La fratellanza e il nostro impegno nel mondo

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La nuova enciclica di Papa Francesco costituisce quasi una summa del suo pensiero. Rappresenta una sintesi della sua concezione, sparsa in tanti discorsi e in tanti documenti, e raccolta qui in una visione unitaria, all’insegna dell’idea di fratellanza.

È l’immagine di una chiesa aperta quella che appare nell’enciclica, rivolta al bene di tutti, alla giustizia e alla pace dei popoli, a promuovere assieme a tanti altri quel rapporto di fraternità che dovrebbe unire tutti gli uomini e le donne.

L’enciclica è lunga perché il Papa richiama tanti aspetti e dettagli utili a sviluppare una giusta attenzione che favorisca il processo di fraternità; ma già il titolo dice tutto, fornisce un’idea immediata, comprensibile ad ogni persona, del messaggio e dello spirito che lo anima.

Questa enciclica, come del resto ogni discorso di papa Bergoglio, riveste un carattere peculiare: non esprime principi generali, ma parla di qualcosa a cui crede personalmente, che sente direi anche emotivamente come importante, che sente di proporre a tutti perché lui per primo lo avverte come vitale.

Anche per questo, per apprezzare la parola di papa Francesco, è in un certo senso necessario sentire come lui; il suo non è un discorso dottrinale da accogliere e di cui prendere atto, ma è un messaggio vitale, è la comunicazione di qualcosa che il papa sente profondamente e che chiede di condividere.

Non è facile il discorso del Papa, sono molti quelli che fanno fatica ad intenderlo; e la chiesa tutta è in grave ritardo nell’accettarlo e nel seguirlo: certamente molte resistenze sono di comodo e di parte, di chi trovandosi a proprio agio nella posizione che riveste non è propenso ad alcun cambiamento. Però a me sembra che la difficoltà maggiore sia un’altra: il papa ci pone di fronte a problemi giganteschi, per i quali si impone ai cristiani e alla chiesa una conversione profonda e un impegno altrettanto radicale.

Provo a tracciare qui, chiedendo scusa della schematicità, alcuni di questi problemi.

 

Il primo problema riguarda i discorsi sociali del papa, che sono diversi dalla tradizionale dottrina sociale della chiesa. Per comprendere il problema, possiamo rifarci a una citatissima affermazione della Gaudium et spes del Vaticano II che recita:  “Questa frattura tra la fede che professano e la vita quotidiana di molti va computata tra i più gravi errori del nostro tempo”.  Qui si tocca un punto fondamentale della vita cristiana attuale, che però non va ascritto alla sola responsabilità dei singoli cristiani. È la vita della società moderna che fa sì che ogni attività umana rappresenti una sfera autonoma separata dalle altre. Così è per l’economia, la politica, la scienza e la tecnica.

In questa situazione anche la religione viene considerata, e tende a diventare, una sfera tra le altre e nemmeno la più importante (pensiamo all’economia e ai mass media), rischiando la marginalità. Ma a molti (preti e laici) avere una sfera spirituale separata dal resto va bene; e questa è anche la vita di fatto della più parte dei cristiani: una vita in larga misura “materiale” in cui si ritaglia uno spazio “spirituale”, in genere quello domenicale.

La dottrina sociale della chiesa tendeva ad affermare principi morali che orientassero queste diverse sfere di attività, ma senza molto successo, data la loro autonomia e la loro complessità.

Il discorso di papa Francesco è molto diverso: questi non sono solo problemi morali, ma sono innanzitutto problemi di fede, perché è implicata la vita delle persone e la vita dei cristiani. Quindi non si tratta di avere una visione morale di come dovrebbe essere l’economia, ma si tratta per ogni cristiano di affrontare concretamente l’economia perché riguarda la propria vita cristiana. Quindi il papa non accetta la rigida separazione delle sfere, non accetta che la politica e l’economia siano autoreferenziali; i cristiani devono intervenire e partecipare “trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio” (come dice sempre la Gaudium et spes). Da qui la maggior concretezza dei discorsi di papa Francesco e un costante richiamo a un impegno vitale per ogni cristiano: non si può rimanere tranquilli nel proprio guscio, siamo chiamati tutti a operare secondo le nostre possibilità.

