Il paradosso dei cattolici invisibili

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Non credo che si sia fatta attenzione. Ma la vera notizia, riguardo all’elezione di Marta Cartabia a presidente della Corte costituzionale, non è stata soltanto quella, indubbiamente esaltante, che si tratti della prima donna a ricoprire tale autorevole e prestigiosa carica, ma anche quella di leggere su quasi tutti i quotidiani nazionali che si tratta di una “giurista cattolica”. Il che può solo fare piacere a quanti lamentano la marginalità e l’assenza dei cattolici nello spazio pubblico. In una società ormai gestita dai media, vecchi e nuovi, laicizzata, interreligiosa e multiculturale, incamminata verso una convivenza con fedi e culture diverse e sollecitata da una progressiva secolarizzazione, sottolineare un’appartenenza religiosa significa incontrarsi con una notizia controcorrente.

Se il mondo dell’informazione è quotidianamente alla ricerca di novità, dare rilievo, tra le righe degli articoli, a questa appartenenza, fa pensare e rimanda in ogni caso a un paradosso. Quello dell’assenza nel dibattito pubblico di un visibile, autonomo e laico cattolicesimo culturale e sociale incarnato nei segni dei tempi. E, quando presente, esso risulta poco incisivo e obiettivamente marginale. Senza cadere nell’errore di farne un’avanguardia a difesa dei “principi inviolabili”, di questo laico cattolicesimo si avverte tuttavia oggi un certo bisogno. Partiti col marchio cristiano non ne esistono più. Lo storico associazionismo cattolico ha sempre operato in contesti ecclesiali. E le tante associazioni di volontariato hanno altri obiettivi. Di tutto ciò si è forse fatto carico il “Manifesto Zamagni”. Strattonato subito a destra e a manca, con superficiale nostalgia e con incredibili voli pindarici, come Manifesto per la rinascita di un partito politico cattolico. Trasformato in un amarcord della Democrazia Cristiana. Da riproporre, si è temerariamente affermato, grazie al sistema proporzionale esistente, e alla convinzione che quel quasi 50% di aventi diritto che non va a votare risulta tutto formato da “cattolici moderati” che non si riconosce nei partiti esistenti e nella loro offerta politica.

Proprio nel centenario del “Manifesto” di Sturzo e dopo i falliti tentativi di Todi, spunta dunque quest’altro “Manifesto”. Col quale si chiamano a raccolta cattolici disimpegnati, assieme a quel frantumato e laico associazionismo sensibile al sociale, al culturale, al politico, ma diverso, come hanno tentato confusamente di chiarire gli estensori, da un partito politico cattolico, esistente forse solo nel retropensiero di Italia Viva con le sue radici piantate nel “Centro” dell’emiciclo parlamentare. L’idea non è peregrina. Si può leggere anche il bisogno di una rilevante e unica istituzione nazionale, punto d’incontro e di riferimento, in grado di fare sintesi delle diverse e solitarie realtà associative locali. Con una sua rivista, un suo sito, una sede, una sua periodica attività convegnistica. Con un suo Forum annuale e con una sua “Fondazione” – come suggerisce ormai da anni Giorgio Campanini. Evidentemente non sono i partiti politici che possono soddisfare questo riemerso bisogno. Tantomeno i “progetti culturali” gestiti dal presidente della Cei. Se si desiderano creare partiti politici col timbro della cattolicità, è buona norma ricordarsi che l’unità è quasi impossibile. L’antica ma profetica distinzione sturziana tra cattolici democratici e cattolici conservatori, tra cattolici popolari e cattolici intransigenti e clericali, ancora oggi distingue mentalità diverse e criteri diversi di gestire il rapporto tra la storia e il Vangelo. Distinzioni queste che ci aiutano anche a comprendere le attuali difficoltà di Francesco. C’è solo da aggiungere che le finalità dei partiti politici non riguardano la cultura, “l’etica della responsabilità” e dei comportamenti, né la formazione e la dimensione comunitaria e interpersonale prepolitica dei mondi vitali. Ancor di più l’antropologia “liquida” e volatile dei nostri giorni. Ma riguardano in prima battuta la ricerca del consenso. Mentre le finalità della Cei, con tutti i suoi sacrosanti diritti di intervenire e commentare la società e la politica, sono, o dovrebbero essere, orientate principalmente ad altri obiettivi.

Spunta allora un vero e proprio paradosso. Ed è quello che, mentre da un lato si sottolinea l’appartenenza cattolica della Cartabia, rimane in molti la bocca amara nel constatare che sotto l‘aspetto culturale, sociale e intellettuale i cattolici laici italiani, quelli autonomi dalla Chiesa e che non hanno paura di misurarsi con la modernità e il progresso, sono invece invisibili e assenti dal dibattito pubblico. Mentre quelli della tradizione e del guelfismo, li troviamo rinchiusi in una dimensione soggettiva che non mette mai fra parentesi i propri convincimenti, e che evita di leggere con obiettività i  cambiamenti e le incredibili trasformazioni che si vivono; una dimensione col futuro assente, e ripiegata sulla nostalgia di un passato irrecuperabile. Entrambi col conforto delle tante e frammentate associazioni parrocchiali, territoriali, e cittadine presenti in Italia, ognuna per proprio conto in un incomprensibile isolamento, utili ad appagare una pur legittima esigenza di presenza pubblica locale, ma inefficaci per fare svolgere un autorevole e visibile ruolo nazionale ed europeo. Le “Reti” sono, infatti, utili solo quando c’è qualcuno che non le lascia ondeggiare liberamente nel mare, ma che ogni tanto le restringe e le e tira sulla barca per verificare lo stato della pesca.

