Cronaca di una sconfitta annunciata

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di Salvatore Vento

I risultati delle elezioni regionali in Liguria sono diventati un caso nazionale; per alcuni un laboratorio di sperimentazione di nuove formazioni politiche, per altri la conferma o meno della fiducia al governo. Invece occorre soffermarsi sulle specificità locali, in particolare la specificità della città di Genova che col 37% degli elettori di tutta la regione, rappresenta il vero punto critico, meritevole di un’analisi più approfondita. L’annuncio anticipato (primi di marzo 2014) dell’autocandidatura dell’assessore Raffaella Paita, appoggiata dal presidente della Regione Claudio Burlando, aveva provocato i primi risentimenti in larghi settori del partito che non tolleravano tale investitura, percepita come quella di un monarca che nomina il proprio successore per continuare a governare. Un comportamento che spiazzò altri assessori regionali che si consideravano potenziali candidati, ma nessuno di essi, al di là delle critiche pubblicamente espresse, alla fine volle partecipare alle primarie optando per la candidatura di Sergio Cofferati. Lo svolgimento delle primarie, oltre alla dura competizione personale, venne macchiata da procedure indecenti riscontrate in una ventina di seggi. La Commissione di controllo del Pd, infatti, annullò i risultati di questi seggi e Cofferati (sconfitto a livello regionale, ma vincente nella città di Genova) non si accontentò del responso della Commissione, si rivolse alla magistratura e successivamente uscì dal partito. All’interno del Pd, nei circoli e tra gi elettori, vi era una diffusa richiesta di annullare le elezioni e scegliere un terzo candidato, che non è stato possibile cercare, anche per l’intervento diretto di Renzi, che sottovalutò il malessere reale emerso tra gli elettori. Un’altra parte del Pd, capeggiata dall’assessore alla sanità, Claudio Montaldo, raccolse 200 firme tra i circoli e avanzò la proposta del “voto di coscienza” poi tradottosi in “disgiunto” (voto alla lista Pd e voto all’altro candidato Presidente, il civatiano Luca Pastorino). Nell’aria a sinistra del Pd si confrontavano due schieramenti: la prima, promossa dal prete don Farinella, individua il candidato ideale in Giorgio Pagano (ex sindaco di La Spezia e ora impegnato nel sociale), il quale però non riuscendo a coinvolgere la componente di Pastorino decide di ritirarsi. Il gruppo di don Farinella insiste e trova l’accordo su un altro candidato, Antonio Bruno ex dirigente di Rifondazione comunista e consigliere comunale, che si dimostra però elettoralmente fallimentare (meno dell’1%). Pastorino raggiunge il 9% e, dopo tanto rumore, ottiene un solo consigliere. Contemporaneamente il centro destra, nel silenzio più generale, riesce in un’impresa imprevista: l’accordo sul consigliere di Berlusconi, Giovanni Toti, catapultato in Liguria e il ritiro del candidato della Lega Nord, Lorenzo Rixi (mossa vincente di Matteo Salvini). Il centro destra si presenta con uno slogan elementare “Uniti si vince”, che contrasta con la rissosità del centrosinistra. I sondaggi della vigilia ritenevano comunque difficile la resurrezione di un partito, Forza Italia, che, infatti, ottiene soltanto il 10% dei consensi.

Sulla candidata Paita, gravavano enormi pesi: un’eccessiva ansia di vincere, un’eccessiva manifesta ambizione, l’investitura anticipata di Burlando, l’adesione di uomini notoriamente di destra a suo sostegno durante le primarie, l’avviso di garanzia dopo l’alluvione (era assessore alle infrastrutture e alla protezione civile): in quell’occasione la Regione ebbe un comportamento ambiguo, con uffici che si scaricavano le responsabilità. Ciò nonostante Raffaella Paita (con l’appoggio dei due segretari del Pd, provinciale e regionale, di area bersaniana, entrambi candidati) conduce una campagna elettorale con grinta e molto impegno e per recuperare a sinistra sente il bisogno di enunciare la sua biografia di giovane iscritta alla Fgci a 14 anni. Inoltre alla vigilia delle elezioni, la Cgil, da sola, proclama lo sciopero generale contro il governo, senza neanche rispettare le antiche e buone regole della tregua elettorale: “La Camera del Lavoro Metropolitana di Genova, in continuità con le motivazioni espresse per le iniziative promosse il 14 novembre e il 12 dicembre 2014, dichiara per il giorno 20 maggio 2015, 8 ore (ovvero l’intero turno) di sciopero generale per tutte le categorie”.

Ogni componente della sinistra è rimasta chiusa nei propri fortini, arrogante nella propria autoreferenzialità, troppo soddisfatta della propria forza nel sistema di potere locale. Tra gli elettori di centro sinistra c’era un grande bisogno di cambiamento, anche nei confronti dell’Amministrazione regionale dove si erano prodotti numerosi scandali di spese anomale che avevano portato a ripetute dimissioni (indagini tuttora in corso). L’ente Regione è percepito come un grande carrozzone burocratico i cui consiglieri godono di ampi privilegi a partire dagli alti livelli retributivi. Non è un caso che l’astensionismo abbia superato quello verificatosi nelle elezioni europee (quando aveva comunque votato il 57% a fronte del 51% delle regionali). Viene spontanea una domanda di etica politica. I principali protagonisti dei fatti narrati, nonostante siano persone di elevata e lunga esperienza politica, non sono riusciti ad ascoltare l’amarezza e l’urlo dei propri elettori e si sono comportati come dei bambini rissosi in preda a risentimenti personali: l’io ha prevalso sul noi; ancora oggi nei commenti post elettorali prevale l’autoassoluzione, completamente assente l’etica della responsabilità. Un potere identificato con la propria persona, peraltro già sufficientemente analizzato nel corso della storia.

Tra il 2013 e il 2015 in tre elezioni (politiche, europee, regionali) viene capovolta la geografia elettorale genovese: il Movimento 5 Stelle è diventato il primo partito, soprattutto nei municipi d’antica tradizione di sinistra (quando il Pci da solo conquistava la maggioranza assoluta) con percentuali oscillanti dal 27 al 32%; la Lega Nord con una presenza sempre insignificante in città (2-3%) in queste elezioni è diventata il terzo partito con una percentuale oltre il 16%. Movimento 5 Stelle e Lega Nord superano il 44% degli elettori. Il Pd dal 44,5% delle europee scende al 24,8% delle regionali.

La precondizione per andare avanti è quella di smetterla di accusarsi a vicenda e di cercare il capro espiatorio; a fronte di una situazione oggettivamente complessa e soggettivamente pesante non servono le semplificazioni. Occorre analizzare le cause del disagio reale, chiedersi come mai cresce la mentalità del “sono tutti uguali” anche tra gli elettori e nei quartieri storicamente di sinistra. Esistono nel centro sinistra grandi potenzialità che rimangono ai margini della vita politica attiva, che non vengono valorizzate perché indisponibili a schierarsi con una componente o l’altra. Ci vuole da parte dei gruppi dirigenti un atto di umiltà e il coraggio di lavorare insieme. La città di Genova è amministrata dal centro sinistra: il confronto leale sulla sua azione risulta imprescindibile.

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