Gramsci e il populismo

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Il libro Gramsci e il populismo (Edizioni Unicopli, 2019, p. 171, a cura di Guido Liguori) deriva da un seminario di studio promosso nell’ottobre del 2018  dalla “International Gramsci Society Italia” di cui è presidente Guido Liguori, curatore della pubblicazione. In quell’occasione si svolsero tre importanti relazioni introduttive: Salvatore Cingari (populismo e nazionale-popolare), Raul Mordenti (il concetto di popolo e il populismo), Pasquale Voza (dal popolo-nazione al populismo). Seguirono interventi programmati di altrettanto impegno: Chiara Meta (educazione, egemonia e masse popolari), Manuel Anselmi (il dibattito sul populismo contemporaneo), Francesco Campolongo (il populismo di Podemos), Martin Cortés ( il populismo e Gramsci in Argentina), Eleonora Fiorenza (le ragioni femministe e comuniste oggi), e i contributi aggiunti  di Lea Durante e Fabio Frosini. Prima di entrare nel merito dei contenuti dei diversi saggi mi sembra utile ricordare alcuni elementi della biografia del grande intellettuale politico sardo. Antonio Gramsci nacque a Ales (Cagliari) nel 1891, recatosi a Torino con una borsa di studio per studiare all’università, comincia la sua esperienza politica con l’iscrizione al Partito socialista e con l’attiva partecipazione al dibattito interno attraverso interventi su “Il grido del popolo” e sull’Avanti! (cura una propria rubrica “Sotto la mole”), fino a sfociare nel 1919 nella fondazione de “L’ordine nuovo”, rassegna settimanale di cultura socialista. Dopo due anni, il settimanale si trasforma in quotidiano, organo della frazione comunista del partito, che poi, al famoso congresso di Livorno darà vita alla scissione e alla nascita del Partito comunista d’Italia (21 gennaio 1921).  Con l’avvento della dittatura fascista cominciano le persecuzioni nei suoi confronti, viene arrestato nel 1926 e resterà detenuto fino alla morte avvenuta il 27 aprile 1937 (gravemente ammalato trascorre gli ultimi anni in clinica). La vita di Gramsci perciò si può schematicamente dividere in due fasi: la prima è quella della militanza diretta durante la quale arriva ad assumere il ruolo di segretario generale del Pci dal 1924 al 1926; la seconda comprende le sue riflessioni conosciute come i “Quaderni del carcere”. Riuscire a studiare e scrivere in carcere, e in continue condizioni di salute precaria, attribuisce ancora più valore alla sua opera. Concetti quali “nazional popolare”, “egemonia”, offrono ancora oggi importanti stimoli per la comprensione della realtà.

Negli ultimi tempi il dibattito sul populismo, e soprattutto quello che viene definito “populismo di sinistra” – enunciato dagli studi del filosofo argentino Ernesto Laclau e della politologa belga Chantal Mouffe che affermano di avere in Gramsci una delle fonti principali d’ispirazione – costituisce la base della discussione del convegno di studi citato. Liguori ritiene invece che mai Gramsci, a differenza del populismo vecchio e nuovo, accetta di assumere come dato valoriale il senso comune prevalente tra le classi popolari. Anzi egli intende creare un nuovo senso comune derivante da un progresso intellettuale di massa e da una “riforma intellettuale e morale” in grado di sfidare l’egemonia delle classi dirigenti. Non solo, bisogna educare le coscienze a un nuovo abito critico quale è quello offerto dal pensiero scientifico, il quale deve essere coltivato senza differenze di età né di classe. Fu il giovane Asor Rosa in “Scrittori e popolo”(1965) a criticare Gramsci perché riteneva che  annacquasse la concezione classista a favore di una prospettiva più popolare o meglio nazional popolare. Al contrario, l’egemonia come trascendimento della dimensione classista è ciò che interessa a Laclau. Le tesi di Asor Rosa perdono una parte del loro valore alla luce del tramonto sociologico del soggetto operaio, la cui centralità fondava tutta la sua analisi. Secondo Raul Mordenti, Gramsci è il pensatore che ha formulato la più inaudita e inascoltata delle regole rispondendo a quella che definisce la ‘quistione teorica fondamentale’:  la teoria moderna (cioè, per lui, il marxismo o comunque, oggi, una formazione politica progressista) può essere in opposizione con i sentimenti spontanei delle masse, con il loro senso comune?  Certamente no, altrimenti gli intellettuali diventano una casta separata. Spesso, infatti, la critica al cosiddetto populismo rappresenta, per una parte del ceto politico culturale progressista, un comodo alibi per non analizzare le cause reali di certi comportamenti rappresentativi di un determinato e diffuso sentimento. Qui subentra il ruolo del Partito gramsciano come moderno Principe, che ha il compito di esercitare la funzione egemonica equivalente di interessi diversi nella società civile (Chiara Meta). Penso che ciò sia avvenuto nel secondo dopoguerra con la formazione dei partiti di massa che hanno svolto un ruolo di educazione politica diffusa sul territorio; non solo i tre grandi aggregati popolari (democristiani, comunisti e socialisti), ma anche i partiti minori (liberale, repubblicano). Una fase storica che è durata fino all’abbattimento del muro di Berlino del 1989 e in Italia con la successiva crisi dei partiti degli anni ’90 del Novecento. Sul piano del populismo inteso come fenomeno storico, afferma Michele Prospero, la posizione di Gramsci è piuttosto semplice da estrapolare. Egli legge i populismi, nel campo letterario e in quello politico, come un momento connesso alla endemica separazione delle élites dal popolo. Gramsci è l’intellettuale che ispira nel dopoguerra, in particolare negli anni Sessanta, una storiografia improntata all’elemento popolare. Oggi però il popolo, che non si aggrega più in classi e gruppi sociali riconoscibili nella società, si è ricostituito in rete (il “populismo digitale” di cui scrive A. Del Lago). Proprio  per il fatto di essere attivo soprattutto nella dimensione virtuale, esso assume caratteristiche  uniformi che saldano le eterogeneità degli esseri sociali reali, svuotandoli delle loro differenze. Le destre attuali, con i loro proclami a difesa dell’identità etnico-geografica del popolo, si presentano come le uniche capaci di rappresentare i bisogni sociali nel nostro Occidente, che sta offuscando  le proprie tradizioni liberal democratiche. In Italia i neo populismi degli ultimi decenni hanno rappresentato sottocategorie specifiche: il “tele populismo” di Berlusconi, il “web populismo” di Grillo fino ad arrivare alla trasformazione della Lega Nord in Lega nazionale che costruisce la propria identità nell’individuazione, di volta in volta, e secondo le circostanze, di un nemico da combattere: gli immigrati e le istituzioni dell’U.E. I risultati delle ultime elezioni europee, sommando Lega salviniana e Fratelli d’Italia, hanno raggiunto il 40,8 % dei consensi nazional popolari.

 

Salvatore Vento

 

 

 

 

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