Ci troviamo tutti davanti ai cambiamenti epocali che investono la società di oggi e quindi anche la Chiesa che ha l’intento, voluto da Gesù (siano una cosa sola, Giovanni 17, 20-26) di radunare “le genti” attorno alla Parola Buona. Cambiamenti che hanno sicuramente aspetti fortemente negativi, come la riduzione drastica della comunità dei fedeli che si ritrova nell’Eucarestia e la mancanza di vocazioni religiose. Ma occorre, per evitare di inseguire falsi e inutili rimedi, analizzare almeno approssimativamente l’evoluzione sociale avvenuta negli ultimi 200 anni. La struttura ed il pensiero della Chiesa, inoltre, è fino a 50 anni fa rimasta ancorata al Concilio di Trento (1545) considerandolo spesso come la tappa “finale” delle riforme ecclesiastiche (cosa fermamente creduta ad esempio da mons. Siri che aveva una influenza forte su una parte consistente della gerarchia e del popolo). In questo senso anche il Concilio Vaticano I nel 1868, unico dopo Trento, rafforzava la struttura tridentina con il dogma dell’infallibilità papale. Ma c’erano persone sante nella Chiesa che sostenevano la necessità di medicare alcune piaghe, come fece Antonio Rosmini, promotore di una comunità dedita ad opere di carità. Il libro di Rosmini venne messo all’indice perchè, pur non contenendo eresie, poteva essere male interpretato da alcuni cristiani. All’inizio del nuovo secolo XX si sviluppava il movimento modernista, duramente represso dal santo Pio X. Dopo 50 anni Il Concilio Vaticano II riportava nella Chiesa, che ne sentiva adesso la necessità, le istanze di Rosmini e di Semeria. Si preparava, allora, una nuova missionarietà della Chiesa nel mondo, con un atteggiamento diversamente magisteriale e con l’accettazione di un pluralismo religioso che evitava condanne e separazioni. Anche l’idea di Dio onnipotente, onnisciente, giudice giusto ma inflessibile, veniva nell’insegnamento lentamente sostituita con quella del Dio che ama smisuratamente l’uomo e la creazione. Nonostante questo nuovo slancio della Chiesa (non egualmente interpretato sempre da tutti i papi successivi al Concilio) la secolarizzazione avanzava senza tregua allontanando di fatto il sentire religioso dalla vita quotidiana delle famiglie. E’ solo opera del demonio o ci sono circostanze e situazioni storico sociali che lo spiegano?
Un’antropologa piemontese, ad un convegno del movimento “Equipes Notre Dame”, di cui facciamo parte dal 1974, disse che ci troviamo al maggior cambiamento culturale e sociale dal tempo del neolitico. Io vorrei solamente far osservare alcuni dati:
– Nel 1950 la popolazione che viveva di agricoltura era ancora del 50% in Italia, oggi meno del 3%; il contadino ha una religiosità indotta dalla aleatorietà del suo lavoro, legato ai fenomeni meteorologici che non si possono controllare. L’operaio ha una percezione radicalmente diversa del suo destino.
– Negli stessi anni, e ovviamente nei secoli precedenti, chi sceglieva la vita religiosa entrava a far parte – in prevalenza – di una classe privilegiata. Aveva accesso agli studi, cosa che gran parte della popolazione non poteva permettersi; arrivava alla guida religiosa di una comunità, aveva l’amministrazione di una parrocchia che generalmente aveva redditi cospicui o comunque sufficienti al mantenimento proprio e anche di familiari. Il parroco di campagna era spesso una autorità superiore anche a quella civile. La rete diocesana offriva protezione ed indulgenza in casi sfortunati. Negli ordini, i conventi offrivano una comunità e una sicurezza sociale, anche se alcune famiglie religiose mantenevano regole di sobrietà e di umiltà, come gli ordini mendicanti. In poche parole c’era uno stato sociale del prete-religioso che rendeva possibile e anche attrattiva la carriera ecclesiastica. Ciò non esclude che ci fossero autentiche vocazioni, ma implica che non tutte le vocazioni potevano essere completamente libere da interesse personale. Anche nei Promessi Sposi Padre Cristoforo, pur pentito dell’omicidio commesso, si affida alla immunità offertagli dall’ingresso nel convento cappuccino.
