La questione salariale

| 2 Comments

di Sandro Antoniazzi

Si parla tanto di salario e delle basse retribuzioni dei lavoratori italiani, ma molti si accontentano di affermare che occorre aumentare i salari senza esplicitare le cause e pertanto anche le loro richieste esprimono un desiderio più che una via di soluzione.

La vera causa è una sola. La mancanza di produttività che in 30 anni non è cresciuta; è l’aumento di produttività che consente la formazione di nuova ricchezza e dunque la possibilità di aumentare i salari e la spesa.

Facciamo un esempio pratico. Un’azienda di 100 lavoratori produce in un anno 1.000 prodotti; se l’anno successivo ha bisogno di realizzare 1.100 prodotti ha davanti a sé due soluzioni: o assume altri 10 lavoratori e dunque il rapporto numero dei dipendenti/numero dei prodotti rimane eguale, oppure riesce a produrre i 1.100 prodotti con gli stessi 100 lavoratori originari, perché ha migliorato i macchinari l’organizzazione del lavoro.

Nel primo caso è aumentata l’occupazione (da 100 a 110), ma senza aumento di produttività; dunque, i salari rimangono invariati; è quello che sta accadendo in Italia, anche perché la tanto osannata crescita dell’occupazione avviene in settori (ristorazione, turismo, edilizia, commercio) dove la produttività è spesso assente.

L’aumento dell’occupazione è di per sé un fatto positivo, ma è proprio questo aumento a segnalare che non aumenta la produttività.

Nel secondo caso non aumenta l’occupazione (i lavoratori rimangono 100), ma aumenta la produttività; adesso gli stessi 100 lavoratori producono 1.100 prodotti, invece di 1.000 dell’anno precedente e si apre così la possibilità di aumenti salariali.

Ma perché è così bassa la produttività in Italia?

I motivi sono sostanzialmente due: il primo è la dimensione eccessivamente modesta delle nostre aziende (il 95% dele aziende sono inferiori ai 10 dipendenti) ciò che impedisce innovazione, ricerca e investimenti tecnologici adeguati; il secondo è dato dalla globalizzazione a cui molte aziende invece di reagire elevando il livello qualitativo dei prodotti e delle proprie capacità, si sono adagiate accettando di concorrere alla gara mondiale del produrre al costo più basso.

Dunque, c’è una sola strada per aumentare i salari, non ce ne sono altre: si tratta di far uscire il sistema produttivo da questa situazione stagnante e renderlo più avanzato tecnologicamente e organizzativamente in modo permanente.

Invece di proporre dei referendum che non porteranno miglioramenti ai salari dei lavoratori e che frenano l’impegno per i problemi reali, sarebbe ora che i sindacati unitariamente prendessero un’altra strada.

La Cisl parla di un Patto sociale che affronti produttività, competenze, salari, però questo può essere il titolo dei problemi da affrontare. Occorre fare uno sforzo in più e stendere un vero programma con proposte precise da presentare alle controparti.

E occorre anche prendere in mano con decisione la situazione con fermezza e determinazione.

Queste proposte vanno presentate alla Confindustria e alla Confcommercio (data l’importanza del settore terziario) e solo in un secondo momento al governo, quando si è raggiunta una base d’intesa con le associazioni imprenditoriali.

Sono un po’ di anni che, date le difficoltà generali, i sindacati hanno preso l’abitudine di rivolgersi soprattutto al governo più che alle associazioni imprenditoriali, che rimangono gli interlocutori principali del sindacato, perché è con loro che si può discutere seriamente di cosa è possibile fare nelle aziende.

Naturalmente questa iniziativa deve essere unitaria, non solo per esprimere la maggior forza possibile, ma anche perché le controparti non hanno nessuna disponibilità a trattate con un singolo sindacato (riportando poi le divisioni nelle aziende).

Non si tratta di essere pro o contro l’unità (d’azione), ma di una pura necessità elementare.

Riuscire in quest’impresa costituirebbe un passo importante per i sindacati e per i lavoratori; significherebbe finalmente aver scelto la strada giusta per contribuire a un sistema produttivo più avanzato in grado di sostenere aumenti salariali.

Così come stanno le cose, oggi, “i soldi non ci sono”. Non ci sono nelle aziende industriali e commerciali se non in alcune più produttive dove interviene la contrattazione aziendale, non ci sono nello Stato, dove il governo continua a fare leggi senza finanziamenti oppure trova i soldi spostandoli da altre voci del bilancio.