Prima di concludere, tuttavia, è d’obbligo una qualche riflessione sulla differenza tra chi ostenta rosari e vangeli, giustificati incautamente anche da qualche prelato, e chi vive la sua fede senza ricercate esibizioni. Non è la prima volta che personaggi pubblici si riconoscono nella fede cattolica, anche se con sincero riserbo e senza ostentata e volgare visibilità. La novità della Cartabia è stata il modo inconsueto da parte dei media italiani di qualificare con un’appartenenza religiosa una persona, una carica, un ruolo prestigioso. Non è la prima volta. D’accordo. C’è già stata ai tempi di Mattarella. E non sarà l’ultima. Ma in questo caso la qualifica ci ha trascinato nel vicolo cieco di un vero e proprio paradosso. Cioè “contro l’opinione” diffusa e comune. Ai nostri giorni possiamo, infatti, trovare il cattolico, il politico cattolico, l’intellettuale e studioso cattolico. Ma sono assenti i cattolici, in quanto cattolici. Assenti  sia dalla scena politica, di cui abbiamo accennato le difficoltà e il fuori tempo massimo, sia da quella intellettuale e culturale. C’è anche chi sostiene che la pluralità della testimonianza sia anche un bene. Ma se oggi troviamo chi non ha timore di dichiararsi cattolico, rimane sospesa la domanda: chi sono  i cattolici di oggi, e dove sono? Interrogandosi se sia sufficiente appartenere a un’associazione per dirsi cattolico. I sondaggisti seri sanno che indagare su questo tema non è facile. Per le metodologie delle analisi sociologiche che circolano, sul voto, sulla fiducia nella chiesa e nel papa, sui grandi temi sociali e della democrazia, sono cattolici coloro che dichiarano – si badi bene, dichiarano da soli e si autocollocano da soli – di andare a Messa tutte le domeniche o anche saltuariamente. Sono insomma i frequentatori della Messa. Altro non si sa. Tacendo sui motivi più squisitamente personali, teologici e spirituali, su cui è difficilissimo indagare. Nel tempo in cui il cattolicesimo sociale e culturale risulta ai margini del dibattito pubblico del nostro Paese, oggi nelle mani del non tanto amato “cattocomunista” Francesco, il fatto che questo cattolicesimo risulti confinato fra i pochi addetti ai lavori e sia scomparso dalla scena mediatica dovrebbe interrogare non solo i parroci e le diocesi, ma, sul versante dell’impegno sociale e politico, anche quanti laici hanno gestito solo formalmente, e giocando sull’aggettivo, un tale cattolicesimo negli ultimi 25 anni, rinchiudendolo sotto chiave in cantina. Ad uso e consumo propri. Ed ergendosene a personali rappresentanti. Ma consentendo in tal modo alla cultura politica che avanzava di proseguire nel produrre diseguaglianze, nel livore e nell’astio verso l’avversario, nella demonizzazione a tutti i costi del diverso, nella inimicizia racchiusa nel modello amico/nemico che tanti tragici guai alla convivenza civile. Insomma dimenticandosi di quella “paziente carità “ cristiana posta da S. Paolo a fondamento della giustizia e della ricerca di quel bene comune oggi capovolto in bene individuale.

Quali sono le novità e le speranze per tali propositi? Ebbene non deve sembrare strano. Ma sono depositate nel fenomeno delle cosiddette Sardine, se è destinato a proseguire. Che indica un bisogno di “buona politica”. Quella politica meno odiosa. Più serena. Educata. Più tollerante e rispettosa del prossimo, anche se “diverso”. Più accogliente, giusta e solidale verso gli esclusi e i lontani senza diritto di parola. Quella “buona politica” del dialogo, della pacata parola e del bel canto. Della spontanea e creativa libertà della “Vita Activa” nella “Polis”, come ci ha ricordato tanti anni fa Hannah Arendt. Tutte caratteristiche, queste, che si possono rintracciare nella storia e nei fondamentali etici e culturali della laica cattolicità italiana. Oggi defilata e assente dalla scena. Il che non significa per niente, come dimostra la Cartabia, che i politici cattolici, gli intellettuali e gli studiosi cattolici, il personalismo e solidarismo cattolici, e l’insegnamento sociale della Chiesa siano inesistenti. E‘ più semplicemente vero che vivono in silenzio. Ai margini. Appartati. Spesso con qualche incontro per pochi intimi. E sempre dietro le quinte dei media. Ma sicuramente formando una struttura antropologica di base nascosta, con i suoi principi universali molto distanti dai sovranismi da cortile, dalle paure, dalle ansie emergenti e  dagli “stress” messi in risalto dal Censis. E certamente senza attendere l’“uomo forte”, che, onestamente, non fa parte del bagaglio culturale del cattolico democratico e popolare del dopo Concilio, e che è rimasto molto lontano dai pensieri di quei cattolici che ci hanno regalato la Costituzione. Buon Natale.

 

Nino Labate

20 dicembre 2019

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