– Fino al Concilio Vaticano II , anche se in maniera decrescente lungo il secolo, l’impostazione della vita cristiana si basava essenzialmente su adempimenti: la messa domenicale, i sacramenti della confessione e dell’eucarestia ( almeno a Pasqua…) , l’importanza attribuita al digiuno eucaristico, l’osservanza del venerdì magro, la proliferazione di peccati “mortali” che comportavano la rottura del rapporto con Dio, l’impostazione prevalentemente peccaminosa degli aspetti sessuali dell’esistenza. Una religione prevalente sulla fede. Una fede che aveva il suo unico compendio nell’adempimento dei dieci comandamenti (un po’ in sordina settimo,ottavo e nono) e dei precetti della Chiesa, messi sullo stesso piano. Una impostazione che reggeva in una società povera, con scarsi mezzi di comunicazione, chiusa nell’ambito locale.
Dopo gli orrori, i lutti e le distruzione della seconda guerra mondiale, la ricostruzione del nostro paese consentiva incentivi allo studio, al lavoro, alla coesione sociale, nonostante le divisioni ideologiche e politiche indotte dalla divisione -pace armata tra oriente e occidente. Nel 1968, però, nel mondo giovanile ed in quello operaio si alzarono venti di protesta e istanze forti di cambiamento. Anche don Milani nel 1965 scriveva che “l’obbedienza non è più una virtù”. Oggi che la morte di Don Milani è distante, anche gli ambienti cristiani ed episcopali che lo avevano aspramente combattuto lo accettano per diluire meglio il suo messaggio. Nella Chiesa di quegli anni furono numerosi preti e anche vescovi che presero le distanze dal perbenismo clericale che considerava ogni riflessione e cambiamento dannosa alla Chiesa e al mondo. Ma la deriva che tendeva a conservare e perpetuare atteggiamenti subordinati e obbedienze sostituendoli all’autentico annunzio richiesto dal Vangelo è rimasta prevalente nella Chiesa, favorita, forse, anche da atteggiamenti spettacolari e universalistici della gerarchia, sostanzialmente incapace di affrontare concretamente, non solo con buone e sagge parole, i temi brucianti della società come si è trasformata dalla metà del secolo scorso ad oggi. C’è stata l’esplosione dei mezzi comunicativi immediati , attraverso le televisioni; poi l’era della comunicazione dei social media, ed infine l’ubiquità e l’invasività della rete attraverso la telefonia smart a cui oggi hanno accesso i ragazzi e i bimbi dai 7-10 anni. La mediocrità , per non dire la volgarità, della cultura di massa televisiva ha indotto comportamenti familiari e sociali prima impensabili e socialmente isolati; il martellamento pubblicitario rende persuasi molti che la realizzazione del proprio io sia attraverso consumi “marchiati” e simbolici, tra cui l’auto, le vacanze, i capi di abbigliamento firmati che hanno vita breve, il cibo abbondante ed esotico, e le diete “magiche”. Il trasferimento in Oriente dell’apparato produttivo, dove la maggiore povertà riduce i costi del lavoro in maniera drastica, ha spinto una cultura e un comportamento sociale consumistico che invade la sfera personale inducendo a idolatrie che poi creano delusioni e senso di vuoto. Mi fa meraviglia la meraviglia di quanti guardano al disagio giovanile non comprendendo come giovani che hanno tutto possano sentirsi vuoti, sbandati, e non trovino scopo nella vita. Bisognerebbe meravigliarsi del contrario, cosa che può avvenire dove le famiglie mantengano un sano e forte rapporto solidale educativo, dove i genitori non siano semplici allevatori ma si pongano, anche con i propri limiti ed errori, come educatori attraverso l’esempio. Ma l’ideologia del consumo ha purtroppo contaminato pesantemente i rapporti affettivi, per cui si dà per scontato che finita l’attrazione reciproca tra uomo e donna (e perchè finisce?) non ci sia più nulla da condividere e scambiarsi. Il numero di relazioni prevale sulla qualità di esse.
