Vicolo cieco?

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Questo articolo è apparso in data 14 marzo sul giornale on line dell’Associazione culturale Il Borgo, aderente alla rete c3dem

L’esito delle elezioni dello scorso febbraio con un “vincitore azzoppato” (il PD), un perdente dimidiato (Berlusconi) e un emergente rampante (Grillo) ha portato alla formazione di un Parlamento per metà governabile, alla Camera dei Deputati (in verità più per il “premio” previsto dalla legge elettorale che per un’effettiva presenza maggioritaria nelle urne) ed invece ingovernabile nell’altro ramo, il Senato della Repubblica. E fino a che durerà il “bicameralismo perfetto” (a quando una saggia riforma?) non si può governare disponendo della maggioranza in una sola Camera.

In questo contesto è necessario che ogni forza politica si assuma le proprie responsabilità, e bene ha fatto l’on. Bersani a sollecitare l’ormai robusta formazione “grillina” ad assumersi le sua di fronte al Paese. Resta il fatto, tuttavia, che con tre forze quasi paritariamente rappresentative, ciascuna, di un terzo circa dell’elettorato, la logica – ma non la politica…- vorrebbe che due tra esse si alleassero e la terza si collocasse all’opposizione. Ma ciò che potrebbe e dovrebbe avvenire in un paese “normale” appare in Italia impossibile: è da tempo, del resto, che il nostro sistema politico non è quello di n paese “normale”…

Non resta dunque che un “appello alla fantasia”, in primo luogo del Presidente della Repubblica, ancora una volta messo a dura prova da una situazione contorta ed ingarbugliata ma augurabilmente capace di uscirne. Ma come? Le possibili soluzioni – in mancanza di un accordo tra le tre principali forze politiche – sembrano essere sostanzialmente due: o un “governo tecnico” che affronti una serie di problemi più urgenti, conduca in porto la necessaria revisione della legge elettorale, contribuisca a rasserenare un sempre più tempestoso orizzonte politico e poi prepari un nuovo appuntamento elettorale; o un “governo del Presidente”, che faccia appello a tutti i partiti e conduca in porto alcune riforme (prima tra tutte quelle del sistema bicamerale) e riesca a far raggiungere ai partiti una sorta di “tregua armata” che consenta di arrivare ad un voto anticipato (che comunque sembra inevitabile) a scadenza non troppo ravvicinata.

Dietro questa sorta di groviglio che appare inestricabile sta tuttavia un dato di fatto del quale accorre tenere assolutamente conto, pena l’approfondimento del distacco che esiste oggi tra il paese e le istituzioni: la crescente disaffezione di gran parte degli italiani alla politica o meglio a questa politica. Senza evocare i fantasmi del passato (ma un simile distacco è il brodo di cultura di tutti gli autoritarismi) vale la pena di riflettere a fondo sull’attuale discredito della politica in vista del rafforzamento di un costume democratico oggi fortemente a rischio. Si aprono, in questa prospettiva, vasti ambiti di azione per quella “società civile” che – al di là degli slogan di certa antipolitica – costituisce ancora il tessuto connettivo del nostro paese ma che deve riprendere piena coscienza di sé: il futuro dell’Italia passa dalla via un Parlamento bonificato e rinnovato ma anche dalla via di un lucido e diffuso civismo.

Giorgio Campanini

 

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