Considerazioni su “La scommessa cattolica”

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Mauro Magatti e Chiara Giaccardi hanno pubblicato di recente un libro, La scommessa cattolica, che  esula dai loro discorsi usuali, generalmente rivolti ai temi sociali.

L’invito a una riflessione sul cristianesimo è senz’altro da accogliere e il volume contiene spunti e riflessioni indubbiamente meritevoli di interesse; però considerando anche il titolo molto impegnativo era lecito attendersi qualcosa di maggiormente esaustivo. E’ l’insieme del volume a lasciare qualche insoddisfazione, come nel trovarsi di fronte a un discorso avviato e non concluso, un fermarsi al di qua di uno sforzo più approfondito, più decisivo.

Mi permetto così di esprimere delle considerazioni nello spirito del libro, che intende appunto invitare a un confronto.

Il capitolo iniziale si sofferma sul tema dell’astrazione (le singole scienze e discipline sono tutte astratte perché studiano una sola dimensione della persona o della materia, rimanendo così separate e incomunicabili tra loro), astrazione che riguarda anche il soggetto e che causa un ostacolo essenziale all’universalità.

Per quanto condivisibile, questo tema non appare sufficientemente adeguato a dare conto della situazione della religione oggi. Sembra decisamente più congruo l’uso del temine “differenziazione funzionale”, secondo cui i vari campi o settori dell’attività umana si sono resi autonomi, autoreferenziali, e sfuggono alla possibilità di un collegamento tra loro (funzione un tempo esercitata dal cristianesimo). La religione oggi è generalmente considerata come una sfera accanto alle altre, più o meno significativa, poco in grado di influenzare le altre sfere (l’economia, i mass media, la scienza e la tecnica) e tendenzialmente in una fase di decrescita (ciò che riconoscono anche i due autori).

La differenza tra astrazione e differenziazione funzionale sta nel fatto che nel primo caso parliamo di una dimensione culturale, mentre nel secondo parliamo di cose molto concrete (ad esempio l’economia non come scienza, ma come la realtà in cui siamo immersi per il lavoro, la casa, i consumi, il credito), che condizionano fortemente i modi di vita delle persone.

Dunque è la realtà che va affrontata ed è questo, mi sembra, l’orientamento esplicito di papa Francesco, innovando rispetto  a una dottrina sociale che stava sulle generali, evitando di misurarsi sui temi più concreti e stringenti. E’ evidente il cambiamento intervenuto e l’accresciuta responsabilità cui sono chiamati i cristiani.

E difatti questo orientamento suscita forti resistenze in molti che, per le più diverse ragioni, preferiscono mantenere ben distinte le diverse sfere dell’attività umana, difendendo la situazione attuale.

Fra costoro si possono includere:

– i cattolici conservatori che, dando il mondo per “perso”, ritengono inutile e rifuggono da ogni dialogo;

– la grande massa dei cattolici per cui la separazione delle attività fa sì che la religione rappresenti  un campo non particolarmente impegnativo, dunque più  accettabile e più comodo da gestire;

– le nuove destre, perché un cristianesimo non troppo profondo consente facili utilizzi strumentali  sono a tutti presenti i recenti casi italiani);

– e da ultimo persino gli “atei devoti”, che sono fra i maggiori difensori dell’esistente, perché vissuto come simbolo di una tradizione, in quanto tale immodificabile, e non certo una realtà da vivere.

 

Gli autori, nell’individuare una risposta alla situazione, propongono un “io” non ripiegato su se stesso, ma che si rivolga al di fuori, si apra all’eccedenza.

Ora noi ci troviamo in una società democratico-capitalistica: democratica, per cui assolutamente liberi nel fare le nostre scelte, comprese quelle religiose; capitalistica, e pertanto fortemente condizionati dal sistema economico-tecnico- massmediale; liberi, ma soli nel mondo globale.

Se in questa realtà la religione è marginale, altrettanto marginale è il posto che occupa nella vita delle persone. Non può che essere così. A volte guardiamo con severità molti cattolici tiepidi, ma si tratta di persone normali che non fanno altro che prendere atto della situazione e che vi si adattano, escludendo opzioni fuori dalla “normalità”.

Piuttosto, la scelta “libera” si volge oggi verso le forme più diverse ed eclettiche di religiosità, quelle che vengono definite “religione personale”; nella società consumistica vi è un’ampia possibilità di scelte anche religiose e ognuno è oggi in grado di farle a proprio modo, alla pari di un consumo.