In questa situazione sociale e culturale come può una evangelizzazione basata su concetti validi (se pure lo erano) 70 anni fa avere presa? Come si possono sviluppare vocazioni al servizio ecclesiale? (le poche che si sviluppano oggi come scelte personali hanno generalmente un valore e una forza superiori alla situazione quantitativa del passato). E’ necessario quindi preparare seriamente la Chiesa, clero e fedeli, ad un diverso orientamento di annunci, di servizio e di presenza nella società. Per far questo, bisogna con pazienza esplorare nuove strade, e soprattutto riportare una pratica personale, familiare, parrocchiale e diocesana di incontro e scambio dell’esperienza di fede delle persone, indipendentemente dalla loro cultura e preparazione religiosa. Serve una pratica che diffonda la lettura della Parola di Dio, che approfondisca il significato del Vangelo, nella società di oggi, nella nostra vita di tutti i giorni. Serve diffondere la coscienza che l’Eternità non è (solo) un premio dopo la morte per chi ha fuggito il peccato, ma uno stato nel quale siamo immersi dal Battesimo e che continua ogni giorno della nostra vita, nei momenti felici ed in quelli tristi, bui, nei quali pensiamo di non poter vedere una luce, una speranza. E’ in quei momenti che lo Spirito ci può assistere e guidare, ma lo Spirito si manifesta non in maniera “magica” ma soprattutto attraverso le relazioni buone che ci ha spinto e aiutato a costruire nella nostra vita, e che sono state costruite dal nostro prossimo nei nostri confronti; attraverso il dono fatto di attenzione, affetto, compassione. Con la prospettiva storica del mondo di oggi, siamo anche in grado di riconoscere che atteggiamenti, pensieri, modi di esprimere la propria fede in epoche passate, non sono più accettabili adesso e per il futuro. Abbiamo la coscienza che anche la comunità cristiana in generale, la Chiesa cattolica siano stati pesantemente influenzati sia da una visione di Dio non evangelica ma acriticamente veterotestamentaria, un’idea comune anche ad altri praticanti religioni del Libro: cioè che la nostra vita è la ricerca di una precisa volontà di Dio per ciascuno di noi, nulla che esca da questi binari ci può giovare, dobbiamo meritare il premio per la fedeltà acritica alla gerarchia religiosa e temere il castigo che essa, in nome di quel dio, ci minaccia. Una visione ebraico-islamica-cristiana che si fonda sul Potere di un dio onnipotente, che ha conferito ai suoi rappresentanti il diritto-dovere di ammonire e distribuire o minacciare castighi. Secondo questa visione, e una lettura superficiale di Paolo ai Romani, 13 ogni autorità terrena ha ricevuto da Dio la sua investitura; si capisce come un concetto di questo tipo possa essere stato gradito ai potenti nei secoli che vanno dal 380 d.c (editto di Teodosio) alla rivoluzione francese, che nega radicalmente questo principio. La confutazione è anche espressa da Giovanni XXIII nella Pacem in Terris, 19. Il concetto di una Chiesa santa e peccatrice (santa per la misericordia di Cristo che l’ha desiderata, peccatrice per la cupidigia e la superbia umana che spesso, con il fumo di Satana, l’hanno pervasa) è comunque rimasto presente lungo i secoli, a dispetto della sete di potere che ha mandato ininterrottamente per secoli rappresentanti delle famiglie potenti e ricche sulla sedia di Pietro. Ma la Chiesa, per nostra fortuna , non è solo papato o collegio cardinalizio, o giurisdizione vescovile; che se così fosse, sarebbe in cenere da secoli. Nel giubileo del 2000 papa Giovanni Paolo II ha pubblicamente chiesto perdono alle genti per gli errori ed i delitti commessi in nome della Chiesa cattolica. Ma chiedere perdono non serve, se non ci si ravvede . Il Vangelo ci dona la chiave (non la formula o il precetto) per trasformare la nostra vita e quella del mondo. A noi spetta farlo nella nostra casa, tra i vicini, i colleghi di lavoro, i figli, come insegnanti, medici, lavoratori manuali ed intellettuali. Per questo abbiamo bisogno di una Chiesa che cerchi di avvicinarsi al sogno di Gesù Cristo. Dobbiamo quindi prendere atto delle situazioni difficili di oggi ed esaminare opzioni di cambiamento che si ispirino al Vangelo più che a tradizioni in parte ormai prive di autentico significato.