Se non si cambiano condizioni strutturali di fondo e si continua a rimanere nella stessa situazione, potremo lamentarci, gridare, litigare, ma le nostre attese di un cambiamento continueranno ad essere un puro desiderio.

 

2 Comments

  1. LA QUESTIONE SALARIALE IN ITALIA NON È SOLO QUESTIONE DI SALARI
    Elementi di riflessione – maggio 2025 – di R. Vialba

    La questione salariale in Italia non da oggi, ma ancor più oggi che le ricerche in ambito europeo e OSCE consentono documentati confronti tra l’Italia e gli altri Paesi europei e internazionali, è divenuto un problema di grande rilevanza sia in quanto evidenzia l’esistenza di ragioni strutturali che relegano l’Italia negli ultimi posti in molte classifiche economiche, sia perché in esso si compendiano e riassumono i grandi temi delle disuguaglianze e della povertà.
    Pur nella difficoltà di disporre di dati omogenei tra le diverse fonti, in particolare ISTAT e OSCE, evidenti sono le differenze che connotano la realtà italiana nei confronti con gli altri Stati, differenze che alla fine pongono delle domande sui “perché” e rivendicano risposte.
    Data per scontata questa difficoltà, si riportano i dati pubblicati nei libri di Riccardo Staglianò “Hanno vinto i ricchi” e di Roberto Mania e Andrea Garnero “La questione salariale”, in quanto per tutti i dati è indicata la fonte dalla quale sono ricavati e parte degli stessi sono ulteriormente esplicitati e integrati:
     – 2,9% – Variazione percentuale dei salari medi in Italia dal 1990 al 2020, ultima nella classifica stilata da Openpolis su dati Ocse

     Nella stessa classifica risulta che la Germania è a + 33,7%, la Francia al + 31,1%, il Portogallo al + 13,7%, la Spagna al + 6,2%

     – 8,7% del potere di acquisto dei salari dal 2008 al 2024 in Italia (Ocse)

     Italia, Austria, Danimarca, Finlandia e Svezia sono i Paesi dell’Unione Europea che non hanno il salario minimo (Eurostat)

     Nel periodo del Governo Meloni (Settembre 2022 – dicembre 2024) l’inflazione è stata del 17% e l’adeguamento dei salari del 4% (Ocse)

     + 22,8% – Aumento della produttività per ora lavorata nel periodo 1990 – 2020 (Ocse)

     4,5% – Diminuzione del potere d’acquisto dei salari lordi dei lavoratori dipendenti negli ultimi dieci anni 2014 – 2023 (Istat)

     9,8% Italiani in povertà assoluta nel 2023, ovvero 5.752.000 persone (Istat)

     11.5% – Occupati a rischio di povertà nel 2023 (Istat)

     retribuzione media pro capite lorda dei lavoratori dipendenti nel 2023: Italia 33.492, Germania 60.867, Francia 43.438, media EU 41.004 (Euronews)

     retribuzione media pro capite netta dei lavoratori dipendenti nel 2023: Italia 24.207, Germania 38.086, Francia 31.481, media EU 28.217 (Euronews)

     Rapporto reddito netto / reddito lordo: Italia 27,73%, Germania 37,43%, Francia 27,53%, media EU 31,39% (Euronews)

     Il cuneo fiscale nel 2022 era del 45,1% in Italia, del 47,9% in Germania, del 46,8% in Francia e del 34,8% nell’area Ocse

     Nel 2024, la pressione fiscale sul reddito medio da lavoro dipendente in Italia è rimasta elevata, toccando il 42,6% del PIL, in aumento rispetto al 41,4% del 2023

     70.360 euro è il reddito medio del lavoro autonomo in Italia nel 2023, reddito che è tassato con la Flat Tax del 15% per redditi fino a 85.000 all’anno (Mef).

