Comunità cristiana e lavoro

| 0 comments

Il convegno “Comunità cristiana e lavoro”, realizzato lo scorso 30 novembre dalla ormai collaudata equipe di associazioni Acli Milanesi, Comunità e Lavoro, Città dell’uomo, Rosa Bianca e Circolo Dossetti, è stata un’occasione per tornare alle origini del valore e del senso del lavoro nella vita delle persone. Come dice il titolo, con un approccio di fede.

Per un cristiano cos’è o cosa dovrebbe essere il lavoro nella vita di una persona?

Il convegno è partito da una riflessione già avviata dalle associazioni promotrici in un precedente seminario, prendendo spunto dal libro di Sandro Antoniazzi e Costantino Corbari Lavoro e cristianesimo. Un problema aperto. L’obbiettivo: declinare al futuro il percorso storico sintetizzato nel libro da Antoniazzi e corredato di testimonianze di credenti impegnati nelle Acli, nel sindacato, nella pastorale del lavoro.

Il filosofo Franco Totaro ha evidenziato come il magistero di papa Francesco abbia compiuto una svolta nel magistero sociale della Chiesa sul lavoro sia di metodo sia di merito, collegando il tema ambientale a quello economico e sociale nella Laudato Si’.

Secondo Totaro le associazioni cristiane come le Acli e l’Azione Cattolica hanno perso di incisività sul tema lavoro riducendo il loro impegno alla creazione di “uffici al lavoro” con un’elaborazione poco vicina ai lavoratori in carne ed ossa, similmente a quanto hanno fatto le diocesi con gli uffici per la pastorale sociale e il lavoro. Occorre invece promuovere una partecipazione ecclesiale dal basso sulle questioni sociali e  sul lavoro con l’obiettivo di ricostruire un ethos condiviso.

Non mancano riflessioni importanti ed innovative fatte da sociologi ed economisti sul lavoro e sulle trasformazioni profonde che in esso si stanno verificando, spesso specialistiche ed analitiche dei processi, ma che faticano a parlare ai lavoratori e ad avviare processi. Secondo Totaro bisogna ripartire da una dimensione di senso che riesca a mobilitare le coscienze facendo diventare la persona l’utopia del futuro.  Riconoscendo che l’agire della persona non è riducibile alla sola dimensione del lavoro, soprattutto se  finalizzata all’avere, cioè al guadagno che permette di consumare, che sembra essere il vero elemento di realizzazione nella società contemporanea. L’agire comprende tutto quanto ci mette in relazione con gli altri e quindi anche la dimensione dell’essere, che trova la sua massima espressione nel contemplare. La contemplazione è quella dimensione aperta al trascendente che ci fa capire ed apprezzare quanto riceviamo e non è prodotto da noi. Non è merito nostro e perciò non ci appartiene.

Questo approccio è quello che fa superare una logica individualista antropocentrica distorta, che vede il creato come qualcosa messo a nostra disposizione per essere usato e consumato, e il lavoro in una dimensione prettamente strumentale e produttivista.

Paolo Foglizzo, redattore di Aggiornamenti Sociali e autore con p. Giacomo Costa sj di Il lavoro è dignità (Ediesse 2018), un’antologia commentata dei pronunciamenti di papa Francesco sul lavoro, ha convenuto sul rischio del riduzione della persona ad una sola dimensione, che nella nostra cultura è soprattutto quella del consumo, ritenuto la massima espressione di libertà e mezzo per raggiungere la felicità. Ha descritto il progetto internazionale “The future of work – Labour after Laudato si’”, cui la rivista partecipa all’interno di una rete internazionale di organizzazioni di ispirazione cattolica attive sul tema del lavoro (per maggiori informazioni: www.aggiornamentisociali.it/dossier/the-future-of-work). L’idea è offrire stimoli per ripensare le questioni del lavoro a partire dall’enciclica Laudato si’. Al n. 125 essa definisce il lavoro come “qualsiasi attività che implichi qualche trasformazione dell’esistente”; in radice, questa concezione del lavoro prescinde dalla sua remunerazione, ponendo in evidenza altre dimensioni ed evitando di farne un puro strumento finalizzato al reddito e quindi al consumo.

Questa visione – vigilando perché non si trasformi in un paravento di forme di sfruttamento – può interagire con la nozione di lavoro dignitoso elaborata dall’OIL, che lo intende come attività produttiva svolta in condizioni di libertà, sicurezza, eguaglianza e dignità umana. Ma questi termini non sono intesi nello stesso modo in tutte le culture, e il confronto a loro riguardo può aiutarci ad approfondire e rendere più efficace la tutela dei lavoratori.

In particolare, in una visione cristiana della persona possiamo individuare nel lavoro 4 dimensioni: sociale (il lavoro è relazione, solidarietà, condivisione), economica (genera valore per sè e per la società), ecologica (impatta sull’ambiente in modo positivo o negativo), spirituale (contribuisce allo sviluppo e alla realizzazione della persona). Il lavoro contribuisce allo sviluppo integrale della persona quando ne rispetta la dignità in tutte e quattro le dimensioni. Perciò non è dignitoso il lavoro che danneggia l’ambiente, o che produce morte e malattie (si pensi al caso ILVA d Taranto o alla produzione delle mine antiuomo), anche quando sono rispettate le ordinarie tutele economiche e sindacali.

