Il disordine mondiale

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Ho avuto spesso occasione in questi ultimi mesi per esprimere, dal mio angoletto isolato, le mie preoccupazioni per i ritardi e l’arretramento del disegno europeo,  un disegno privo ormai del suo fascino e della sua forza propri, cioè il suo essere anticipazione e  promessa di una realtà internazionale altra, carica  implicitamente di un disegno per il globo, capace di andar oltre il vecchio concetto di sovranità nazionale, proprietà  assoluta e incontestabile degli Stati, in un mondo in cui pesano interessi collettivi, parzialissimi ma pur sempre collettivi, ben più rilevanti e forti di quelli statuali, e in cui dunque il “bene comune”  è tutto e sempre da re-individuare e ricostituire su basi altre.  Il fatto è che un arretramento radicale è intervenuto, quasi come dono perverso della caduta del Muro di Berlino, che è andato svuotando progressivamente ogni progetto concreto di nuovo internazionalismo, proprio mentre il mondo diveniva più uno.

Non sono in grado, e non sta a me, valutare la qualità e il peso degli errori compiuti intorno alla vicenda greca.  A me l’errore che pare capitale (riprendendo un bel testo di Attali) è quello di aver fatto agire insieme due logiche internazionali fra loro contraddittorie, nelle loro origini progettuali e nelle loro pratiche: quella della Unione europea basata sulla fine del primato degli interessi nazionali (in nome del quale si poteva fare qualcosa di più) e quella del Fondo monetario, tesa, checché se ne dica, a garantirli. In questo contesto non ci si può meravigliare se anche la Grecia cerca di giocare la partita con le sue armi, per quanto spuntate siano.

Un bel segno della confusione che regna nel mondo,    della debolezza delle relazioni reciproche, dell’assenza di garanzie per tutti.  Del venir meno dei sogni. O, ancora peggio, del venir meno dei progetti su un mondo altro, per rifugiarci, come unica via di scampo, in sogni  che noi stessi rendiamo impotenti.

 

Paola Gaiotti de Biase

 

2 Comments

  1. Cara Paola, condivido le tue riflessioni. Questa Europa intergovernativa è un disastro. Tutte le nostre speranze di un’Europa comunitari A SONO ANDATE DELUSE. BUONA ESTATE. mARISA

  2. cara Paola, cara Marisa,
    condivido, ma per noi veterane, alle delusioni siamo abituate…con amicizia
    Giancarla Codrignani

    OGGI dal mio blog http;//giancodri.women.it

    Da Altiero Spinelli ho imparato che, se si ha un’idea, comprovata a sé stessi e a molti altri come giusta, le si resta fedelmente legati “a prescindere”. Il Pci aveva avuto l’intelligenza di portarlo in Parlamento sottraendolo all’oscurità politica, ma la sinistra non è mai stata davvero europeista e non lo sostenne abbastanza quando finalmente la Comunità europea ebbe il suo Parlamento, nato subalterno al Consiglio dei governi. Nella Commissione esteri di Montecitorio Altiero sosteneva la sua parte di indipendente intervenendo e sopportando, aiutato dall’ironia di chi conosce il gioco delle parti. A Bruxelles e a Strasburgo doveva essere un’altra cosa: lavorava per la “sua” Europa. Furono anni di grande attività, ma anche di grandi rabbie e grandi delusioni. Se in Italia la sinistra non faceva fuoco e fiamme per consolidare una coscienza popolare europea ancora fragile – certo eravamo più europeisti allora di quanto non lo si sia ora -, in Europa alle affermazioni di principio non seguivano risoluzioni concrete. Era già partito il piede sbagliato di una Comunità, europea sì, ma non politica, solo “economica”. Altiero non poté usare l’euro per il caffè, ma certamente avrebbe ritenuto fondamentale l’approdo alla moneta unica; tuttavia non rappresentava il corrispettivo di vent’anni di lavoro finalizzati all’unità politica. Tornava a Roma furente per aver dovuto subire la politica dei piccoli passi, del piétiner sur place, dei rinvii a tempi indeterminati. Ma non pensava nemmeno per ombra di gettare la spugna: l’obiettivo era troppo grande e richiedeva “pazienza”. Lo diceva a me che, dopo aver condiviso il rammarico di quelle che mi sembravano – ed erano – sconfitte, ero più arrabbiata di lui. Oggi sarebbe molto inquieto, ma l’amarezza di veder franare anche la debole costruzione fin qui realizzata non gli impedirebbe mai di incalzare Bruxelles gridando o mediando e di lottare con la forza di tutte le parole per evitare all’Unione europea, la sua creatura, il ritorno a Ventotene. Ma, quand’anche, l’idea necessaria resta quella.

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