FRANCO MONACO, PAOLO CORSINI, WALTER TOCCI E ALTRI 7 PARLAMENTARI PD: IL NOSTRO NO AL REFERENDUM

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Paolo Corsini, Nerina Dirindin, Luigi Manconi, Claudio Micheloni, Massimo Mucchetti, Lucrezia Ricchiutti, Walter Tocci, Luisa Bossa, Angelo Capodicasa, Franco Monaco sono i dieci parlamentari del Pd che hanno sottoscritto un documento nel quale argomentano il loro no di merito (e di metodo) al referendum costituzionale, pur affermando che non si tratta di un no al governo. I firmatari intendono dare voce a elettori e quadri PD che non condividono la riforma Boschi. Sono ben consapevoli che la loro posizione é in dissenso da quella ufficiale del Pd, ma si dicono convinti che, a norma di statuto, sui principi costituzionale non si dia disciplina di partito.

 

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    • Ringrazio per la generosa attenzione critica a me riservata. Persino sproporzionata e soprattutto distraente dalla questione da me posta. Non sulle mie idee più o meno deboli merita discutere (e a me interessa replicare) ma circa il problema, sul quale, francamente, il mio zelante critico non mi pare fornisca alcun contributo. Il problema è il seguente: la distanza e, per certi versi, l’opposizione tra l’ispirazione della riforma costituzionale ed elettorale oggi in discussione e più in genere il corso politico renziano la cui cifra è quella della “disintermediazione” e la cultura politica e istituzionale delle organizzazioni espressione del “sociale bianco”, Cisl in primis. Cioè una concezione della società e dello Stato che valorizza l’autonomia delle forze sociali e degli enti territoriali. Una visione e una pratica di governo che semmai investono sul dialogo e persino sulla concertazione sociale. Un culto quasi sacrale della propria autonomia culturale e organizzativa, refrattaria a ogni collateralismo con partiti e governo.
      Si può considerare datata quella cultura, in nome della cosiddetta democrazia decidente, ma negare che vi sia un contrasto con il paradigma della democrazia maggioritaria e di investitura mi pare esorcistico. E persino un palese rovesciamento della verità quando si sostiene che la riforma esalta la sussidiarietà e le autonomie territoriali. Più onesto e convincente sarebbe provare a difendere la evidente verticalizzazione/ricentralizzazione.
      Poi vi sono questioni minori. Tipo:
      – davvero bizzarra la tesi secondo la quale la FUCI degli anni ottanta, che mise a tema la questione istituzionale, sarebbe espressione caratteristica di quel mondo (il “sociale bianco”). Essa semmai si segnalava per la sua distanza/differenza da esso, anche a motivo del suo elitarismo (non in senso spregiativo). Se positivamente o meno è materia di discussione e io non ho difficoltà a riconoscervi un merito. Ma che distanza/opposizione vi fosse e vi sia è innegabile;
      – altrettanto tirata è la tesi per cui in quel congresso FUCI di trent’anni fa fosse già scritta in nuce la riforma Boschi, allora neonata.
      Capisco che taluni protagonisti di allora amino raccontarsela così, ma la cosa mi ricorda la leggenda del birillo di Foligno quale centro del mondo;
      – so bene che taluni, sempre quelli, raccontano anche che tutto era già scritto nella tesi n. 1 dell’Ulivo stilata nel 1996. Una balla ripetuta mille volte resta una balla. Basti un fatto: la mano prevalente nella stesura della parte istituzioni di quel programma fu di Valerio Onida, oggi estensore e primo firmatario del documento dei 56 costituzionalisti, tra i quali 11 ex presidenti della Consulta, per il no al referendum costituzionale.

  1. Da non iscritto al PD, che guarda con attenzione a quanto in questo Partito accade, ho sempre criticato la mancata presenza e visibilità dei cattolici in esso presenti sui temi rilevanti della politica italiana. Quello della modifica della Costituzione sicuramente lo è e mi piace considerare la posizione espressa da Franco Monaco per il “no” anche come rappresentativa di una parte rilevante del mondo cattolico nella quale mi riconosco.

  2. Replico solo su un punto come testimone diretto. Valerio Onida scrisse una prima bozza di impianto fortemente conservatore delle Tesi del’Ulivo che non a caso fu oggetto di critiche, per esempio della rivista i Democratici . Poi subentrò Arturo Parisi e l’impianto cambiò nettamente di segno.

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