Tento di individuare alcuni punti significativi di un nuovo impegno ecclesiale.
- L’Eucarestia va, come testimonianza ed esempio e non come norma, riportata nell’ambito domestico o della piccola comunità. Questo consentirebbe di capire il senso della Comunione, oggi diluito in assemblee che in buona parte si sentono riunioni di estranei.
- Va rivista l’attribuzione dei ministeri, oggi centrata sulla figura sacerdotale, sconosciuta nelle comunità cristiane primitive e smentita, ad esempio, da Ebrei . Accanto alla crescita di vocazioni giovanili, andrebbero ricercate le vocazioni adulte maschili , femminili e della coppia, che potrebbero essere il perno delle comunità in mancanza del ruolo sacerdotale attuale. A queste figure possono essere attribuiti ministeri di tipo diaconale, sia nel servizio caritativo che in quello liturgico, in una liturgia essenziale e condivisa da tutti, evitando la contrapposizione di fatto oggi esistente celebrante-popolo. Il ripristino del presbiterato maschile, femminile o di coppia affidato a persone che hanno camminato tutta una vita nella Chiesa potrebbe favorire l’assunzione di ministeri che oggi vediamo unicamente come “sacerdotali”. La presenza di ministri che non dipendono economicamente dalla diocesi favorirebbe l’indipendenza morale dei ministri, e ridurrebbe la deriva clericale fatale dove le responsabilità sono concentrate su uno solo ed il rapporto è di dipendenza gerarchica ed economica.
- Va rivista la preparazione ministeriale, che dovrebbe puntare a riconoscere la validità e l’importanza della fede nel mondo di oggi nei confronti di una prevalenza cultuale che si pone sempre più fuori da esso. All’istruzione teologica, basata essenzialmente sul Vangelo, dovrebbero poter partecipare tutti i fedeli che lo desiderano, in modo da diffondere la conoscenza della Fede. Chi si prepara ad una vocazione ministeriale non dovrebbe essere separato dalla vita familiare e sociale. Andrebbero quindi aboliti i seminari, o trasformati in scuole teologiche e pastorali. Andrebbe nuovamente distinta la vocazione religiosa da quella presbiterale, che hanno modi diversi di esprimersi; lasciando la libertà ai religiosi di accedere o meno a ruoli presbiterali, e tenendo conto della diversa responsabilità dei due stati, religioso e diaconale-presbiterale.
- La revisione delle modalità del sacramento della Misericordia, o Penitenza.
Il Sacramento andrebbe praticato collettivamente prima dell’Eucarestia in momenti solenni dell’anno, ad esempio all’inizio dei tempi “penitenziali” di Avvento e Quaresima, e in altri momenti; ad esempio le esequie di persone care o di persone particolarmente note nelle comunità. Andrebbe sottolineata la necessità di praticare la riconciliazione prima con i fratelli con i quali c’è stata rottura, e di confermare ai presenti la riconciliazione delle parti. (Matteo 5, 23-24). Al Vescovo, o a suoi delegati selezionati e appositamente incaricati, oppure ordinati , anche nelle comunità locali, sarebbe riservata la remissione di peccati gravi o che comportino la segretezza per evitare male ulteriore. La riparazione per quanto possibile del male fatto o di una azione di bene corrispondente va sostituita alla tradizionale pena dei Pater Ave Gloria.
