Buona scuola non so, ma si guardi avanti

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Lo premetto: non padroneggio la materia e dunque mi posso sbagliare. Solo una impressione, la mia, ricavata ascoltando chi più se ne occupa e ne capisce, in parlamento e fuori.

In estrema sintesi, direi così: non sono sicuro che siano buone le ragioni della riforma (vi è chi sostiene che riforma non è, non ne ha il respiro e lo spessore), ma sono abbastanza sicuro che molti degli argomenti opposti dai critici buoni non siano, hanno il sapore di un balzo all’indietro.
Non sono sospetto di filorenzismo, ma mi pare ragionevole che chi ha concepito e voluto la Buona scuola si rifiuti alla proposta di fare le assunzioni e di rinviare la riforma. Essa sarà pure limitata e lacunosa, ma rinunciarvi equivarrebbe a una sanatoria, ad assunzioni di massa a fronte dell’abdicazione a qualificare il servizio scolastico-formativo per le nuove generazioni. Sul punto, non mi riesce di seguire l’idea di parte dei sindacati e delle opposizioni politiche. La storia italiana è troppo segnata da assunzioni di massa non accompagnate da riforme.
Intuisco che il discrimine tra chi sarà assunto e chi no, nella frastagliata stratigrafia di chi vi faceva conto, sconta un elemento di discrezionalità e persino di arbitrarietà. Più crudamente: mette nel conto ingiustizie. Mi pare di capire che esse, pur sommamente spiacevoli, sono da attribuire a due fattori: gli errori e le incaute promesse di governi precedenti e i limiti delle risorse allo stato disponibili. È ragione sufficiente per non procedere o, all’opposto, per imbarcare tutti?
Sul tema della valutazione degli insegnanti, si poteva fare meglio. Anche se, in corso d’opera, si sono fatti positivi aggiustamenti. Tuttavia, in sede di discussione parlamentare, sono risuonate voci che mettevano in discussione in radice l’utilità o quantomeno la possibilità di introdurre tale innovazione, da gran tempo auspicata e mai in concreto implementata. Ripeto: criteri e modi possono essere discussi, non il principio, che invece ancora stenta ad affermarsi.
La questione dell’autonomia delle singole unità scolastiche. Di nuovo, non so se sia stata adeguatamente disegnata, ma ricordo che, a inizio anni ‘90, la coppia L.Berlinguer-Bassanini ne fece una delle idee-forza della riforma. Vi si approdò a valle di un ricco e serrato dibattito politico-culturale che condusse alla condivisa convinzione secondo la quale il vecchio assetto centralistico della scuola di matrice gentiliana dovesse essere superato. Anche in coerenza con la visione moderna di uno Stato delle autonomie e della considerazione delle marcate differenze territoriali con le loro molteplici domande formative.
Connessa la disputa sui presidi. Anche a me non piace la denominazione dal sapore aziendalistico “dirigenti scolastici”, ma mi concentrerei sulla sostanza, sull’esigenza di contemperarne i poteri con la collegialità del corpo docente e naturalmente con la libertà di insegnamento. Ciò detto, tuttavia, se si scommette sull’autonomia su qualche figura essa dovrà pure ricadere in termini di potere-responsabilità. Figura che ovviamente, a sua volta, va soggetta a selezione e controlli di merito.

Più o meno le stesse considerazione s’hanno da fare sulla questione di forme di sostegno alle scuole paritarie. Anche qui: si può ragionare su forme e limiti. Ma ho sentito risuonare corde francamente…démodé. In quella riflessione di inizio anni ‘90, pur muovendo da culture e tradizioni diverse (specie sui temi scolastici ed educativi), si approdò alla convinzione, condensata in uno slogan: “pubblico non è solo statale”, ma anche municipale, privato e privato-sociale, cui, a certe precise condizioni, poteva essere dato sostegno, nel quadro di un “sistema scolastico nazionale, unitario e integrato”. Dando una interpretazione del celebre “senza oneri per lo Stato” meno letterale, più sistematica ed evolutiva (in realtà anche coerente con il dibattito alla Costituente). Insomma, una visione articolata e pluralistica della scuola, ferma restando la scuola statale come “spina dorsale” del sistema. Tra gli oppositori, vi è stato chi ha bollato la legge Berlinguer del 2000 come un vulnus al dettato costituzionale dell’art. 33. Mi sono chiesto: davvero si vuole tornare indietro rispetto a una visione meno rigida, statalista e burocratica? Sarebbe un balzo indietro anche sul piano culturale. L’Ulivo fu pensato anche a questo fine: fare maturare la cultura politica di una sinistra moderna e di governo e venire a capo dello storico contenzioso tra laici e cattolici, un portato lungo della “questione romana”. Comprese questioni storicamente divisive, quali scuola e famiglia.
Ecco, ripeto: non so se la Buona scuola sia davvero buona, ma ho l’impressione siano cattivi taluni argomenti cui si è fatto ricorso per contrastarla. Lo osservo sommessamente da non competente, ma da cittadino e politico sensibile alla cultura e alle motivazioni che si invocano per sostenere o per contestare la riforma della scuola.
Franco Monaco

 

2 Comments

  1. Sono assolutamente d’accordo con Franco.
    In particolare sull’autonomia della scuola insistendo a) che il principio dell’unità del sistema pubblico-privato, entro il concetto dell’autonomia scolastica fu la grande soluzione con cui Aldo Moro costruì l’ approdo unitario nella Costituzione, chiudendo un secolo di polemiche. E fu la forza del generoso tentativo di Maria Badalino, , con i decreti delegati ( una delle poche grandi novità partecipative della storia della Repubblica) di costruire un rapporto fecondo fra scuola e società; b) che la logica della valutazione , a tutti livelli, intesa come dinamica auto ed eteri valutativa , dal singolo studente al dirigente è la chiave di una didattica democratica che guarda al centro e non alla periferia dei risultati. Paola Gaiotti

  2. Una riflessione equilibrata, quella di Franco Monaco, che molti dovrebbero leggere. Purtroppo, al di là di alcuni difetti e limiti, la riforma della scuola è diventata il detonatore di una rabbia diffusa e dalle radici lontane, di un “risentimento” (così l’ha definito un sociologo di Parma) che travalica il merito delle proposte. Bisognerebbe tornare tutti – docenti e famiglie – a discutere di scuola e non di slogan… Spero che nell’attuazione della riforma ci sia lo spazio per ragionare lasciando da parte certi “no a prescindere”, soprattutto quando non riguardano i contenuti della riforma, ma la figura del Presidente del Consiglio (che per qualcuno sta diventando una vera ossessione).

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