 

Un secondo tema molto importante del papa, tante volte richiamato anche in questa enciclica, è quello del popolo. Costituiva un’affermazione centrale della Costituzione Lumen gentium del Concilio che definiva la chiesa come popolo di Dio, ma non ha trovato seguito.

In campo politico il tema era caduto in disuso, sino alla ripresa recente sotto la veste di populismo, che fa uso del termine in modo strumentale e falsamente difensivo della identità nazionale, rispetto agli stranieri visti come concorrenti ed invasori.

Ma perché il papa insiste su questo concetto?  Cerco di darne una spiegazione personale. Se si legge l’ultimo libro di Piketty, Capitale e ideologia, si apprende che i partiti di centrosinistra che una volta rappresentavano le classi popolari ora prendono i loro voti prevalentemente dai ceti istruiti. Questo è dovuto al fatto che non ci si rivolge più a una forza collettiva (la classe lavoratrice, le classi popolari), ma all’opinione pubblica, dunque ai singoli, i quali rispondono in base alla loro preparazione e istruzione: la larga massa popolare rimane esclusa.

È un grave errore quello degli ex-partiti popolari di operare in questo modo e di non rivolgersi più a una realtà collettiva, come è quella popolare; di fatto si accetta la visone individualistica di carattere liberale.

Il discorso dovrebbe essere più approfondito e più argomentato, ma mi limito a segnalarlo. Però anche solo questo breve accenno dovrebbe essere  sufficiente per sottolineare quanto sia importante il discorso del papa.

 

In terzo luogo, la visione del papa è sempre una visione mondiale e anche questo ci trova impreparati. Ad esempio, il “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”, firmato nel febbraio 2019 col Grande Imam Ahmad Al-Tayyed, costituisce un documento storico nei rapporti col mondo musulmano, mondo che noi vediamo quasi solo come una minaccia. Su un problema di questa natura il papa è molto più avanti della politica, degli Stati e di tutti noi.

Abbiamo un ben limitata visione dei problemi mondiali. Per parlare dei problemi del lavoro, che conosco meglio, continuiamo a operare con una visione nazionale; le leggi e i contratti rimangono nazionali, mentre la più parte delle aziende che contano ormai operano internazionalmente: a Milano si calcola che 300.000 lavoratori dipendano da società transnazionali. Non esiste un contratto europeo, non esiste un contratto mondiale (salvo i marittimi), non esiste un contratto aziendale in una multinazionale, è difficile trovare un sindacalista che sappia l’inglese.

Il Papa ci indica la strada, ma occorre cominciare ad incamminarci su questa strada se vogliamo che il mondo diventi più fraterno.

 

Un quarto tema riguarda la chiesa, che dovrebbe essere, come abbiamo richiamato sopra, il popolo di Dio.

Perché il messaggio del Papa fa fatica ad essere recepito? Proprio perché questo passaggio da una chiesa tradizionale, dove il popolo era passivo, ad una chiesa dove il popolo cristiano costituisca la chiesa stessa, non è avvenuto che in minima parte. Ancora oggi, se si guarda alle nostre parrocchie, è cristiano chi frequenta la parrocchia, e più cristiano chi la frequenta di più.

In una chiesa popolo di Dio non dovrebbe essere così; la parrocchia dovrebbe limitarsi a celebrare la Messa e ad amministrare i sacramenti, per il resto è il popolo cristiano, i fedeli, che devono portare la testimonianza cristiana nella realtà umana, nella vita.

I sacramenti non sono fine a se stessi, sono fatti per la vita; dunque non è importante solo quello che avviene in parrocchia, altrettanto importante, e anche più, è quello che avviene nella vita reale della gente, a cui invece non si pensa neppure.

Si tratta di un cambiamento essenziale, perché è difficile seguire l’insegnamento del papa, con tutto quello che significa poi nell’affrontare i problemi della società e del mondo, se non avviene un rinnovamento della chiesa, che tanto in Italia che in Occidente, si è troppo adagiata nella società del benessere, perdendo lo stimolo ad un impegno generoso e lungimirante.