- La revisione dell’annuncio : la catechesi che istruisce sulla Parola e sulla prassi cristiana, attenta ai segni dei tempi, dai bambini, agli adolescenti, agli adulti. Va praticata da persone che abbiano maturato un percorso di fede. L’insegnamento religioso – riti e momenti sacramentali – non va confuso con la primaria conoscenza della Parola e alla chiara necessità e coerenza di aderire ad essa, mettendola per quanto possibile in pratica secondo la propria vocazione. Ogni gesto religioso non dovrebbe essere mai insegnato se prima non se ne dimostra il suo profondo significato. Similmente l’approccio ai Sacramenti. La catechesi dei bambini e ragazzi può essere rivista e va messo l’annuncio della Parola come primo obbiettivo, svincolandolo dal percorso di preparazione ai Sacramenti, conseguenza della comprensione del significato e dell’importanza della Fede nella propria vita. L’accorciare gli anni di preparazione ai Sacramenti non ci sembra un obbiettivo in sé, la preparazione permanente del cristiano giovane e poi adulto invece ci pare il vero nucleo dell’annuncio; ciò però può venir raggiunto anche con la revisione delle celebrazioni eucaristiche.
- Altre profonde revisioni andrebbero fatte nell’ambito della gerarchia ecclesiale che va vista unicamente come modalità di svolgimento di un servizio (Giovanni 13, 2-11) e dalla quale va escluso il più possibile l’esercizio di un potere. La Curia vaticana dovrebbe avere la funzione di riflettere sui segni dei tempi a livello globale e stimolare la condivisione e la conversione, in appoggio al discernimento (meglio che magistero) papale (Matteo 23,10). Assieme al potere andrebbe completamente rivista la gestione economica delle chiese locali e del Vaticano, riducendo al minimo la gestione patrimoniale per sostenere quella della condivisione nella carità. Necessaria l’abolizione dei termini Santità, Pontefice, Vicario di Cristo che non sono evangelici. Rimane il termine Pastore che ha un significato legato ad un servizio e non ad un potere. Abolizione della distinzione tra Chiesa docente (papa e vescovi) e Chiesa discente, che viene correttamente esclusa nella Chiesa orientale (ortodossa).
- L’esercizio della carità e della condivisione, che parta dalle celebrazioni eucaristiche e stimoli profondamente l’agire quotidiano del cristiano. In esso i presbiteri devono essere esempio – anche con una vita sobria che escluda competizione e vanagloria, delegando anche i compiti economici a persone provatamente oneste ed attente alla Parola, condivise nel discernimento con la comunità locale, ed evitando deleghe affrettate e personalistiche a persone interessate al proprio vantaggio. Uno stimolo alla visione critica che non rifiuta la società del tempo ma ne evita i vizi e le tendenze (del mondo ) praticando la misericordia e l’Amore per quanto possibile da parte di ciascuno, e confrontandosi, anche attraverso l’azione penitenziale, nel discernimento per scegliere nella vita quello che la Parola rende vivo e vitale. (Romani 6,1-11)
- La comprensione del significato della preghiera che ancor oggi viene interpretata come richiesta, appello, più che ascolto. La revisione del dogma del peccato originale in una visione della Creazione non come perfezione iniziale corrotta dal peccato, ma come slancio vitale nella libertà dono del Creatore, in cui la natura “soffre le doglie del parto” (Romani 8,22) e in cui Cristo è l’Alfa e l’Omega (Apocalisse 22,12). Il peccato è una realtà ben presente nel mondo, ma non è una colpa collettiva per un evento storico ma uno stato connesso con l’imperfezione del nostro essere nel tempo, nello spazio, nella materia.
