Vivificare il “moderno” con forza e dolcezza evangelica

Luigi Pedrazzi, alla lettera mensile con cui ricostruisce gli anni di preparazione del Concilio Vaticano II, unisce solitamente una seconda lettera, con cui riflette sui nostri giorni. Nella ricostruzione degli eventi del dicembre 1961, Pedrazzi si è soffermato sulla decisione di papa Giovanni di annunciare finalmente, con l’allocuzione Humanae salutis, l’apertura del Concilio “entro il 1962”. E, nella lettera sull’oggi, che qui pubblichiamo, offre alcuni spunti sul nostro attuale rapporto con il Concilio Vaticano II.

(Le lettere mensili che Pedrazzi scrive a quanti sono interessati – e poi pubblicate in una coedizione Claudiana e Il Mulino – sono iniziate nel 2008 e hanno intenzione di durare fino al 2015, ripercorrendo cioè gli anni che vanno dall’annuncio di Roncalli di un nuovo Concilio, nel 1958, fino alla sua conclusione nel 1965. Per la raccolta delle lettere cfr. http.//ospiti.peacelink.it/paxchristibologna/index.html ).

E noi, nel dicembre 2011, che cosa “vediamo” nel Concilio Vaticano II?

Noi, poichè siamo cristiani, dovremo cercare di guardarlo partendo dalla fede ricevuta e conservata con le dovute riconoscenza e umiltà; se fossimo agnostici, riflessivi e pacifici, dovremmo cercare di essere attenti e animati da una certa cordialità verso un evento così essenziale per alcuni, e notevolmente  importante e bello per tutti.

 “Compiti di una gravità e ampiezza immensa attendono la Chiesa, come nelle epoche più tragiche della sua storia. Si tratta di mettere a contatto con le energie vivificatrici e perenni dell’Evangelo il mondo moderno”. Così ammoniva Roncalli.

E’ vero che il mezzo secolo trascorso dalla allocuzione Humanae salutis ha visto giungere tra noi non poco di ciò che si dice ed è post-moderno: faremmo allora bene ad occuparci solo di questa novità e ad illuderci che ogni problema moderno sia felicemente risolto o esaurito, vagheggiando magari di andare più avanti con un “Vaticano III”?

Non credo proprio, perché  lo spessore storico e culturale della Modernità è tale (nel suo bene e nel suo male) che non ci si può illudere di attraversarlo e uscirne “sani”, senza aver realizzato, come auspicava (e ha testimoniato) Roncalli, una adeguata messa in contatto col “moderno” delle perenni e vivificatrici “energie dell’Evangelo”.  Solo in seguito i cristiani  potranno  vedere come procedere oltre.

Il compito, indicato da papa Giovanni a mezzo del XX secolo, vivificare il “moderno”  con forza e dolcezza evangelica, è, dunque, tuttora tra i doveri più vitali e necessari dei cristiani: dobbiamo ancora farlo bene, per quanto ci riguarda, a partire proprio da quel grande aggiornamento e rinnovamento cattolico che è stato il Vaticano II. Dobbiamo impegnarci in molti, e con serietà, a recuperare gran parte del ritardo che si è accumulato e che ci toglie agilità e prontezza evolutiva e risanante.

Ma se già siamo cattolici convintamente conciliari, molte cose dobbiamo apprendere anche dal mezzo secolo trascorso “dopo” che l’evento conciliare e i suoi promulgati documenti (4 Costituzioni, 9 Decreti, 3 Dichiarazioni), ci hanno raggiunto.

La “ricezione” del Concilio è più importante e proficua, nei suoi tempi lunghi e spirituali, di una “applicazione” già esibita (immaginata o immaginabile) in proprie strutture, senza e prima di cambiamenti molecolari vissuti da molte persone operanti alla base della grande istituzione o tra i suoi quadri alti di governo.

A Bologna, per fare un solo esempio, doloroso ma istruttivo, città e chiesa locale dove il Concilio era pure stato partecipato con una intensità in Italia rara altrove, fu proprio una dirigenza cattolica “diocesana” di alta qualità a intraprendere una iniziativa di studio delle applicazioni conciliari, al fine di poterle mettere in cantiere con rapida sollecitudine. Ma il movimento suscitato dall’iniziativa, circondato da una attenzione più preoccupata per le complesse motivazioni (certo non tutte apprezzate a Roma, e mal viste anche in ambienti locali rimasti sintonici con conservatori nazionali ancora fortissimi), produsse le condizioni per ottenere un allontanamento di Lercaro e di Dossetti suo pro-vicario, con un’operazione che ha segnato con limiti non piccoli il successivo clima della vita pastorale diocesana, per lunghi anni, nonostante il livello certo non mediocre dei pastori inviati a reggere la Chiesa di Bologna (cfr. documenti e riflessioni su questa  storica vicenda bolognese, nel bel libro pubblicato ora dal Mulino, stampando, dopo 26 anni, la “tesi” con cui  Giampero Forcesi si laureò a Roma in Storia della Chiesa, volume ora in corso di recensione sul prossimo numero della rivista “il Regno”, EDB).

Senza una comprensione adeguata dell’originalità positiva e provvidenziale del papato giovanneo, neppure la sua santità personale viene riconosciuta come un fattore capace di azione storica: all’origine di questa miopia storiografica riduttiva della figura di Roncalli vi sono carenze teologiche  e una certa povertà  di esperienze relazionali  purtroppo abbastanza diffuse negli ambienti clericali; col tempo, però, il consolidarsi, graduale ma inevitabile, delle acquisizioni conciliari spinge negativismo e assenteismo dei conservatori in condizioni di marginalità e sempre minore rilevanza; ma anche i limiti sussistenti della ricezione conciliare purtroppo impoveriscono gesti, parole, pensieri e fin sentimenti del mondo cattolico.