E’ strano comunque che  Magatti e Giaccardi, che citano ampiamente Romano Guardini, non facciano riferimento a quello che costituisce il suo contributo più profondo e più rilevante a riguardo: mi riferisco allo scritto “L’essenza del cristianesimo”.

Per Guardini il contenuto essenziale del cristianesimo non consiste in una dottrina, ma in una persona, è Gesù Cristo; dunque l’inizio della fede cristiana non può che consistere nell’incontro con Cristo. (E’ stata questa una profonda novità per noi giovani degli anni ’60, ed è stato questo l’insegnamento basilare dell’intera opera educativa di don Giussani).

Dunque, il problema non è solo l’apertura dell’io – senza trascurarne l’importanza -, ma dove e come è possibile fare l’esperienza cristiana (condividendo che dottrina e precetti vengono dopo, tanto più oggi, e come già affermava Guardini). E questo porterebbe ad aprire un discorso sulla comunità cristiana.

Come è noto questo è stato un tema centrale del Concilio Vaticano II che alla chiesa ha dedicato una delle sue costituzioni più importanti e ricca di novità, tra cui la centralità del popolo di Dio e il riconoscimento delle chiese locali. Ma le preoccupazioni del Vaticano per le temute spaccature e divisioni hanno bloccato un’evoluzione che si rendeva necessaria, per quanto difficile e non priva di incognite.

 

Si può dire che le riflessioni di Guardini sull’opposizione polare e le citazioni di De Certeau – nel libro di Magatti e Giaccardi – riguardano un passo successivo, difficile e in larga misura irrisolto, quello della fede adulta e del rapporto fede-mondo.

Nell’insegnamento di papa Francesco è contenuta una risposta possibile: riprendere a interessarsi del mondo a partire dalle persone, dai loro problemi concreti (terra, casa, lavoro), nelle loro comunità umane, nel loro  ambiente; dunque un cristianesimo non separato dalla vita, ricomponendo l’unità delle diverse funzioni a questo livello più immediato.

Nella scia di papa Francesco può anche essere letto un bellissimo contributo di una teologa, Stella Morra, la quale propone di sostituire alla centralità che dura da secoli di “dogma-dottrina-tomismo-istituzioni gerarchiche” la centralità della “misericordia”: non si tratta di abolire nulla del passato, ma di vederlo con una centralità diversa (e non a caso il valore della misericordia è il valore più richiamato da papa Francesco).

De Certeau sosteneva che le strutture ecclesiastiche continuano a gestire il sacro e i sacramenti, ma non esprimono più il “senso” che va cercato altrove, in singole realtà al momento  modeste, comunità di confronto, non sapendo oggi ancora dove e come ricostruire;. Dunque una chiesa di cristiani in ricerca. De Certeau rappresenta un pensiero indubbiamente radicale, ma non privo di verità che meritano di essere considerate.

E qui può tornare utile il pensiero di Romano Guardini sull’opposizione polare, dove due poli non si negano tra loro ma vivono in tensione confrontandosi e interagendo: così si possono oggi vedere i rapporti chiesa-mondo. E così, almeno potenzialmente, li vedeva il Vaticano II che, nella costituzione “La chiesa nel mondo contemporaneo”, non ha espresso direttive ma ha manifestato soprattutto apertura e interesse cordiale.

Chiesa e mondo sono due realtà distinte, ma non nemiche: devono stabilire tra loro una tensione che sia proficua per entrambi.

Dunque il cristianesimo deve sviluppare una sincera attenzione per il mondo senza pensare di trovare soluzioni valide per sempre, ma invece soluzioni costantemente modificabili e migliorabili.

Questo interesse per il mondo potrà trovare forme politiche di espressione, ma il motivo che lo anima è profondamente cristiano; non si può essere umani in un mondo disumano. E il cristianesimo richiede un mondo umano, dove le persone uscendo dal proprio “io” si trovino nelle condizioni di dare il meglio di sé, ha bisogno di un mondo umano per mettere radici e crescere.