Per quanto riguarda il peccato originale è evidente oggi che il racconto della Genesi ha valore simbolico-mitico (Doglio) e non storico. In qualche modo la trattazione del peccato originale accosta una verità intensa ed evidente. Gli uomini, per libera scelta e perchè vengono ingannati scelgono il male e non si fidano di Dio, preferendo fidarsi delle “seduzioni” che vengono offerte dal signore del mondo ; da questa sfiducia nascono le divisioni, il risentimento (i due progenitori scaricano il proprio disagio di peccatori sugli altri) ed infine la morte (Caino uccide Abele). Questa è la profonda verità del racconto (Genesi 3).
La Chiesa e i segni dei tempi nei due millenni “cristiani”
La virgolettatura del titolo del paragrafo non è irrispettosa. Nonostante la venuta di Gesù Cristo, dalla quale sono trascorsi due millenni, e la “necessità” del suo annunzio del Regno di Dio, già fatto in maniera parziale dai profeti del popolo ebraico (e in misura minore anche dai profeti di altri popoli e religioni) , nonostante la limpidezza della Parola di Dio nei Vangeli, nonostante la predicazione degli Apostoli e dei loro collaboratori, nonostante il “successo” dell’annuncio cristiano nell’Impero romano, ogni popolo, ogni ambiente sociale lungo i secoli, ogni regime civile e politico che, dopo Teodosio, ha voluto fregiarsi del titolo impegnativo di “cristiano” ha dato una interpretazione pratica, normativa, sociale e politica “peculiare” del termine cristiano. L’appartenere alla Chiesa è stato un vanto di numerose nazioni nei tempi, ma a quale Chiesa? La politica, dopo che Costantino e Teodosio avevano compreso l’utilità di aderire formalmente ai princìpi del Vangelo per ottenere il consenso o per lo meno l’obbedienza del popolo governato ( più spesso dominato) ha cavalcato, non diversamente dall’Impero romano fino a Costantino, il sentire religioso del popolo per giustificare il proprio ruolo di dominio. In varie circostanze storiche l’adesione al Vangelo è stata separata dall’adesione ad una unica chiesa, dal momento che un nazionalismo religioso, anche con l’incongruenza di riconoscere tutti lo stesso Dio, rende meglio politicamente che un internazionalismo, un’unità oltre e attraverso i confini delle diverse nazioni che crea problemi rispetto alla giurisdizione e al “bene” della nazione che si scontra con quello della nazione avversa, generando infinite contese e guerre, che ricamano la storia dei due millenni cristiani di infiniti dolori ed ingiustizie, molte delle quali perpetrate in nome della “vera” religione. Questo obbrobrio è segno e memoria di Gesù condannato e crocifisso, dai suoi. Scismi antichi, come quello nestoriano, ariano e copto; della Chiesa Orientale alla fine del primo millennio, come dimostrazione della superiorità politica dell’impero di Bisanzio rispetto a quello post-carolingio in continua disputa con il papato ; lo scisma avignonese, che durò 40 anni e fu provvidenzialmente superato anche per la santità di Caterina; i ripetuti scismi da Lutero a Calvino, a Enrico VIII, e Cromwell, che divisero l’Europa con motivazioni molto diverse ma in cui hanno giocato un ruolo determinante le spinte nazionalistiche e di gestione della religione da parte della nazione: un “piccolo” scisma fu anche quello dei “vecchi cristiani” e di Utrecht, che si vide imporre dal Papa un vescovo dopo secoli di nomina autonoma. Anche il Concilio Vaticano II provocò tentativi di scisma da parte di gruppi ecclesiali francesi tradizionalisti, in parte rientrato. Ma serpeggiano ancora iniziative scismatiche, per fortuna di breve respiro, da parte di “tradizionalisti” che considerano gli usi e le impostazioni liturgiche e pastorali del Concilio di Trento come “definitive” e immodificabili perchè, secondo il loro giudizio costitutive della “sacralità” della prassi formale ecclesiale, dimenticandosi della aderenza al Vangelo della stessa e della necessità di osservare i “segni dei tempi”.
