Unioni civili: l’importanza di una seria mediazione culturale

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Sta per arrivare in parlamento il momento topico della discussione per la legge sulle unioni civili. Le cose sono ancora molto combattute. La contraddizione sostanziale mi sembra questa: esiste ormai da anni un aperto dialogo e uno spazio di intesa tra culture diverse su questi temi, che ha prodotto alcuni articolati e positivi superamenti dei vecchi steccati cattolici/laici, conservatori/progressisti, sostenitori dei diritti individuali/sostenitori della stabilità sociale. Ma quando si arriva a un punto di caduta concreto, sembra purtroppo ancora molto difficile uscire da una sorta di richiamo simbolico alla nettezza delle posizioni, che conclude all’impotenza reciproca nel trovare un punto di consenso.

La discussione interna al Pd lo dimostra abbondantemente. Mentre le posizioni sull’argomento dei testi programmatici del partito erano frutto di una sintesi alta, lo sviluppo successivo è stato spesso contrassegnato da remore e ritorni indietro, negazioni e arroccamenti. Ancora oggi c’è da una parte chi vede nel testo in discussione alla Camera l’avvio di una minacciosa china distruttiva di ogni valore e chi minaccia che se ne non si avranno risultati dal suo punto di vista completi e radicali, allora farà cadere  ogni compromesso.

Dal canto suo, il governo ha già fatto molte pressioni perché si arrivi a una conclusione dell’iter legislativo, ma in un quadro di incertezza sui punti culturali di equilibrio che non aiuta la discussione. Renzi avrebbe nella sua formazione le carte per cercare una sintesi articolata di valori, ma si fa spesso prendere sbrigativamente da un certo opportunismo: lo ricordiamo a suo tempo schierato dalla parte del “Family day” contro i Dico, mentre oggi sembra voler accelerare  “a prescindere”, quasi a voler compensare le opposizioni interne al suo partito rispetto ad altre partite che per loro sono state negative. Nemmeno questo approccio aiuta l’elaborazione di una mediazione solida e significativa.

Dobbiamo invece ribadire che l’acquisizione del riconoscimento giuridico delle unioni civili tra le persone dello stesso sesso  (fondato sull’art. 2 della costituzione, dove si parla del riconoscimento dei diritti della persona in tutte le “formazioni sociali” che la caratterizzano) è un gesto di civiltà assolutamente necessario, che  è bene sia solennizzato in termini pubblici e non ricondotto – come qualcuno continua a chiedere – al mondo oscuro e diseguale del contrattualismo privato, che per definizione è gestito diversamente da chi è ricco rispetto a tutti gli altri. La Repubblica riconosce e tutela la relazione come valore, al di là di ogni individualismo. Al contempo, è importante continuare a distinguere queste formazioni giuridiche dalla «famiglia fondata sul matrimonio», che ha oggettive diversità di finalità e di struttura (in particolare per l’apertura alla procreazione, come l’etimologia della parola implica), e quindi anche di tutele giuridiche. «Far parti uguali tra diseguali», come si esprimeva don Milani, resta una grande ingiustizia in nome di una presunta parificazione assoluta. Anche il linguaggio a questo proposito conta moltissimo. Per cui le posizioni di alcuni esponenti dell’ala radicale del Pd, che esultano perché questo testo apre ormai la strada al «matrimonio gay» sono incomprensibili. Nella sostanza e nella opportunità politica. Infatti, non possono che rafforzare speculari allarmi, anch’essi da rigettare, dei cattolici più retrivi o dei residui teocon nostrani, che già figurano valanghe di effetti negativi. La tesi per cui in ogni passo avanti della legislazione si vede un rischio di future slavine è forse propagandisticamente comprensibile, ma sostanzialmente e storicamente piuttosto assurda: quasi che non si fosse ancora capito che, se nel 2007 si fossero approvati i tanto osteggiati Dico, il dibattito oggi sarebbe su linee ben diverse.

C’è poi un grande polverone sul tema adozioni: il disegno di legge parla solo dell’adozione incrociata da parte del partner di chi è già figlio (naturale o adottivo) dell’altro partner (la cosiddetta stepchild adoption, così presentata nel gergo condizionato dal solito anglismo d’accatto dei media). Non si vede perché questa pratica dovrebbe poi automaticamente estendersi ad altre forme di adozione. O perché dovrebbe divenire addirittura un «grimaldello per l’utero in affitto» (Sacconi): tale eventualità è infatti regolata da altre leggi, come la discussa ma ancora in vigore legge 40 sulla fecondazione assistita. E comunque, non dimentichiamo che, quando si parla di adozioni, il punto di vista essenziale dovrebbe essere quello dei diritti del minore in questione, mai quello dell’adottante (coppia di fatto, unione civile o coppia sposata che sia).