Enzo Torri ha raccontato la sua esperienza di una vita spesa per il lavoro nel sindacato, nelle Acli, nella pastorale del lavoro della diocesi di Brescia. Sottolineando la forte relazione tra i temi lavoro, sociale e politica. Ha ricordato alcuni punti alti dell’impegno ecclesiale sui temi del lavoro come le Settimane Sociali della Chiesa Cattolica e le Scuole di Politica, evidenziando anche la scarsa risonanza che queste hanno avuto nelle parrocchie. Ha segnalato l’impegno dell’UCID e della Rete di Economia Civile per umanizzare il modello di produzione capitalistico.

Nella sua esperienza ha trovato conferma dell’analisi di Antoniazzi riguardo alla tendenza delle comunità cristiane a delegare alla Caritas tutto ciò che riguarda i poveri, compresi i disoccupati. E la difficoltà a portare nelle parrocchie il tema del lavoro come quello della politica, con l’evidente risultato che i cattolici faticano ad essere incisivi in ambito politico e sociale. Anche la crisi economica di questi anni ha risvegliato l’attenzione dei cattolici sul lavoro solo temporaneamente, e si è affievolita ai primi segni di ripresa, almeno nei nostri territori.

Sergio Colomberotto ha esordito evidenziando la distanza che riscontra tra la sua esperienza professionale di lavoratore in una microazienda e nelle ditte medio–piccole che incontra, rispetto alla realtà con cui si confronta come delegato al lavoro delle Acli Milanesi. Nelle piccole e medie aziende è molto difficile affrontare le tematiche richiamate dai relatori che lo hanno preceduto, pur essendo molto concreti alcuni dei problemi che sono  stati evidenziati. Nelle Acli vi sono esperienze di lavoro molteplici, da quella nei servizi fiscali, a quella nel patronato e di chi lavora direttamente per l’associazione. Semplificando al massimo: i Servizi Fiscali sono quelli che intercettano maggiormente il lavoro giovanile, in parte precario (gli stagionali). Il Patronato è quello che offre una maggior vocazione sociale di attenzione e aiuto alle fasce deboli, con la compresenza di volontari (gratuiti e spesso appartenenti al movimento) e operatori professionali. Chi lavora nell’associazione è invece più impegnato nell’elaborazione di proposte politiche che l’associazione può proporre, anche in sinergia con altri pezzi del sistema. Sono situazioni diverse che possono però aiutarci a capire meglio il mondo del lavoro e a dare un nostro contributo, se vengono messe in relazione. I circoli svolgono poi un ruolo fondamentale di promotori della cultura del lavoro e di analisi della realtà, attraverso incontri culturali e iniziative che realizzano nei territori, in rapporto con la sede provinciale.

Colomberotto ha evidenziato come, in una società così individualista come quella contemporanea e un mondo lavorativo così frammentato, è importante puntare sulla persona stimolando il protagonismo individuale e orientandolo versi obiettivi di bene comune. Movimenti spontanei come quello cappeggiato da Greta e come le Sardine, sono esempi di questo protagonismo orientato al noi. A questi movimenti spontanei, autorganizzati e orgogliosi della loro autonomia da strutture precostituite, le associazioni come le Acli ed altre associazioni storiche possono offrire un supporto di competenza e di elaborazione ideale, facendo comprendere l’importanza di avere strutture adeguate per dare continuità all’azione sociale e politica e realizzare trasformazioni sociali positive e durevoli.

Per combattere il populismo e il sovranismo occorre offrire una visione di insieme come quelle che ci viene proposta sapientemente dalla Laudato Sì, traducendola in scelte concrete, semplici, di tutti i giorni, che fatte insieme ad altri e con continuità possono cambiare davvero la società.

Proporre una visione di insieme e obiettivi comuni che mettono al centro la persona nella sua libertà, ma anche nelle sue relazioni, può rappresentare l’alternativa alla risposta sicuritaria basata sulla diffidenza verso gli altri e la chiusura in se stessi.

Si tratta di un lavoro da fare dal basso, ma che richiede in chi lo promuove preparazione (quindi formazione) e spirito di iniziativa, capacità di trasmettere un approccio politico della realtà e fiducia nella possibilità di cambiare. In questo i laici hanno le maggiori responsabilità, a cominciare da quelli che hanno maggior potere reale nei contesti sociali e produttivi. Per esempio le Acli potrebbero promuovere percorsi di formazione rivolti alla “classe dirigente degli ambiti produttivi” come già fanno per quella politica, per contribuire a cambiare le cose più rapidamente in ambienti di lavoro privi di rappresentanze sindacali forti. Mentre la Pastorale del lavoro potrebbe porsi l’obiettivo di formare e sostenere i sacerdoti in un ruolo di supporto ai laici nella loro vocazione di trasformatori delle realtà temporali, nel lavoro, nella società, nella politica.

 

Sergio Colomberotto

(Acli milanesi)

Lascia un commento

Required fields are marked *.