Ma oltre l’uso strumentale fatto da parte dei politici della religione cristiana, uso che ha anche pervaso in Italia la seconda metà del secolo scorso con il dominio di un partito che di cristiano aveva il nome, c’è anche la percezione e la comprensione del Regno di Dio che hanno sofferto lungo il tempo di appropriazioni filosofiche che hanno tentato, alcune con successo, di adeguare alla mentalità del tempo o alla cultura dominante o prevalente il contenuto della fede cristiana. Ciò potrebbe essere interpretato come realizzazione dell’invito evangelico ad osservare i “segni dei tempi” .
«è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche» (GS, n. 4). «Il popolo di Dio, mosso dalla fede con cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore che riempie l’universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio» (GS, n. 11).
Il cristiano è invitato a riconoscere segni di realtà divine, e cioè del disegno di Dio sull’umanità, dalle sue origini fino alla sua fine, passando per l’attualità. Sono segni del Regno di Dio, realtà finale (escatologica), ma in corso di realizzazione: Gesù annuncia che esso «è vicino». Il disegno di Dio nella storia degli uomini fu annunciato dai profeti e reso attuale nella venuta del Cristo, che invita a impegnarsi in esso.(Olivier de Dinechin SJ, I segni dei tempi, Aggiornamenti sociali).
In realtà, una parte dei pregiudizi o delle visioni sfuocate e distorte del Regno di Dio, presente in terra e nell’eternità, sono direttamente provenienti da personaggi che hanno anche il merito di aver portato chiarimenti essenziali alla comprensione nel tempo proprio ma anche nel futuro, per noi oggi, della Parola sul Regno. Tra essi i Padri della Chiesa. Il vasto contributo dell’epoca di Ambrogio ed Agostino, il quale ha intuito verità fondamentali dei Vangeli sintetizzandole nei concetti di “libertas major “ e “minor”, cioè il vero esercizio della nostra libertà è per operare il bene, e “in interiore homine abitat veritas” cioè Dio con il suo Spirito è presente nell’intimo dell’uomo, non va cercato nel “mondo” , nel quale peraltro possiamo discernere i “segni” della Sua presenza creatrice. Ma un “segno” fuorviante del sacrificio di Cristo è visto, come accenna in un diverso senso san Paolo, come necessaria compensazione al peccato originale. Per spiegare infatti come sia possibile il male nel mondo opera di Dio e “cosa buona”(Genesi 1) si è preso come verità storica l’evento di una ribellione dell’umanità a Dio, nelle persone dei progenitori, come ancora interamente professato nel Catechismo della Chiesa, (385-421). Il senso della storia degli antichi, prima del rinascimento e della nascita della scienza moderna, era marcatamente diverso da quello che abbiamo oggi.
Per questo gli articoli che parlano del peccato originale, che letti in senso simbolico ed antropologico hanno un grande valore di verità, non sono compatibili con la storia e la scienza di oggi. Non sono esistiti Eva e Adamo, non c’è una colpa individuale che viene ereditata dall’umanità e diviene colpa collettiva permanente, ereditata alla nascita di ciascun essere umano. Questa verità va oggi rivista, ritenendo pienamente valida la spiegazione antropologica, ma rivedendo, sempre con il conforto delle Scritture, la dinamica della creazione dell’umanità. In caso contrario, gli articoli sul peccato originale del Catechismo pongono una insanabile opposizione tra la scienza e la fede. Lo stesso catechismo mette in guardia da due opposte interpretazioni, quella di Pelagio (non c’è peccato originale, quindi non c’è bisogno di redenzione, l’uomo può salvarsi da solo) e quella di Lutero e poi di Calvino, (il peccato originale ed attuale pone l’uomo in una condizione di assoluta abiezione, per cui la salvezza viene solo dalla misericordia divina, che è riservata a predestinati e inibita a tutti gli altri, per cui le opere personali non hanno alcuna importanza ).