 

Guido Formigoni

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  1. A me sembra di ricordare che alle primarie del Pd ci fossero due candidati (Cuperlo e Civati) che proponessero il “matrimonio egualitario”, mentre Renzi sosteneva il modello tedesco comprensivo della stepchild adoption con argomenti identici a quelli tuoi, Guido.
    Detto questo io condivido soprattutto l’idea che oggi questa proposta è in grado di tenere insieme la grande maggioranza del Paese e questo è un bene.
    Starei però attento a costruire teorie con pretesa di astoricità. I sostenitori del matrimonio egualitario ti potrebbero ribattere 1- che la frase di Gorrieri serviva ad allargare (infatti ai fini delle politiche sociali riconosceva famiglia dove c’erano i figli) 2- che il matrimonio civile (a differenza di quello canonico) non contempla affatto l’apertura alla fecondità come sua caratteristica fondamentale.
    Dobbiamo ragionare più pragmaticamente su ciò che ci fa crescere insieme, tenendo appunto conto che non giova a nessuno polarizzare tra chi non vuole niente (come il family day al tempo dei dico, dove anzi il primo obiettivo era politico, la caduta del Governo) e chi vorrebbe in un colpo il ‘matrimonio egualitario’.
    Quindi d’accordo sul dispositivo del tuo pezzo, ma non esageriamo con le motivazioni
    Carissimi saluti

  2. Come spesso accade, mi riconosco nel saggio equilibrio di Guido. Sul merito, ancora non dispero che si possa realizzare una mediazione alta e persuasiva. Perché la legge è necessaria. Ciò che mi fa problema è piuttosto il metodo in rapporto al profilo culturale del PD.
    Per il PD, concepito come partito plurale, il metodo è sostanza, specie sulle questioni eticamente sensibili come le unioni civili. Ferma restando la libertà di coscienza di ciascun parlamentare su tali materie – ci mancherebbe altro, non una concessione ma un diritto-dovere – si può discutere se il PD come tale debba assumere una sua posizione come partito e come gruppi parlamentari. Di sicuro però tale posizione la si può decidere solo a valle di un aperto confronto in direzione e nel comitato bicamerale PD appositamente costituito. Un comitato di dieci tra senatori e deputati PD che auspicabilmente dovrebbero partorire un testo da varare al Senato per poi blindarlo alla Camera. Non si capiscono perciò le reiterate dichiarazioni di Serracchiani, Campana, Cirinnà, Scalfarotto secondo i quali partito e gruppi PD avrebbero già deliberato una posizione che impegna il PD. Se così fosse, di che discutiamo? Resterebbe solo la ovvia libertà di coscienza dei singoli parlamentari. Ma anche la certificazione di un metodo che mal si concilia con un partito culturalmente plurale. Non dovrebbe sfuggire a Renzi la circostanza che non fa bene al PD mortificare il pluralismo etico-culturale interno al partito. Lui, che, come rammenta Guido, al tempo del governo Prodi 2, partecipava al “Family day” ideato e organizzato dal cardinale Ruini allo scopo di affossare i più modesti “dico”. Purtroppo riuscendo nel suo scopo.

  3. Cristina Nespoli da www,vita,it e da http://www.landino.it

    Cristina Nespoli, presidente di ENZO B., cinque figli di tutti i colori – biologici, adottati e in affido, ma lei non ama mettere aggettivi, sono figli e basta – di questa confusione che ne pensa?

    È un esempio che dice di un problema a monte, cioè di come il punto di vista in queste discussioni sia spesso quello degli adulti non quello dei bambini e della tutela del loro interesse. Siamo stati bravi con la recente riforma della legge sull’affido, lì ci siamo messi nei panni dei bambini, ma oggi… Io non entro nel dibattito se le unioni civili tra persone dello stesso sesso vadano riconosciute o meno, possiamo riconoscerle o meno, io su questo non mi esprmo. Però dico che se decidi di riconoscerle devi poi pensare cosa succede nel caso in cui in questi nuclei ci sia un bambino e tutelarlo al massimo, perché nella vita possono accadere mille eventi per cui le tutele questo bambino non le ha più. Questa è la premessa. E ricordo anche, sempre come premessa, che nessuno ha mai pensato o proposto che il bambino in questione dovrebbe essere allontanato da questo nucleo. Questo è il punto da cui partiamo, prima di questo io non entro.

    Da questo punto in avanti, se il bambino c’è e si è deciso di dare riconoscimento alla coppia, come si tutela meglio il bambino?

