Alla fine, in quel mattino … (sabato santo, 2014)

| 0 comments

Morto sulla croce, Gesù è deposto nel sepolcro. Il sabato ‘santo’, come lo chiama la liturgia, è il giorno del lutto, del silenzio che conclude i ‘giorni della amarezza’.Silenzio, buio totale, confusione e sconcerto hanno pesato sul cuore degli amici di Gesù, che ora sembrano scomparsi, come hanno pesato anche su ciascuno di noi che riflette. Nel sabato santo  il nostro popolo, secondo una antica tradizione, va a baciare il  crocifisso e lo adora nelle chiese per qualche attimo. Anch’io, mi rannicchio in un angolo, e, come sempre mi capita da tanti anni, rifletto sul senso di questa avventura che sto nuovamente contemplando  davanti alla croce.

Cosa mi ha detto questo Gesù, lì, appeso a un legno, con ignominia e dolore? Il cuore e la mente mi hanno sempre suggerito che la croce dove è appeso questo uomo Gesù è stata l’unica risposta, inquieta e forse incompiuta, che ho saputo dare di fronte al dolore innocente dei bambini, di giovani, di uomini e donne colpiti per tutta la vita da una sofferenza molto più lunga di quella di Gesù. Un crocifisso perenne nella storia della umanità!

Questo personaggio (ebreo ‘marginale’ come lo presenta l’esegeta americano J.P. Meier, nella sua poderosa opera sulla storicità di Gesù, nella collana della Queriniana) conclude da ’emarginato’ la utopia di salvezza che in due o tre anni l’avevano visto predicare, nelle vie della Palestina, l’annuncio del ‘regno di Dio’, il cuore della sua predicazione. ‘Tutto è compiuto’ è la sua ultima parola nel vangelo di Gv 19,30. Il ‘figlio dell’uomo’, l’unico titolo che gli conveniva prima di essere riconosciuto come messia, cristo, Signore, dalla primitiva comunità cristiana, assapora l’essenza della morte, questa strana fine a cui è sottoposta l’umanità. ‘Tutto è compiuto’, bisbiglia Gesù, morendo sotto la violenza crudele inflitta  ai crocifissi. L’uomo che ha guarito e amato ‘fino alla fine (Gv 13,1) ‘finisce’ morto in croce. E il testo giovanneo aggiunge, con infinita dolcezza “chinato il capo, spirò” (19,30). Come un ‘agnello’, ucciso, china la testa con mansuetudine. Sopra lo scavo del sepolcro viene posta una grossa pietra. Venerdì sera, sabato, pasqua degli ebrei, alba del mattino del nuovo giorno: la ‘pietra’ è rigettata via, Gesù, ora Signore, è risorto.

E qui, ho pensato ancora a lungo: la Pasqua è la libertà, la speranza, la vita che spiega il perchè della incarnazione del Figlio di Dio. Doveva essere compiuta la ‘creazione’ che si era interrotta fin dall’inizio (Gen 3); ora il nuovo Adamo porta in sé il germe nuovo di tutti noi, uomini e donne, di tutta la creazione, del cosmo; in lui risorto inizia la storia della speranza del mondo. La pietra è stata divelta, l’uomo crocifisso è risorto. Gli innocenti, crocifissi della vita, già ora risorgono in lui. Sono i primi a meritarlo, avendolo portato già in se stessi, lungamente, nella croce.

Alla fine, in quel mattino, rannicchiato nel mio angolo di chiesa, mi sono stupito di un pensiero: ho pensato che la chiesa è chiamata a testimoniare la potenza e la bellezza della risurrezione nel mondo. A volte ci è riuscita molto bene, già da duemila anni. Ho pensato al miracolo del nostro tempo, dove papa Francesco, come il piccolo Francesco d’Assisi, continua a proclamare al mondo e alla sua chiesa la necessità dell’amore, della misericordia, della dolcezza annunciata da Gesù.

Ma, ahimè, c’è qualcuno oggi, nella chiesa, che vuole ostacolare la rimozione della pietra per far risorgere una nuova chiesa, la chiesa del vangelo, dei  poveri, dei peccatori come vuole il nostro papa Francesco? Forse che Gesù non deve risorgere anche oggi, per liberare l’umanità dai pesi del male, del potere, delle ingiustizie di cui il mondo continua ad essere ferito?

Chi vorrà, oggi, impedire che la chiesa risorga, come lo ha fatto con Gesù nell’alba di quella Pasqua dell’anno 30?

 

don Enrico Ghezzi

 

Lascia un commento

Required fields are marked *.