Delenda Chartago (Considerazioni di un cattolico-democratico piddino non renziano ontologico)

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Sono tra quanti, ai tempi di Bersani, non erano contrari a una qualche forma di accordo con i Cinquestelle, prendendo però poi debitamente atto della sostanziale inaffidabilità di questi ultimi. Conosco Franceschini dai tempi della Dc (e ho poi avuto contatti con lui nella mia veste di segretario, prima, del Ppi e, poi, della ‘Margherita’ della provincia di Milano). E lo stimo. Mi lascia peró perplesso la sua posizione, ribadita pur tra molti distinguo, a riguardo dell’ipotesi di un qualche accordo, nel segno della ‘responsabilità’,
tra ‘democratici’ e M5S. Considero al riguardo:
1) per Di Maio & C., da tempo, e in campagna elettorale con sforzi ovviamente accentuati, il partito oggi retto da Martina era il primo da ‘abbattere’, la loro ‘delenda Chartago’,  urlata con sguaiatezza insopportabile.
2) L’aspirante premier pentastellato ritiene Lega e Pd intercambiabili, sostanzialmente. Gli vanno bene o l’uno o l’altro, per il governo. E tale equiparazione è una “bestemmia”, per i ‘democratici’. Perché i valori di riferimento e le politiche di Salvini & C. sono del tutto incompatibili con quelli della nostra formazione.
3) Il Pd ha assolutamente  bisogno di una debita pausa di riflessione, dopo la débâcle elettorale. È dunque bene che, per un certo periodo, perlomeno, non si assuma responsabilità di sorta, nel governo, e si dedichi in particolare a ridefinire il suo “ubi consistam”.
4) Mettere in campo il “senso di responsabilità” è fuorviante, nella situazione data.  Perché il Paese è certo in difficoltà, ma non sta vivendo un’emergenza tale da giustificare un’unione “contro natura”, come mi verrebbe da dire. Preso infatti atto dell’inevitabile ammorbidimento di Di Maio & Salvini sui temi dell’Europa e delle alleanze internazionali (simpatie per Putin …a parte), il nuovo governo dovrà affrontare gli abituali, difficili problemi di un Paese complicato come l’Italia.
5) I gruppi ritenuti universalmente vincitori (Cinquestelle e centrodestra) hanno totalizzato il 70 per cento dei voti dell’elettorato: un esito evidentissimo, indiscutibile.
6) I suddetti ‘vincitori’, a guardar bene, al di là delle reciproche schermaglie,  condividono non pochi punti in comune (tutti i rispettivi leaders hanno per esempio molto ‘sfruttato’ le paure sull’immigrazione, proponendo impraticabili, massicci rimpatri; hanno venduto sogni in tema di tasse e imposte; hanno proclamato improbabili cancellazioni o riformulazioni di leggi nell’area sociale, ecc.).
7) La soluzione più logica sarebbe allora un governo M5s-Coalizione di centrodestra. Un governo che vedrebbe l’opposizione, questa sì, responsabile, del Partito democratico.
8) Ma Di Maio non vuole in alcun modo (e non si sposterà mai da questa posizione) il partito di “Forza Italia” di Silvio Berlusconi. Più che per questioni squisitamente politiche, non vuole Berlusconi per una ragione dal significato fortemente “simbolico”: Silvio rappresenta il “vecchio”, la vecchia politica, cui va contrapposto nettamente il “nuovo”. A partire, possibilmente, dal dato anagrafico del capo del
governo.
9) Nella situazione data, il Pd, come detto, non può che collocarsi all’opposizione. Un suo sostegno a Cinquestelle verrebbe letto dai più (parlo degli elettori) come ‘trasformismo’, più che non un atto di responsabilità. Ma così facendo – non contribuendo, cioè, a far nascere un governo comunque sia – corre il rischio di subire la prospettiva di un ritorno a breve alle urne, dalle quali uscirebbe con le ossa ulteriormente rotte, è l’obiezione di fondo. Può essere. Ma può anche essere che, presentandosi un poco rigenerato, e magari esibendo debitamente talune risorse “nuove”, insieme per esempio a una figura istituzionalmente rispettabile e “addestrata” al governo quale Paolo Gentiloni, possa ottenere un risultato  soddisfacente. Chissà!
È assai probabile, invece (ecco la contro obiezione), che una nuova tornata elettorale ravvicinata finisca col sancire il trionfo ‘definitivo’ (per quanto questo termine possa avere senso, in politica) dei “grillini” o”post grillini”.  Così fosse, l’avranno pervicacemente voluto gli italiani. E la nostra responsabilità sarà piuttosto relativa, perché “ad impossibilia nemo tenetur”.

Vincenzo Ortolina

One Comment

  1. Condivido la lettera e lo spirito di questo articolo. Io stesso, in modo diverso ho scritto considerazioni simili https://www.c3dem.it/perche-non-a-una-maggioranza-col-m5s/

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