 

Sandro Antoniazzi

3 Comments

  1. Sono passati tanti anni da quando ci siamo conosciuti nei corsi della Pastorale Sociale fatti in Diocesi di Milano, dove insieme ai tanti giovani c’erano i Testimoni……Giuseppe Lazzati, prima di tanti altri.
    Invito tutti a rileggere l’ultima pagina del suo libro “Per una nuova maturità del laicato”…è un accorato “Invito ai Pastori” che è il suo testamento,….tante volte ripetuto in vita.
    Grazie.

  2. Bellissimo intervento, ma direi in contraddizione col passaggio dell’ “Appunto” in cui Antoniazzi giudica il capitalismo come un “sistema positivo” perché ha dato il benessere (materiale, aggiungo io, e solo ad una parte del mondo a scapito di un’altra). Basta questo brano del suo intervento, credo, a spiegare la mia impressione: <>. Si sente Antoniazzi di affermare che il capitalismo è “orientato secondo Dio”? E allora perché considerare fuori dal mondo il proposito di superarlo? Non si sa quanto tempo ci vorrà e non è nemmeno detto che ci si riesca: ma il Papa non invita a provarci seriamente?

  3. L’Enciclica Fratelli Tutti colpisce per l’impostazione moderata e riformista in cui vengono illustrati i drammi del nostro tempo.
    E’ pacata e propone ragionamenti per giungere a soluzione dei problemi contingenti che all’inizio del XXI secolo ci siamo imbattuti. Nel panorama mondiale dove prevale l’individuo e il suo particolare Papa Bergoglio dispiega gli orizzonti per un rinnovato popolarismo che fa da contraltare alle rabbie e al qualunquismo populista che ha portato una politica cieca, senza uno sguardo su questioni e problemi decisivi per l’umanità. I populismi in realtà non sono a servizio dei popoli, ma minacciano le democrazie.
    In un’epoca di integrazioni di cultura, popoli e idee, l’accoglienza del diverso è fattore di crescita oltre che di fratellanza. E’ cogente la necessità di riformare le istituzioni che abbiano un rapporto poliedrico sulla realtà, con un approccio glocal, dal globale al locale e viceversa che crei una sana convivenza e porti ad applicare la gentilezza come modello relazionale, di cui si legge nell’Enciclica al miracolo della “gentilezza da tutti si può imparare qualcosa e nessuno è inutile” (215). La gentilezza è un’attitudine da recuperare per la liberazione dalla crudeltà, dall’ansietà e dall’urgenza distratta che prevalgono in epoca contemporanea. Una persona gentile, ci insegna Francesco, crea una sana convivenza ed apre le strade là dove l’invidia e la contesa distruggono i ponti (222-224).
    In questo contesto drammatico, le grandi parole quali democrazia, libertà, giustizia, unità perdono la pienezza del loro significato, e risultano liquefatte la coscienza storica, il pensiero critico, la lotta per la giustizia e le vie dell’integrazione. “La politica così non è più una sana discussione su progetti a lungo termine per lo sviluppo di tutti e del bene comune, bensì solo ricette effimere di marketing che trovano nella distruzione dell’altro la risorsa più efficace” (15).
    Bisogna pensare un mondo ospitale con una visione inclusiva per rispondere alla solitudine dell’uomo consumatore chiuso nel suo individualismo e nella passività dello spettatore. E’ impossibile capire se stessi senza un tessuto di relazioni più ampio con altri che ci arricchiscono (88-91).
    L’apertura all’altro è il fondamento dell’azione che permette di stabilire l’amicizia sociale e la fraternità per una comunione universale, che si prende cura gli uni degli altri, in modo non solo geografica ma ancor di più esistenziale.
    Una società fraterna sarà quella che promuove l’educazione al dialogo per sconfiggere “il virus dell’individualismo radicale” (105) e per permettere a tutti di dare il meglio di sé.
    Hanno un ruolo importante tutti i media che, senza sfruttare le debolezze umane o tirare fuori il peggio di noi, devono promuovere incontri promuovendo la prossimità per saldare l’umanità intera.
