La Lega o lo sdoganamento dell’individualismo cattolico

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Sull’ultimo numero finora uscito di “Appunti di cultura e politica” (n. 6 del 2011), la rivista bimestrale edita dall’associazione “Città dell’uomo”, Luigi Pizzolato dà conto di una tavola rotonda che l’associazione ha organizzato lo scorso ottobre a Milano (“Lega Nord e Chiesa cattolica. Due decenni di strategie politico-religiose”), in occasione della presentazione di due testi: Paolo Bertazzolo, “Padroni a chiesa nostra. Vent’anni di strategia religiosa della Lega Nord” (Emi, Bologna, 2011) e Renzo Guolo, “Chi impugna la Croce. Lega e chiesa” (Laterza, Roma-Bari, 2011). Il saggio di Pizzolato (pp. 11-19) ricostruisce il filo conduttore dei libri, mettendo in evidenza la inadeguatezza delle motivazioni con le quali la chiesa ha pur criticato le posizioni leghiste.

Pubblichiamo qui la pagina conclusiva dell’analisi di Pizzolato, con il suo invito a un recupero – nel mezzo dell’attuale drammatica crisi – della relazionalità e a risalire “il crinale della solidarietà”.

 Se dovessi, in ultima analisi, sintetizzarc il nodo del rapporto tra Lega e Chiesa, lo individuerei come segue. A lungo le remore dell’ideologia che era patrimonio, sempre più estenuato e fioco, del partito dei cattolici italiani, la Dc, hanno trattenuto la società cattolica del Nord in uno spazio di sensibilità solidale dentro la vita nazionale. Ma, con la caduta delle ideologie e con l’estenuazione di quel patrimonio, tanto prezioso quanto svilito, la Lega, grazie alla “massa pagana della Dc” (così Renzo Guolo, in Chi impugna…, p. 102) e a quelli che Ilvo Diamanti chiama i “praticanti saltuari (Il male del Nord, Donzelli 1966), ha potuto operare lo sdoganamento dell’individualismo delle aree cattoliche del Nord e l’ha assolto con il ricorso al valore identitario della tradizione religiosa, mentre sarebbe stato difficile raccordarlo alla realtà della fede vivente. L’etica del lavoro e la religione come produttrici di senso comune hanno dato origine a una mentalità che, per certi aspetti, è di tipo calvinistico, ma che non si è dedicata alla costruzione d’una coscienza personale matura (addirittura tacciata di protestantesimo da alcuni teologi e vista come troppo impegnativa per la condizione della base ecclesiale cattolica), bensì alla formazione di uno spirito di corpo e di opere sociali che rinforzano il gruppo chiuso e lo impigriscono, esonerandolo dall’obbligo di cercare e di giustificare.

Questa società, a mano a mano che produceva ricchezza e si svincolava dall’antico legame relazionale che stimolava la solidarietà, perdeva sempre più i contatti con le proprie radici cristiane e procedeva a sostituire i valori di quelle, e quelli relazionali comunitari, con la logica del benessere individualistico e della potenza dell’individuo, fattosi parte per se stesso. Forse quello della “prepotente”  trasformazione del mondo è stato – ahimè! – l’unico lascito della teologia delle realtà mondane passato nella base, ma gestito in maniera secolaristica e avulso da principi di relazionalità.

Chissà se la drammatica crisi attuale che stiamo vivendo ci farà, risalire con umile compostezza il crinale della solidarietà che avevamo disceso con baldanzoso egoismo? Il difficile momento potrebbe rilanciare una pastorale sociale, dalla cui costola è pur discesa gran parte di quella società. Che oggi si dice “leghista”, la quale deve essere invitata, anche grazie a studi come quelli qui considerati, a prendere coscienza delle proprie vere e solide radici. Che non sono quelle di Odino né del dio Po. E che, forse, non ha ancora reciso del tutto.

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