 

Sandro Antoniazzi

4 Comments

  1. Bello il tuo commento, Sandro, e lo condivido in gran parte. Ultimamente però mi sto chiedendo: quando parliamo del presente e del futuro dei cattolici, ci interroghiamo abbastanza sul fatto che siamo sempre meno, almeno in Europa? Prima di chiederci cosa fare e come farlo, non sarà più urgente “esserlo”? Ad esempio, quali reali conseguenze pastorali stanno emergendo dal Sinodo sui giovani? Si sta prendendo sul serio questa sfida, che è decisiva perchè si possa parlare anche domani di cristiani (e di cattolici)? E quando dico esserlo (cristiani), significa anche esserlo nel percorrere, come tu giustamente dici, il tentativo (mai riuscito del tutto, sempre davanti a noi, a causa dei nostri limiti e del peccato) di non separare “sacro” e “profano”, culto e mondo, tempio e realtà quotidiana. Perchè il tempio è ormai Gesù Cristo, la sua incarnazione secolare nel mondo, e se ancora esiste il tempio di mattoni è solo per aiutarci ad incontrare, come comunità-comunione, “quel” Cristo e, attingendo comunitariamente alla sua Parola e alla sua sostanza, a cercare di vivere nel mondo seguendo e testimoniando il Vangelo, cioè – ancora una volta – Lui. E questo, non per semplice obbedienza a una fede, ma per renderlo più pacifico, più felice, più giusto, più… salvato, insomma più simile al Regno, il mondo.

  2. riprendere a interessarsi del mondo a partire dalle persone, dai loro problemi concreti (terra, casa, lavoro), nelle loro comunità umane, nel loro ambiente; dunque un cristianesimo non separato dalla vita, ricomponendo l’unità delle diverse funzioni a questo livello più immediato.

    Bho per me anche questo però rischia di essere un discorso astratto perché per occuparmi dei problemi concreti (casa, terra, lavoro ecc.) devo avere una bussola che mi consenta di muovermi, la bussola pratica rispetto al più generale incontro con la persona di Cristo (che è la scintilla che accende il motore) era rappresentata una volta da quella che chiamavamo “dottrina sociale” dottrina che Papa Francesco ha mandato allegramente in soffitta.

    Ora parlare di incontro con Cristo in un contesto secolarizzato in cui la Bibbia è poco più dell’Iliade è assurdo e privi di una direzione più puntuale nella miriade di piccole concretezze si corre il forte rischio di rimanere fermi.

    Rimane una spiritualità vaga e personale fluttuante nel corso della vita tra alti e bassi, impegno e disimpegno che è quello che va per la maggiore.

    Angela.

    • Vorrei rispondere a Angela. Il cristianesimo vive oggi in una sfera separata dal resto che rischia di essere una sfera sempre meno significativa. Ieri c’era un legame dovuto sia alla vita della società, più sociale e più tradizionalmente cristiana e dunque tutto (parrocchia, DC. Acli, dottrina sociale della chiesa) andava in questa direzione. Oggi non è più così. Un cristianesimo separato dalla realtà rischia uno spiritualismo piuttosto astratto. Anche la dottrina sociale della chiesa ieri era dentro a un contesto che legava, oggi rientra nel discorso spiritualistico, astratto. Per riprendere il legame con la realtà più vasta, propongo due cose: a livello delle persone partire dalla loro vita, a livello generale mantenere un dialogo cordiale col mondo molto libero, senza presunzioni oggi di avere chissà quali soluzioni (condividendo invece con gli altri problemi e difficoltà). Penso che per vivere cristianamente i problemi concreti della vita occorrano, più che dottrine, soprattutto delle comunità che si pongano questo scopo. Per questo purtroppo le parrocchie non sono adatte. O cambiano oppure bisogna trovare delle altre forme. Comunque Angela, se mi scrivi possiamo approfondire.

      • Se con dottrina intendiamo fare dotte e infinite conferenze ok probabilmente non serve ma ogni problema concreto si affronta sulla base di un pensiero che lo precede e ci spinge a risolverlo in un modo piuttosto che in un altro.

        In base a quale criterio Papa Francesco chiede ai Brasiliani di conservare la foresta invece che disboscare liberamente come hanno fatto gli altri stati?

        Voglio dire bruciare o non bruciare una pianta è un problema concreto ma decidere se farlo o no è un problema “filosofico” “teologico” “politico” “culturale” ecc. ecc. La storia dei governi tecnici ci insegna che non esistono soluzioni asettiche.

        Giusto per fare un esempio e intenderci.

        A me pare astratto anche illudersi di separare la concretezza della vita da una serie di indicazioni (o riflessioni) più puntuali.

        Grazie per la risposta.

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