    Da questa prospettiva emerge una spinta alla buona politica fatta da dialogo e rispetto delle idee degli altri per fronteggiare le urgenze e soluzioni più appropriate con riflessioni condivise e non unilaterale. Il capoverso n. 217 è disarmante nella sua semplicità e profondità “La pace sociale è laboriosa, artigianale. (….) Quello che conta è avviare processi di incontro, processi che possano costruire un popolo capace di raccogliere le differenze”.
    La politica è una delle forme più preziose della carità che rappresenta una delle forme più preziose della carità perché si pone al servizio del bene comune (180) e conosce l’importanza del popolo, inteso come categoria aperta, disponibile al confronto e al dialogo (160).
    Compito della politica è trovare una soluzione a tutto ciò che attenta contro i diritti umani fondamentali, come l’esclusione sociale; il traffico di organi, tessuti, armi e droga; lo sfruttamento sessuale; il lavoro schiavo; il terrorismo ed il crimine organizzato.
    All’augurio di un buon lavoro di papa Montini del 4 ottobre 1965 che invitava alla collaborazione fraterna si passa all’invito di papa Bergoglio a riformare le Nazioni Unite perché al momento sono ancora Paesi privilegiati che hanno diritto di veto. Va praticata la multilateralità, con l’attenzione alla diversità e alla solidarietà per consolidare la democrazia per tutti.
    Questa Enciclica è un cammino quotidiano alla fratellanza di impronta francescano che si richiama la Liberté, Égalité, Fraternité della Rivoluzione francese, ma che è caratterizzato da un pragmaticità e rigore tipici dei gesuiti.
    L’invito alla fratellanza infonde le necessità di riformare il sistema economico-politico e sociale mondiale attraverso la partecipazione e la collaborazione.
    Con Fratelli Tutti il Papa cerca di insistere su cosa significhi stare dentro la storia, dentro il passato, il presente e il futuro e non fuori o oltre. L’invito a superare tutti i muri e gli egoismi: “Siamo sulla stessa barca” e i timori per i nuovi nazionalismi: “Segni di un ritorno all’indietro”
    Questa enciclica sia il ponte che getta tra Illuminismo e cattolicesimo. Il Papa più volte utilizza le parole libertà, uguaglianza e fraternità, ossia il fulcro di quel pensiero laico storicamente opposto al pensiero della Chiesa.
    È però un appello che si schiera con forza contro le disuguaglianze, contro la pena di morte, dalla parte dei migranti, denuncia lo sfruttamento senza regole del pianeta.
    C’è una vera critica radicale al sistema che crea le disuguaglianze, a un sistema politico fondato sull’intreccio tra burocrazia e finanza che mette in discussione l’attuale modello economico: “Ci sono regole economiche che sono risultate efficaci per la crescita, ma non altrettanto per lo sviluppo umano integrale. E’ aumentata la ricchezza, ma senza equità, e così ciò che accade è che ‘nascono nuove povertà’. Quando si dice che il mondo moderno ha ridotto la povertà, lo si fa misurandola con criteri di altre epoche non paragonabili con la realtà attuale”. Siamo in presenza di un sistema che produe “scarti”, “sfruttamento”, “povertà”, “diminuzione dei posti di lavoro”, “esaurimento delle risorse naturali”.
    In questo mondo globalizzato c’è uno scisma tra singolo e comunità e prevale l’individuo sulla dimensione comunitaria dell’esistenza (12). Le persone svolgono il ruolo di consumatori o di spettatori, e sono favoriti i più forti. Il mercato da solo non risolve tutto, benché a volte vogliano farci credere questo dogma di fede neoliberale.
    La politica di cui c’è bisogno è quella che dice no alla corruzione, all’inefficienza, al cattivo uso del potere, alla mancanza di rispetto delle leggi (177). È una politica incentrata sulla dignità umana e non sottomessa alla finanza perché “il mercato da solo non risolve tutto”: le “stragi” provocate dalle speculazioni finanziarie lo hanno dimostrato (168). E’ aumentata la ricchezza, ma senza equità ma sono nate nuove povertà.
    Occorre un’economia rispettosa dei diritti umani perché la fragilità dei sistemi mondiali di fronte alla pandemia ha evidenziato che non tutto si risolve con la libertà di mercato, di impronta sfacciatamente neoliberale.
    Bonaventura Marino

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