« Per la disobbedienza di uno solo, tutti sono stati costituiti peccatori » (Rm 5,19); « Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato… » (Rm 5,12).
L’interpretazione sostanzialmente letterale di Genesi 1-3 riguardo alla creazione diretta dei progenitori, unita all’interpretazione errata dell’affermazione “e vide che era cosa buona” costringono ad una visione di fede in contrasto con la storia e la scienza. Intanto vorrei sottolineare che le fasi della creazione hanno una impressionante assonanza con quello che la scienza oggi ha consolidato come , se non certo, molto probabile. Un inizio creativo della materia, una successiva separazione e distinzione degli elementi, la separazione tra acqua e terra, anche nella visione attuale di un universo in cui siamo una particella ponderalmente infinitesima mantiene una analogia non uniforme ma comunque significativa. Ma il punto fondamentale da risolvere è che la dinamica creativa conferma che “e vide che era cosa buona” non significa affatto che fosse cosa perfetta, definita per sempre, immutabile. La scienza ci dice che ci sono voluti quasi 27 miliardi di anni prima della presenza dell’uomo sulla terra, e questo tempo è stato assorbito dalla costituzione degli elementi leggeri, idrogeno, dalla sintesi di particelle elementari, e poi dalla generazione degli elementi in seguito alle fusioni dell’idrogeno nei brandelli di materia che chiamiamo stelle, da cui poi si sono staccate parti pesanti raffreddate progressivamente, i pianeti. Sul Pianeta Terra la vita è iniziata circa 3,5 miliardi di anni fa, probabilmente negli oceani, e probabilmente l’origine dell’ossigeno nell’atmosfera è biologica e dovuta ad esseri viventi marini o alla fotosintesi. Dal mare, la vita passa alla terra e ha due principali branche, vegetale ed animale.
L’Homo abilis compare tra 2,5 e 1 milione di anni fa. Un’altra decina di ritrovamenti di epoche successive portano sino all’Homo sapiens comparso dal continente africano in Europa ed Asia tra i 400mila e i 200mila anni fa, soppiantando l’Homo Neanderthalensis di cui tuttavia abbiamo tra il 2 e il 4% di eredità nel DNA. Quando si è formata l’intelligenza umana che ha portato al progresso tecnico che dal Neolitico, 10-20mila anni fa, ha portato il fuoco, l’agricoltura, le prime civiltà urbane, gli animali domestici e il cavallo, la ruota, fino alla scrittura 5-6000 anni fa?. E’ stato probabilmente anche questo un processo, un lento cambiamento. La civiltà urbana e la scrittura hanno contribuito a sviluppare la cultura e la comunicazione dei progressi nei popoli e tra i popoli, accelerando lo sviluppo delle relazioni e della “scienza” elementare che ha consentito all’animale Homo di dominare la terra. In questo tempo si sono anche sviluppati assetti sociali e sentimenti religiosi, che individuavano in entità invisibili o visibili e “sacre” le forze intelligenti che governavano la natura. La Rivelazione di un Dio unico è fatta, in tempi mitici, ad Abramo che la trasmette ai discendenti, è consolidata da Mosè che introduce il tema del “riscatto”, diventa base sociale di un popolo che tuttavia spesso devia e si affida a speranze di potere, vitelli d’oro e Baal. Gesù è nella piena tradizione profetica, contro la visione legalistica sacerdotale e dei “sapienti”, tali perchè conoscono le 1521 regole che rendono “sacro” il sabato. Gesù smentisce radicalmente tutto: (Marco 2,23-28; 7, 8-13) solo per citare due passi. Cerchiamo quindi di indirizzare il cammino della Chiesa non nel rimpiangere tempi migliori, in cui la fede era “consensus omnium” ma la sua pratica non era probabilmente migliore di quella di oggi.
20 Maggio 2025 at 08:52
Analasi approfondita ed esaustiva.Mi ha molto interessato.