Come agire da cattolici democratici nelle differenze di posizione?

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Il pluralismo delle scelte e delle appartenenze politiche ha sempre caratterizzato il “mondo” cattolico democratico, ma con la nascita del PD si era avuta l’impressione che la maggior parte delle persone che fanno riferimento a questo filone culturale potessero riconoscersi – seppure con sensibilità e accentuazioni diverse – nell’alveo di una formazione che si era presentata sulla scena come compimento del disegno ulivista.

Quello che è accaduto negli ultimi tempi, con una scissione a sinistra, con la creazione di  MDP, e la nascita di un movimento collegato a Giuliano Pisapia, e altri “distinguo”, ha messo nuovamente in evidenza le differenze che attraversano questo “mondo”. Non interessa qui misurare percentuali numeriche (del resto difficilmente calcolabili), ma chiedersi  cosa di positivo esso può comunque dare nell’attuale e prossima fase della vita politica italiana.

Verrebbe istintivo pensare, sulla scorta di una lunga e nobile cultura della mediazione, a un ruolo di stimolo a favore di un raccordo pre-elettorale tra le diverse componenti di centrosinistra; ma questa ipotesi di lavoro,  che pure è giusto percorrere e su cui alcuni sono impegnati, al momento deve fare i conti con posizioni meno transigenti sia dal lato PD (c’è chi vede con freddezza o peggio una ricomposizione con chi non ha mancato e non manca di criticare duramente il partito), sia da altri lati (dove alcuni considerano il PD un’esperienza in qualche modo insufficiente e/o troppo distante finché c’è Renzi); difficoltà a  cui si  aggiungono diversità non secondarie sul piano programmatico.

In politica anche le differenze più acute possono essere ricomposte (a parte gli accordi al ribasso, che qui non vogliamo considerare) in nome di un obiettivo più elevato; e la storia delle democrazie in Italia e in altri Paesi europei è ricca di questi esempi; a maggior ragione ciò dovrebbe essere possibile tra persone e formazioni che hanno condiviso fino a poco tempo fa uno stesso percorso politico. Ma ora come ora non ci è dato di sapere se i tentativi di accordo in atto nel centrosinistra avranno successo. Per cui è necessario chiedersi anche come orientarsi nel caso in cui non si arrivasse a un’intesa  prima delle prossime elezioni.

Credo che il primo sforzo  dei cattolici democratici (a dire il vero, anche in caso di accordi, ma ancora di più, se così si può dire, in caso contrario) sia quello di contribuire sul piano delle idee e delle proposte ai programmi elettorali delle formazioni di cui si sentono parte o vicini.  È questo un campo in cui, al di là del peso numerico, c’è ancora una qualità di contenuti che merita di essere espressa e, auspicabilmente, valorizzata.

Un secondo sforzo – e non sembri moralismo – è l’assunzione  (e la richiesta in tal senso ai propri compagni di viaggio) di un tono sobrio e rispettoso, adesso e in campagna elettorale. Si possono rimarcare differenze senza per questo delegittimare o avere accenti distruttivi verso componenti che fra non molti mesi potrebbero essere alleate. Molti elettori rimangono, giustamente, disorientati dagli improvvisi cambi di tono e atteggiamento.

Un terzo impegno riguarda il dopo elezioni (capisco che sembra un po’ fuori luogo…  non sapendo poi  quali saranno gli esiti… ): si dovrebbe cercare di far sì che le formazioni che si collocano nel centrosinistra puntino per prima cosa a trovare un accordo fra loro.

Questo articolo non ha l’obiettivo di affrontare tutte le ampie questioni che soggiacciono a queste righe ma di stimolare un confronto sincero e, possibilmente, costruttivo.

Come ancora si usa dire in qualche nostro ambiente, “il dibattito è aperto”…

 

Sandro Campanini

 

Nella foto: Dossetti a Rossena

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  1. Si tratta di capire, Sandro, dove sia “aperto il dibattito”. Sarebbe auspicabile che lo fosse anche e direi soprattutto alla base. E che i più attivi, politicamente e localmente parlando, si rendessero visibili fisicamente e ascoltassero “la pancia” del Popolo periferico. Ho l’impressione che ci sia ormai un enorme distacco fra l’Elettore medio (… e quanti lo saranno ancora attivamente alla prossima tornata?). Al di la’ del dibattito a livello nazionale, ormai quasi ridotto a gossip quotidiano, ci sono praterie periferiche da riesplorare, ricolonizzare (brutto ma “significante”) e soprattutto da capire e riscoprire. Stiamo tutti ad aspettare che qualcuno si metta d’accordo lassù, ma con questa legge elettorale non si chiarirà nulla di definitivo e neppure servirà granchè al Paese “il giorno dopo”. Forse sarebbe ora di ribaltare il ragionamento: che si lavori in aree omogenee (es. Comune e/o Provincia) e lì si elabori un progetto concreto con gli strumenti a disposizione (a partire per es. dai Consigli di Quartiere/Cittadini Volontari). Che la Gente si incontri e si metta in gioco e che cominci ad elaborare presenza di base, attenta alla realtà e non accontentandosi di voli pindarici e continue ipotetiche giravolte di convenienza. L’unico ingrediente che oggi forse necessita in quantità estremamente moderata potrebbe essere il moralismo

  2. Ricomporre il campo è estremamente importante, non solo a fini elettorali, ma perché abbiamo da sempre sofferto la forza disgregante del confronto sulle idee, che, sentito profondamente dai cattolici a partire dalla propria qualità morale, si è tradotto troppo spesso in contrapposizione ideologica e sfaldamento politico.
    Dobbiamo superare questo ostacolo, che ci frantuma da sempre.
    Il primo esperimento prodiano di presentarsi all’elettorato con un programma naufrago nella sommarietà della successiva proposta ellettorale “renzi, civati, cuperlo, pittella.
    Occorre riprendere – con altra forza – quel percorso, sennò si va ai prossimi confronti alla solita maniera: qualche divagazione ideologica e poi?….renzi si…renzi no !?!
    Il recente contributo di Vincenzo Visco – Per una nuova identità, mi pare un’ottima ripresa di metodo: facciamo in tempo, per la prossima campagna elettorale, a presentare all’elettorato una proposta che sappia indicare obiettivi programmatici? a medio termine (ciclo elettorale, cioè cinque anni di lavoro) e strategici (proposte di avanzamento del paese su tempi non elettorali, ma vitali e comprensibili, di cui l’azione quinquennale è premessa determinante)
    Sarebbe un bel cambiamento nel metodo di fare politica e cercare aggregazioni parlamentari

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