Domenico Rosati e Agostino Giovagnoli. Due voci a confronto sull’adesione di molti cattolici al menifesto della Terza Repubblica

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Il manifesto “Verso la Terza Repubblica” vede tra i suoi primi firmatari numerosi cattolici (Riccardi, Bonanni, Olivero) insieme a personalità come Montezemolo. Domenico Rosati, su “l’Unità” del 4 novembre contesta i termini “moderati” e “riformismo” usati dai firmatari del documento e scrive che “il terreno di prova su cui misurare convergenze e divergenze non può che essere, oggi, quello del lavoro”; si tratta “di misurare l’effettiva volontà politica di dar vita, a scala europea e nazionale, ad un’inedita iniziativa”; l’importante “è che s’identifichi nella mancanza di lavoro il male da curare e si decida di attivare in modo organizzato tutte le risorse private e pubbliche per uno sviluppo che produca nuova occupazione” (Ma i cattolici non sono moderati). Agostino Giovagnoli, che quel manifesto ha firmato, è più interessato agli aspetti di architettura politico-istituzionale, e, su “l’Unità” del 5 novembre, difende l’utilità dell’impegno di cattolici a costruire un “bipolarismo centripeto”, cioè a lavorare per riorganizzare entrambi i campi, quello progressista e quello moderato, in grado di alternarsi al governo e collaborare sulle questioni di fondo. In tal senso, reputa “non irrilevante” il ruolo che i cattolici possono giocare “per spingere l’area dei miderati a svincolarsi dall’estremismo di destra” (Per un bipolarismo mite serve collaborazione a distanza).

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