Debito pubblico: perché non pensare a una soluzione bipartisan?

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di Sandro Antoniazzi

Uno dei gravi problemi che incombe sulla finanza pubblica italiana è indubbiamente la questione del debito.

La rivista ECO, diretta da Tito Boeri, dedica meritoriamente l’ultimo suo numero a questo problema.

Se l’Italia va male (con circa 3.000 miliardi di debito, il 143% del PIL, il più alto delle economie europee e con un interesse annuo che si aggira oltre i 90 miliardi annui) anche la maggior parte degli altri paesi occidentali non se la cava bene.

Al di là del Giappone, il cui debito sfiora il 250% del PIL, anche Usa 130% e Francia 120% si avvicinano agli standard italiani.

Ma è tutta l’economia mondiale che registra un elevato tasso di debito, del 109,4% per le economie avanzate e de 93% per l’economia mondiale nel suo insieme (per un ammontare totale di 100 trilioni, cioè 100 miliardi di miliardi).

Che cosa fare?

Secondo gli esperti non esistono ricette miracolistiche; si tratta piuttosto di realizzare un’equilibrata politica finanziaria pubblica.

Le due questioni da tenere sotto controllo sono da una parte l’avanzo primario, dall’altra uno sviluppo che superi il tasso di interesse.

L’Italia ha avuto per anni un avanzo primario positivo (cioè, le entrate pubbliche superavano le uscite) ciò che consentiva di diminuire il deficit; ma dal 2020, anno della crisi del COVID, si è prodotto un serio disavanzo e solo quest’anno si è ritornati al pareggio.

Le previsioni per il futuro, ammesso che si avverino, parlano di un progressivo aumento dell’avanzo primario fino al 2,4% nel 2029.

L’altra questione è il rapporto crescita dell’economia e livello del tasso di interesse: se l’economia cresce più del tasso di interesse il debito diminuisce e viceversa ne caso opposto.

Il tasso di interesse oggi è sostanzialmente deciso dalla Banca Europea: nel 2022 questo tasso era uguale allo 0%, poi salito rapidamente nel 2023/2024 fino al 4,5% e infine ridisceso al 3% attuale.

Se si ritornasse ai livelli dello 0-1% chiaramente i bilanci pubblici potrebbero trovare sollievo, ridurre il debito e disporre di risorse per gli investimenti.

Naturalmente esiste un’altra soluzione drastica e coraggiosa: un taglio consistente della spesa pubblica.

E’ la strada seguita dal Presidente dell’Argentina, Javier Milei che, all’atto del suo insediamento ha trovato un’inflazione del 270% annua, che veniva finanziata (e prodotta) con l’emissione di carta moneta: i poveri erano saliti al 42% della popolazione e con la riforma fiscale del governo precedente il 99% dei cittadini non pagava alcuna tassa.

Ha bloccato l’emissione di moneta, ha tagliato la spesa pubblica del 30% (salvando i provvedimenti per i poveri), ha svalutato il peso (la moneta nazionale) del 45%; con queste operazioni ha riportato l’inflazione al 57,8% e la differenza dello spread rispetto al dollaro è diventata minima (prima esisteva un dollaro “blue” che era il 120% superiore a quello ufficiale).

In questa impresa audace ha avuto l’appoggio popolare che vedeva nell’inflazione il problema maggiore. Certamente Milei è a metà strada, bisognerà vedere cosa succederà prossimamente.

Per ritornare all’Italia, si può fare qualcosa?

Certamente la politica del ministro Giancarlo Giorgetti è stata improntata alla prudenza e ha dato risultati positivi sul piano finanziario.

Assumere decisioni più impegnative (non certo del tipo argentino), che possano incidere realisticamente sul debito, richiede un ampio consenso.

Teniamo presente che il problema non è né di destra né di sinistra, ma un problema del paese, che oggi deve essere affrontato dal governo in carica, ma domani da qualunque altro governo, anche di sinistra.

Perché allora non pensare a un’intesa bipartisan?

Con la Banca d’Italia si potrebbe concordare come intervenire e il governo adotterebbe le misure concordate con l’assenso dell’opposizione.

E’ vero che nella tradizione politica italiana ci sono poche esperienze di questo genere, ma penso che tutti avrebbero da guadagnarci (innanzitutto il paese) e l’opposizione non perderebbe consensi perché dimostrerebbe responsabilità per il bene comune.

 

 

 

 

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