Cento anni dopo. Vittorio Strada rilegge un secolo di storia russa

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La recensione dell’autore è apparsa su Via Po, supplemento culturale di “Conquiste del lavoro”, quotidiano della Cisl, del 28 ottobre. Il libro di Vittorio Strada, “Impero e rivoluzione. Russia 1917-2017”, è edito da Marsilio.

 

Il ventesimo secolo è stato fortemente condizionato dalla presenza dell’Unione sovietica e dell’ideologia comunista, nate e sviluppatesi in maniera organizzata a partire dalla Rivoluzione d’Ottobre del 1917. A cent’anni di distanza, Vittorio Strada, sulla base di un’originale documentazione e rilettura di autori russi, presenta una riflessione d’insieme sul processo storico sovietico e sullo sfondo del plurisecolare passato zarista. Considerazioni utili anche per capire l’attuale situazione russa caratterizzata dal risveglio del nazionalismo e dall’insistenza dei valori tradizionali intolleranti verso qualsiasi minoranza.

Il terreno storico nel quale affondava le sue radici la Rivoluzione russa era più ampio della Russia, essendo, da un lato, quello europeo sconvolto dalla guerra e, dall’altro, quello della crisi di un impero che andava al di là della Russia intesa nel senso etnico-nazionale. La presa del potere da parte dei bolscevichi fu l’avvio di un lungo processo rivoluzionario dall’alto durato oltre settant’anni; un ciclo che lo storico deve osservare nella sua interezza per capirne il significato.

Chi meglio ha saputo capire le premesse filosofiche del bolscevismo è un contemporaneo, Nikolaj Berdjaev, il quale in uno scritto del 1917, paragona la caduta del millenario “sacro regno russo” alla caduta di Roma e di Bisanzio: il bolscevismo russo non è soltanto politica, è un fenomeno d’ordine religioso, una percezione e visione totale del mondo; esso avvolge tutto l’uomo, vuole rispondere a tutte le esigenze, a tutti i tormenti umani. Come dottrina fanatica, prosegue Bedjaev, non tollera nulla accanto a sé, non vuole dividere nulla con alcuno. Il mondo viene diviso in due campi contrapposti: da una parte, il regno di Dio identificato nel proletariato socialista, dall’altra, il regno del diavolo rappresentato dalla borghesia.  L’azione tattica e strategica di Lenin – creando il partito dei rivoluzionari di professione, nei pochi mesi tra febbraio e ottobre e poi anche nel periodo successivo – fu quella di un moderno Principe armato di una “teoria scientifica” (ritenuta insuperabile) e guidato da una totale spregiudicatezza nell’uso dei mezzi per conquistare e conservare il potere. Plechanov, considerato il padre del marxismo russo (1856-1918), non condivideva le scelte di Lenin e invitava a salvaguardare le conquiste democratiche della rivoluzione di febbraio. Anche la leggenda che contrappone all’Ottobre ideale e rivoluzionario puro di Lenin e Trotskij, la sua deformazione staliniana, tace su diversi fronti: sul terrore di massa organizzato da Lenin e realizzato da Trotskij, sulla repressione di ogni pensiero d’opposizione e sul monopolio statale della cultura. L’eliminazione fisica dell’intera famiglia reale nella notte del 17 luglio 1918 a Ekaterinburg (lo zar Nicola II, sua moglie Alessandra e i loro cinque figli) vuole rappresentare un esempio della loro concezione della lotta rivoluzionaria.

Secondo il socialista cristiano Geogij Fedotov, l’Ottobre è stato una rivolta contro la libertà e l’instaurazione di un dispotismo mai visto nella storia della Russia, un terribile inganno delle masse popolari alle quali erano promessi “pane, pace e libertà”, mentre si preparavano guerra, fame e tirannia in nome della rivoluzione mondiale. La liquidazione dell’Assemblea costituente, l’istituzione democratica che era stata il sogno delle forze liberali e socialiste d’opposizione all’autocrazia russa, avrebbe dovuto stabilire la Carta costituzionale e le forme di governo della nuova Russia. Sbaglia comunque chi pensa, sottolinea Strada, che il potere sovietico, anche nella sua fase staliniana, sia stato soltanto una dittatura repressiva basata sul terrore poliziesco. In realtà  si è trattato di una grandiosa operazione di egemonia ideologica coronata da un duraturo successo con la costruzione di quella che si è chiamata “cultura sovietica” marxista-leninista e delle sue ramificazioni e variazioni nel mondo, in particolare in alcuni paesi occidentali. Significativo l’intervento di Bucharin contro la libertà di espressione. Per noi, egli affermava, è necessario che i quadri dell’intellighenzia siano allenati ideologicamente, noi stamperemo in serie gli intellettuali, li produrremo come in una fabbrica, bisogna superare sempre di più le idee antimarxiste. E terminava invitando tutti a mettersi sotto i vessilli della dittatura operaia e dell’ideologia marxista. Nel 1938 Bucharin provò di persona gli effetti di questa politica: venne giustiziato da Stalin. La Russia aveva acquistato una nuova religione chiamata leninismo, che ha tutti i suoi riti, la sua predicazione di intangibilità, esclusività e infallibilità; infatti il corpo del profeta Lenin è stato imbalsamato.

Un altro tema per capire le radici storiche dei problemi attuali è lo studio delle caratteristiche dell’impero russo degli zar. Non è un caso che “Ivan il Terribile” e “Pietro il Grande”  saranno elogiati da Stalin per la loro capacità di formare uno Stato autocratico, forte ed esteso dall’Asia all’Europa. Il successo dei bolscevichi fu proprio quello di trasformarlo in impero sovietico, unendo così il passato zarista col presente comunista. Quest’ultimo comincia a dare segni di forte crisi al ventesimo congresso del Pcus con la denuncia di Nikita Chrusciov del culto della personalità instaurato da Stalin. Con l’estromissione di Stalin dall’altare del marxismo-leninismo comincia un lungo processo di desacralizzazione al quale non poteva porre argine il potenziamento del culto di Lenin nella liturgia di regime. Il secondo momento, molto meno evidenziato da storici e commentatori politici, riguarda l’invasione dell’Afghanistan del dicembre 1979, che costerà la vita a circa quindicimila soldati russi e diecimila invadi permanenti. L’avvento al potere di Gorbaciov con l’avvio della perestroika (ristrutturazione del potere) e della glasnost (trasparenza, libertà d’espressione), considerate da Strada tra i più grandi eventi storici del XX secolo, aprì una nuova fase che però non poteva concludersi con una riforma interna senza mettere in discussione l’intero regime. Riformare significava infatti intervenire in un meccanismo in cui tutto era interconnesso, ogni aggiustamento di una parte si ripercuoteva sulle altre. La cultura e la mentalità politiche della classe dirigente sovietica, addormentate dal lungo monopolio delle strutture mitico-concettuali del marxismo-leninismo che precludevano un contatto costruttivo col libero pensiero critico, paralizzavano una vera azione innovativa.

Infine, conclude Strada, il ritorno attuale alla religione ortodossa, alleata del potere politico, non può surrogare l’universalismo rivoluzionario marxista né restaurare lo spirito dell’impero sacrale prerivoluzionario. Creare una nuova universalità per un nuovo impero è un’impresa irrealizzabile e appare piuttosto grottesco il tentativo di colmare tale vuoto con una campagna di conservazione e difesa dei “valori tradizionali” contro il “nichilismo liberale” dell’Occidente.

 

Salvatore Vento

 

 

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