    A questo punto è evidente che il bambino che cresce in questo nucleo svilupperà dei legami affettivi e di altro genere con entrambi i componenti del nucleo e deve essere tutelato perché nella vita può succedere qualsiasi cosa. Se il genitore è malato, il bambino avrà bisogno di cose che l’altro non potrà fare senza un riconoscimento giuridico nel confronto del minore. La cosa più semplice e banale sarebbe l’adozione in casi speciali, che esiste nel nostro ordinamento e a cui si può già ricorrere qualora ci sia un minore che non è figlio di uno dei due coniugi, oppure per l’adozione a single nel caso in cui si sia creato un tale legame affettivo tra il minore e l’adulto in questione che viene decisa l’adozione a quella persona anche se single. Non stiamo parlando di nulla di nuovo, la legge esistente potrebbe essere già abbastanza e i tribunali hanno già tutti gli strumenti per valutare con attenzione se l’adozione è nell’interesse del minore.

    La stepchild adoption quindi sarebbe persino “superflua”?

    La stepchild adoption fa riferimento alla norma esistente e le proposte in campo non modificano in nulla la legge sulle adozioni. Certo sarebbe un richiamo ai tribunali, che hanno una grossa discrezionalità, nel senso che si espliciterebbe il riferimento all’accesso all’adozione in casi speciali per persone dello stesso sesso, non unite da matrimonio. Ma da lì in poi non vedo una clamorosa innovazione e ribadisco, non si tratterebbe comunque di una opzione automatica, la richiesta di adozione di per non fa scattare alcun automatismo, anche in questo caso il tribunale adotterà tutte le attenzioni a tutela del bambino. È già una mediazione, perché il tribunale ha gli strumenti per decidere se l’adozione è nel rispetto supremo interesse del minore. Questo è quello che a me interessa, non gli adulti.

    Come vede invece l’affido rafforzato?

    Questo emendamento non mi convince per nulla. L’affido non tutela abbastanza, non è una tutela piena, non dà garanzie al minore. Se muore il genitore biologico, che è l’unico parente in vita, e il compagno ha solo un affido, che cosa succede? Il bambino può essere messo in adozione? Dopo che per anni ha vissuto con quella persona? Che tutela è? E se il genitore ha una malattia invalidante chi decide un intervento sanitario per il minore, l’assessore ai servizi sociali? La mia impressione è che si guardi alle esigenze degli adulti: dire a un ragazzo “a 18 anni decidi tu”, vuol dire mettergli sulle spalle un problema che è degli adulti, non suo.

    Cosa risponde al timore che in questo modo si apra l’adozione piena anche alle coppie omosessuali?

    E che facciamo, siccome abbiamo questa paura non tuteliamo i bambini che già ci sono? In realtà la legge sulle adozioni continuerà ad indicare il requisito del matrimonio, quindi non si prevede che i bambini possano andare in adozione a coppie omosesessuali.

  4. Non riesco a capire le difficoltà che vengono ancora da cattolici sulla legge che regola le Unioni civili. Non siamo in una legislazione matrimoniale, ancora aperta comunque a unioni non sempre garantite nella loro natura reale. Ancora, le immigrazioni importano fra noi decisioni di fatto stabilite solo dai padri. Basterebbe a fare la differenza che l’intesa non venga regolata sulla base di un codice matrimoniale. E’ un’intesa di convivenza ordinata, contratta da due persone, che potrebbero teoricamente anche non avere rapporti sessuali. E non mi scandalizzerebbe che possa essere anche questo con le garanzie civili necessarie per garantire questo rapporto, qualcosa di positivo in sé (al riparo di ogni intervento esterno). Potrebbe divenire anche una forma di amicizia, fino alla convivenza fra anziani che, in una società disgregata, in cui si è spesso lontani dalle famiglie di origine, possa essere una pratica positiva aldilà della stesse pratiche sessuali e – insieme – una forma di risparmio sui costi del vivere. Predichiamo il valore delle forme di socievolezza che dovremmo saper dimostrare, ma non ne abbiamo favorito a sufficienza lo sviluppo. Eppure l’amicizia è destinata a divenire un collante formale nelle nostre società. Anticipatamente la Costituzione ha riconosciuta la positività delle diverse formazioni sociali in cui si esprime la cittadinanza solidale. Che fra queste forme nuove siano numerose quelle che hanno in comune qualcosa con la tradizionale forma dei matrimoni, respingendone la formalità, non dovrebbe scandalizzarci, così come non ci ha scandalizzato a sufficienza nel passato la finzione teorica e sentimentale che stava dietro tanti matrimoni formalmente irreformabili. Cerchiamo di sanzionare le regole, finanziarie e di rispetto reciproco che devono contare in tutte le convivenze, ma lasciamo che siano i singoli a decidere sul carattere delle loro relazioni.

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