     Non ci sono dati che quantificano il minor gettito fiscale per effetto della flat tax del lavoro autonomo, ma stime attendibili lo indicano in circa 3 Md. In quest’area il tasso di evasione fiscale IRPEF arriva al 69,7%. (Agenzia delle Entrate)

     23.932.000 – Totale dei lavoratori occupati nel 2024, di cui 16.078.000 a tempo indeterminato, 2.769.000 con contratti a termine, 5.085.000
    lavoratoti autonomi (Istat)

     4.238.000 lavoratori a part time in Italia nel 2023 (Istat) di cui il 58% è involontario (CGIL)

     Novembre 2024 – 29 contratti nazionali scaduti e non ancora rinnovati che interessano 6,9 milioni di lavoratori dipendenti. I tempi di attesa sono di 18, 3 mesi (Quotidiano Nazionale: Economia)

     1.011 – contratti collettivi, di cui circa 900 “pirata” (Inps)

     7,9% – Ore lavorate in meno dal 2000 (133 ore all’anno), a causa della forte crescita del part time (Istat)

     64,4% – Percentuale di donne in part time involontario nel 2019 (Eurostat). Quota che al sud raggiunge l’80% (Svimez)

     10,3% – Quota di working poors, lavoro povero e lavoratori poveri, in Italia nel 2024 (Eurostat)

     780 euro – Un quarto dei lavoratori guadagna meno di questa cifra (che corrisponde anche all’ammontare massimo del reddito di cittadinanza per il single, incluso il contributo per l’affitto.

     Le dichiarazioni dei redditi:
    • oltre il 50% dei dichiaranti ha un reddito lordo annuo inferiore a 15.000 euro;
    • circa la metà dei contribuenti con redditi fino a 15.000 euro non versa né tasse né contributi previdenziali;
    • il 53,19% dei contribuenti (oltre 31 milioni di persone) contribuisce con appena il 6,21% dell’IRPEF totale;
    • il 93,7% dell’IRPEF è pagato da circa il 46,5% dei contribuenti con redditi superiori a 20.000 euro (Agenzia delle Entrate)
    • 83% – Percentuale dell’Irpef pagata rispettivamente da lavoratori dipendenti (53,5%) e pensionati (29,5%) nel 2022 (Mef)
    • 69,7% – Percentuale dell’Irpef evasa dai lavoratori autonomi nel 2020 (Mef)

     72% – Aliquota massima Irpef nel 1974. Oggi è al 43% (Mef)

     100 miliardi di euro – La media annuale (2018 – 2020) dell’evasione fiscale (gap contributivo) in Italia calcolata dal Mef, è di 96,3 miliardi nel 2023

     nel periodo che va dal 2000 al 2024 – le somme dovute e non riscosse dal Fisco e da altri enti con poteri fiscali sono di 1.274,5 miliardi. Al netto delle persone nel frattempo decedute, delle imprese cessate, dei nullatenenti e dei contribuenti già sottoposti ad azione cautelare/esecutiva, l’importo potenzialmente aggredibile e ricuperabile si riduce però drasticamente, crollando a poco più di 100 miliardi di euro, 7,9% del totale (Agenzia delle Entrate)

     il debito pubblico in Italia alla fine del 2024 ammontava a 3.010 miliardi con una spesa per interessi di circa 100 miliardi/anno

     20 sono i condoni fiscali approvati dal Governo Meloni dall’ottobre 2022 ad oggi, e altri sono in corso di definizione e approvazione

     0,05% – Percentuale del PIL che viene dalle imposte di successione (Mef)

     Nel 2024, in Italia, la quota di ricchezza concentrata nelle mani del 10% più ricco sia salita dal 52,5% del 2010 al 59,7% del 2024, mentre il patrimonio del 50% più povero è sceso dall’8,3% al 7,4%.

