccolo contributo:
    – la comunicazione regge i rapporti umani se veicola verità, qualunque sia il mezzo;
    – non trasmettere all’altro verità è una grave offesa, per chi la procura in primis.
    Ovviamente questa non è farina del mio sacco, ma è Vangelo.
    Ci sono tanti esempi: mi piace citare, Gandhi, sia perchè grande leader politico-religioso sia perchè grande giornalista. Antiche come le montagne, diceva, sono la verità e la non violenza. I mezzi sono i fini: chi mente per raggiungere un fine, non lo raggiunge e ne vizia in partenza gli effetti, anche in caso quel fine sia valido.
    E’ chiaro che questo apre un percorso difficile di servitù alla verità che espone ad prezzo altissimo: ma è proprio la disponibilità a pagare questo prezzo fa la differenza.
    In questo quadro, per far si che la verità emerga, il silenzio, è certamente lo strumento più potente: pochi giornali e pochi media, consentono di decifrare la realtà in modo più efficace a mio avviso e di svincolarsi facilmente dai pericoli di una politica gazzettiera e mantenersi più puri.
    Gandhi ce l’ha fatta, quindi yes we can!

  2. Ciao Antonio.
    Grazie del contributo che condivido. Nino

Lascia un commento

Required fields are marked *.