Per fortuna, invece, la ricezione gioiosa  delle realtà positive conciliari, conseguite nella vita personale, anche in condizioni storiche che non la soddisfano in misura auspicabile e abbondante, resta sempre un fattore utile nella vita ecclesiale e contribuisce ad operare cambiamenti culturali aperti e pacifici, in molti campi e a molti livelli, non solo della Chiesa ma anche nella società civile in cui questa vive.

Lettura della Scrittura e partecipazione dei fedeli alla Liturgia sono stati “tesori” che il Vaticano II ha restituito a tutti, in misura realmente sorprendente:  i testi delle due Costituzioni “Dei Verbum” sulla divina rivelazione e “Sacrosanctum Concilium” sulla sacra liturgia, sono lì espliciti e sufficienti a garantire a tutti i fedeli preziose possibilità di “vita cristiana”. L’ecclesiologia, molto sviluppata  ad intra e ad extra dalla “Lumen Gentium” sulla Chiesa e da “Gaudium et Spes” sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, conosce necessariamente uno statuto più impegnativo da realizzare: questi testi ecclesiologici, pur anch’essi fortemente innovativi, non possono non richiedere azioni collegiali e collettive,  in cui ruolo e iniziativa delle Autorità (cioè Pastori, cioè Vescovi e Papa), a loro volta non possono mancare. E la pratica pastorale al riguardo è spesso latitante e delusiva.

Quindi, i fedeli comuni, se possono sempre fare domande nella Chiesa e avanzarvi informazioni e proposte, debbono sapervi esercitare, inevitabilmente,  la misura necessaria di obbedienza e quella quasi sempre opportuna di prudenza. E le difficoltà di questo compito producono molti dei ritiri e abbandoni oggi frequenti nella prassi cristiana. Comunque, i comportamenti reali e prevalenti in queste delicate materie lasciano non poco a desiderare, e molto della strada indicata dal Concilio resta da percorrere, da parte di tutti: anche le Autorità sono chiamate ad essere molto più  attente ai fatti che corrono nella società per interpretarli bene, e debbono ascoltare molto e molti, prima di farsi ascoltare con quell’autorevolezza che è tanto più preziosa a corredo di ogni esercitata autorità.

Ora papa Giovanni, esercitando con dolcezza una iniziativa legittima,  ha stupito il mondo avviando un’opera invisa e temuta da molti per le sue difficoltà, e gigantesca per le sue dimensioni. E ne ha governato gli snodi più impegnativi, secondo la propria determinazione, come abbiamo visto anche ricordando in questa lettera le sue  decisioni sulla “data d’inizio”del concilio, e molto collocando nelle mani di altri, tra cui la sua fede personale vede però sempre agire anche un Altro, visibile solo in una quotidianità che lo celebri con una costanza che sappia restare umile e fattiva, senza parole sempre a rischio di dispersione e di alibi polemici e ben poco costruttivi.

Come non vedere una distanza amplissima tra l’innovatore che ha saputo agire, cioè Roncalli, anche dopo essere stato collocato molto più in alto dei suoi obiettivi personali, e i moltissimi innovatori suoi discepoli, che però, purtroppo, in parecchi eccellono nel discorrere (e magari nel criticare chi ha opinioni diverse dalle proprie)? Questa distanza concorre molto a far passare un lungo tempo a danno di quella ricezione grata e pacifica delle consapevolezze acquisite con e dal Concilio. Ma dove muovere, dopo che esso si è svolto, se non nelle direzioni che, sole, costituiscono sentieri di crescita personale e, magari, anche obiettivi di carovane in cerca di nuove frontiere, importanti per storia e società che ci circondano e ci premono?

Se i cattolici, e con essi anche moltissimi cristiani, fratelli separati, e le loro viventi comunità ecclesiali, non possono prescindere, senza danni manifesti e influenti, da un dialogo amoroso con l’evento conciliare e da studio attento dei suoi risultati teologici e pastorali, anche il vastissimo esercito di agnostici, resi riflessivi dal peso e dalla problematicità delle esperienze vissute, non possono non essere interessanti per noi, né disinteressati nei confronti di un Concilio così profondamente innovativo come il 21° nella lunga storia identitaria della Chiesa cattolica.

Davvero con ragione Roncalli ha indicato il “mondo moderno” e l’ “esperienza ecumenica” come i due tratti decisivi per contestualizzare la crescita apostolica e morale della fede cristiana dei cattolici, in questo tempo di grandi problemi e grandissime occasioni per novità belle, tese a cancellare o almeno attenuare situazioni e comportamenti orribili e non più tollerabili, visti gli sviluppi di coscienza in corso tra noi, nonostante tutto.

Cerchiamo di imitare il maestro e dottore che è stato più bravo nei nostri giorni tanto confusi e crudeli, il quale ha agito moltissimo, in grande solitudine istituzionale, con acume incomparabile nelle sue finalità e nelle scelte conseguenti.

La sua azione, di fatto, non è stata rapida, intensa e produttiva, sempre volta non ad esaltare conflitti, ma a cercare soluzioni? Non la vediamo  influente  – se guardiamo fatti e situazioni – con risultati davvero non piccoli? E questi non sono aperti, anzi bisognosi di completamenti che ci interpellano e coinvolgono, con evidenza crescente?

I risultati dell’azione intrapresa da Roncalli ci sostengono nella storia, come da una storia che si riconosce visitata viene l’energia di cui abbiamo bisogno, e nella storia si propongono gli obiettivi che ci appassionano perché giusti ed amabili. Grandi anche quando si presentano piccoli e modesti in mezzo a tante vanterie fasulle e caduche.

Lugi Pedrazzi

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