    Questo è il quadro di riferimento dal quale, avendo scelto di affrontare il grande tema della questione salariale in Italia, non sì può prescindere.
    La complessità di questo tema, la cui sempre parziale soluzione richiama molti altri problemi, non ultimo quello delle crescenti disuguaglianze nella redistribuzione del reddito e della ricchezza nel nostro Paese, è tale da richiedere che per il Governo, il Parlamento, le forze politiche di maggioranza e di opposizione, le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro, convengano che la questione salariale è la priorità assoluta delle loro iniziative e che queste debbano essere concordate e coordinate.
    Confermano la validità di questa ipotesi, peraltro praticata in Italia negli anni ’90 del secolo scorso e conosciuta come “Politica della Concertazione”, i dati di crescita dell’economia della Spagna che nel 2024 ha visto la crescita del PIL del 3,2% superando le previsioni degli analisti economici.
    Può essere che per la attuale particolarità della situazione politica e sindacale italiana questa ipotesi possa essere considerata improponibile non essendo questo il tempo delle grandi riforme, ma nulla toglie all’esigenza che tale resta.
    Il tema della questione salariale investe direttamente e prioritariamente le Confederazioni sindacali CGIL, CISL e UIL, in quanto risponde alla loro ragion d’essere, cioè “la tutela degli interessi e delle esigenze dei lavoratori e dei pensionati”.
    La complessità del tema “questione salariale in Italia” chiede a CGIL, CISL e UIL di valorizzare meno la loro dimensione di “soggetti politici” per esaltare la loro volontà e la capacità di superare le attuali difficoltà che si riscontrano nei rapporti unitari e convenire su proposte di metodo e di merito da proporre al confronto con le parti istituzionali e imprenditoriali che necessariamente devono essere chiamate in causa e coinvolte nella ricerca di soluzioni ad un problema che non può essere risolto con un paio di decreti stante che la questione salariale in Italia non è solo questione di salari.
    Proposta di metodo: come l’esperienza dimostra, in particolare la Spagna che nel 2024 ha realizzato il 3,2% della crescita del PIL rispetto alla media dei Paese Ue dell’0,7%, la “politica della concertazione” è la condizione richiesta ed essenziale per affrontare problemi complessi che richiedono interventi molteplici e coordinati. Questa è la “politica” che in Italia abbiamo sperimentato negli anni ’90 del secolo scorso e ci ha consentito di affrontare e superare una difficilissima crisi economica e di essere parte del gruppo di testa dei Paesi ammessi all’adozione dell’euro nel 1999 e alla sua introduzione come moneta circolante dal 1 gennaio 2002.
    Proposta di politica economica, salariale e fiscale, nonché proposta di strategia necessaria alla sua attuazione, finalizzata a costruire risposte credibili perché possibili finalizzate alla riduzione del divario che esiste tra la realtà italiana e, almeno, la media dei Paesi dell’Unione Europea, in materia di tassazione dei redditi da lavoro dipendente, di cuneo fiscale, di rivalutazione salariale, di sistemi fiscali, ecc.
     Il primo degli interventi necessari concerne la riduzione della pressione fiscale sui redditi da lavoro dipendente sia attraverso la rimodulazione delle fasce di reddito e delle relative aliquote, sia attraverso la riduzione del così detto “cuneo fiscale” per la parte a carico del lavoratore.
    Queste misure non potranno essere “interventi una tantum o occasionali” ma dovranno divenire di sistema, cioè strutturali.

     Il secondo degli interventi riguarda l’istituzione, per legge, del salario minimo inteso sia come la più bassa remunerazione in paga oraria, giornaliera o mensile che i datori di lavoro devono, per legge, corrispondere ai propri lavoratori dipendenti ovvero impiegati e operai, sia come misura di tutela e garanzia per tutti i lavoratori, in particolare per quanti non sono tutelati dal sistema contrattuale.

     Intervenire sulla fiscalizzazione degli aumenti retributivi quando i contratti di lavoro non vengono rinnovati nei loro tempi naturali. Il ritardo nel rinnovo riduce il potere di acquisto di salari e stipendi.

     Lotta alle spese inutili e all’inefficienza della spesa pubblica e per avviare un processo finalizzato a migliorare l’efficienza e l’efficacia della pubblica amministrazione nelle sue strutture nazionali e territoriali, nonché delle procedure decisionali e attuative, dei singoli atti all’interno dei programmi e dei risultati finali.

     Riduzione del debito pubblico come misura per liberare risorse da quelle finalizzate al pagamento degli interessi per destinarle alla riduzione della pressione fiscale sui redditi da lavoro dipendente

     Verifica della rappresentatività di chi sottoscrive i quasi 1000 “contratti pirata” registrati al CNEL e loro abolizione

  2. La questione mi pare molto interessante, la produttività del lavoro è materia senza dubbio delicata ed importante perchè coinvolge anche l’eventuale sfruttamento del lavoratore e le argomentazioni di Sandro Antonazzi, che chiamano in causa i sindacati e la loro funzione, mi sembrano senz’altro condivisibili: sarebbe auspicabile che sull’argomento si aprisse, su questo sito, un dialogo ed un confronto serio che ci aiutasse a crescere tutti nella consapevolezza delle questioni vere che riguardano la vita sociale e democratica del nostro paese.

Lascia un commento

Required fields are marked *.