Caso Cancellieri, un’opinione fuori dagli schemi

| 0 comments

Penso sia utile tornare sui nodi genuinamente politici affiorati in occasione del caso Cancellieri. Essi gettano luce sui limiti della democrazia italiana dentro l’attuale congiuntura. Due premesse: chi mi conosce sa che non sono incline al facile perdonismo, semmai mi si imputa un certo moralismo; non sono un entusiasta del governo Letta, fui tra i pochissimi che votarono contro quella soluzione nella direzione nazionale PD, anche se naturalmente poi mi uniformai alla decisione del gruppo parlamentare in occasione del voto fiducia in parlamento.

Ciononostante, al netto di una martellante campagna di stampa e soprattutto del clima di esasperata ostilità (spesso meritata) verso le persone che detengono il potere, oggettivando il merito della questione, penso che non sia impossibile argomentare il voto contrario alla mozione di sfiducia al ministro Cancellieri. Ma, come dire, quel voto non lo si è motivato così, semmai si sono invocate ragioni a tutto tondo politiche concernenti la tenuta del governo. Procediamo con ordine.

Due settimane prima, pur stigmatizzando talune espressioni inopportune contenute nella prima telefonata del ministro al fratello di Ligresti, il PD aveva dato credito alle spiegazioni della Cancellieri. A ben vedere e a dispetto delle apparenze, non erano intervenute novità sostanziali. Solo era filtrata la notizia di una ulteriore telefonata di cui non si conosce il contenuto, ma cui i magistrati non hanno dato importanza, né essi hanno giudicato reticente la ministra tanto che la procura di Torino non ha ritenuto di inscriverla nel registro degli indagati per false o omesse informazioni. Cosa era intervenuto allora nelle due settimane intercorse tra la prima informativa e la calendarizzazione della mozione di sfiducia? Diciamo la verità: la sola novità è stata la coincidenza temporale con l’intensificazione del confronto congressuale nel PD. I quattro candidati, incalzati in pubblico, si sono resi conto che la difesa del ministro, che, ripeto, per sé ci poteva anche stare, era tuttavia difficile da spiegare in termini persuasivi all’opinione pubblica e agli stessi iscritti al PD ai quali i candidati chiedevano sostegno. Sottolineo: tutti i quattro candidati hanno espresso la medesima opinione in pubblico, ancorché con accenti diversi. Anche Cuperlo, che poi nell’assemblea del gruppo PD ha severamente stigmatizzato chi si era pronunciato all’esterno con più nettezza. Cioè Renzi e Civati.

Alla vigilia del voto parlamentare, come è noto, Letta ha posto al PD una sorta di questione di fiducia interna al PD ricorrendo al più forte degli argomenti: la questione, ha sostenuto, era tutta politica, in gioco non era un ministro ma la sorte stessa del governo. A fronte di un carico di questa portata il PD ha rinunciato a fare valere l’opinione, giusta o sbagliata che fosse, largamente condivisa nel PD, di chi chiedeva un passo indietro al ministro, facendosi carico della responsabilità di non mettere a rischio il governo.

Messa la questione sul piano politico, quasi prescindendo dal suo merito specifico, tuttavia, si pongono due problemi di prima grandezza. Il primo: Letta non avrebbe dovuto chiudere sul nascere la discussione semplicemente ponendo l’aut aut della fiducia, ma avrebbe dovuto meglio motivarla presso un partito, il suo, che era in grande maggioranza orientato per le dimissioni. Dentro una sana democrazia parlamentare, tra il premier e il suo stesso partito può darsi una certa dialettica. Letta avrebbe dovuto svolgere con trasparenza il tema solo accennato delle ragioni per cui dimissioni di Cancellieri = crisi di governo. Esemplifico: spiegare che un rimpasto sarebbe stato ad alto rischio, che esso, una volta avviato, avrebbe dato la stura a un puzzle dall’esito sommamente incerto; e rispondere all’interrogativo che stava sulle labbra di tutti: perché non chiedere alla Cancellieri che fosse lei stessa a risparmiare al PD acute tensioni, cavandolo da una situazione imbarazzante? Temo di conoscere la ragione: il Presidente della Repubblica le aveva rinnovato la fiducia ancora poche ore prima, con un irrituale commento di plauso al comunicato diramato dalla procura di Torino con il quale il ministro non veniva inscritto tra gli indagati. Qui sta il secondo e più delicato problema: sin dal suo atto di nascita il governo Letta si è configurato come governo del presidente, che mortifica oggettivamente l’autonomia e il protagonismo delle forze parlamentari, a cominciare da quella di maggioranza, cioè il PD. Rammento la formula deresponsabilizzante che anche i vertici del PD adottarono, nelle consultazioni al Quirinale da cui sortì il governo: ci rimettiamo a Napolitano. Fu un’abdicazione all’esercizio della responsabilità che compete a partiti e gruppi parlamentari dentro una democrazia parlamentare, sino a nuovo avviso. Fu la ragione del mio dissenso in quella direzione nazionale del PD. Essendo, quella posta da Letta, questione a tutto tondo politica, essa competeva appunto a partiti e governo, non ad altre autorità terze. Chi si ispira a una visione parlamentare della democrazia e crede alla funzione dei partiti dovrebbe essere decisamente critico verso derive presidenzialiste che, di fatto, esautorano le forze politico-parlamentari. In concreto, avrebbe dovuto reagire all’ennesima mortificazione del protagonismo del PD, costretto a scelte opposte a quelle largamente dominanti in esso.

In sintesi – questa la mia opinione un po’ fuori dagli schemi – per un verso si è ceduto alle pressioni esterne che avrebbero preteso le dimissioni, anche se non sono sicuro che ve ne fossero le ragioni, e per altro verso si è poi rinunciato a fare valere il proprio punto di vista per superiori (?) ragioni politiche che Letta non ci ha spiegato a dovere ma che, come abbiamo intuito, erano dettate da altri sopra di lui. Fuor di ipocrisia: il Quirinale. Dunque, una rinuncia alla nostra autonomia politica, che è il vizio genetico della soluzione di governo delle larghe intese. Con un solo alto regista. L’ennesima conferma di una vita e di una dialettica democratica compresse. Che è problema più serio del caso Cancellieri ma che, anche in occasione di esso, abbiamo scontato.

 

Franco Monaco

Lascia un commento

Required fields are marked *.