E’ possibile affrontare il problema della povertà lavorativa?

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I lavoratori che in Italia ricevono un salario annuo inferiore al 60 per cento del valore medio dei salari sono aumentati negli ultimi dieci anni: sono il 12,3%. Serve un salario minimo. Ora una proposta viene da un gruppo di lavoro istituito dal ministro del lavoro, Orlando

 

 

Una commissione, promossa dal Ministero del lavoro, ha recentemente  pubblicato un documento dedicato a “Interventi e misure di contrasto alla povertà lavorativa”. Si tratta di un’iniziativa utile e senz’altro da condividere. Innanzitutto, perché serve a riattivare un dibattito che in Italia non riesce a decollare e in secondo luogo perché propone una soluzione concreta, che non si presenta come una terza via tra legge e contratto, ma consiste in una soluzione parziale sperimentale, che quindi potrà successivamente essere rivista e superata.

Veniamo al problema: i lavoratori in condizione di povertà (quelli che prendono meno del 60% del valore mediano dei salari) erano in Italia nel 2017 il 12,3%, in aumento rispetto al dato precedente del 9,4% registrato nel 2008 (il calcolo è fatto dal sistema statistico europeo e considera lavoratori quelli che hanno lavorato almeno 7 mesi in un anno).

Per avere un’idea più chiara della situazione è bene avere presente che il dato si basa su tre fattori: il salario individuale, il reddito familiare di mercato, il reddito familiare disponibile (che tiene conto dei benefici pubblici).

Tenendo conto di questo, se ora consideriamo la prima voce, cioè il solo salario individuale, il dato dei lavoratori poveri sale al 22,1%; se invece consideriamo il reddito familiare, le donne risultano meno povere degli uomini, ma solo perché i maschi single superano il numero delle donne nella stessa condizione.

Gli interventi di agevolazioni sociali nei confronti dei lavoratori, pur significativi, rivestono però un carattere generale (nel 2020: 20 miliardi per la cassa integrazione guadagni, 8 miliardi per il reddito di cittadinanza, 14 miliardi di agevolazioni contributive) e pertanto hanno inciso in modo poco rilevante sulla povertà lavorativa.

Il documento elabora dei calcoli per valutare la ripercussione del salario minimo: così se si fissasse un salario minimo (senza tredicesima e senza TFR) a 9 euro all’ora si coprirebbero il 26,2% dei lavoratori (oltre il 90% delle lavoratrici domestiche); con 8,50 euro il 20,01%; con 8 euro il 13,8%, ma si tratta di calcoli ipotetici per delineare degli orizzonti.

Come dicevamo il dibattito è fermo: il sindacato unitariamente ha una posizione contraria perché l’introduzione del salario minimo per legge rischia di scardinare il sistema contrattuale.

In alternativa propone che i salari dei contratti nazionali firmati dalle organizzazioni più rappresentative, sia dei lavoratori che degli imprenditori, assumano un valore erga omnes per tutti i lavoratori.

Per mettere in opera questo meccanismo occorre innanzitutto definire chi sono le organizzazioni più rappresentative, mediante una registrazione; e qui siamo fermi, perché l’operazione, pure avviata, si presenta molto complessa.

In parlamento sono presenti proposte di legge che cercano anche di tener conto delle critiche sindacali, ma manca in parlamento una forza convinta di tipo laborista decisa a portare avanti il problema.

In questo quadro di quasi immobilità, si pone la proposta del gruppo di lavoro: facciamo un intervento, per legge, ma limitato ad alcune categorie che presentano le maggiori condizioni di disagio (ad es. alberghi, servizi, agricoltura, costruzioni, commercio), categorie dove il fenomeno della povertà lavorativa assume una dimensione molto estesa.

Il documento avanza anche altre proposte utili (estensione del controllo documentale, revisione dei trasferimenti sociali con criteri più adeguati, calcoli statistici più validi), ma rivestono un carattere complementare.

La proposta essenziale, un intervento limitato ad alcune categorie più colpite, ha il merito a mio parere di provare a smuovere le acque.

I sindacati hanno molte ragioni nel sostenere la loro tesi, ma hanno anche un torto: che la situazione per molti lavoratori è grave e continua a rimanere non affrontata.

 

Sandro Antoniazzi

 

*Per approfondire: Luisa Corazza, “Per legge, ma non troppo. Il rebus del salario minimo nella crisi della contrattazione” (etica economia.it). Andrea Garnero, “In work poverty che fare?” (etica economia.it)

 

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