Una politica nuova per gli anziani e le RSA a Milano

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Pubblichiamo un interessante documento, frutto della ricerca e della riflessione del gruppo Demos di Milano che, dell’analisi delle condizioni di vita degli anziani più fragili e di come riformare i servizi di cura e di sostegno loro rivolti, ha fatto uno dei temi centrali del suo impegno politico

 

 

PREMESSA

Milano è un centro universitario, culturale, economico e finanziario fra i più importanti in Europa e nel mondo.  In alcuni ambiti, non solo della moda, è considerata un riferimento primario. Difficile pensare che non debba riprendere un suo ruolo trainante e di eccellenza anche nel mondo dei servizi alla persona e, in particolare, in quelli rivolti all’età anziana, certamente il più importante capitolo demografico degli ultimi decenni. Non si tratta solo di investimenti economici, quanto del concreto bisogno di promuovere una nuova cultura del supporto alla vecchiaia e di rivedere nella sostanza l’organizzazione delle reti di intervento e la struttura dei principali servizi che la compongono. È noto come l’Italia e la Lombardia abbiano un Servizio sanitario nazionale fra i migliori al mondo, ma anche come non si sia investito a sufficienza nello sviluppo di un vero e proprio sistema di Long Term Care, capace di supportare con servizi aggiornati e dotati di una visione e di un governo di insieme le persone la cui vita sia condizionata da età, condizioni croniche, fragilità e vulnerabilità. L’esperienza della pandemia ha fatto emergere la debolezza dei servizi del territorio. Ha anche delimitato un crinale, una soglia fra un prima e un dopo che dovrà essere necessariamente diverso. In questo senso la città di Milano ha le risorse e le competenze per essere di modello per il paese e per rinnovare in modo sostanziale e lungimirante la propria rete di servizi.

Soprattutto sui media, è stata data molta enfasi alla crisi delle RSA, peraltro limitata alle prime settimane dell’emergenza sanitaria. Molto poco è stato detto sulla grande quantità di anziani deceduti nelle case o confinati per mesi in case inadatte e povere di sostegni; oppure dei micro- e macro-cluster familiari o condominiali, affrontati in modo parziale, discontinuo e poco decisivo dai sistemi di cure primarie, sociali o di prevenzione. Per questo e per molti altri motivi, è evidente come non si possa fondare un sostanziale aggiornamento delle politiche riflettendo solo sui servizi residenziali, oppure perpetuando stereotipi privi di fondamento, come la presunta alternatività fra servizi domiciliari e residenziali. Ancora di più, la vecchiaia non è un problema e non è una malattia; è una normale età della vita. La cura delle malattie è solo uno dei temi in gioco e non necessariamente il più rilevante. Ad esempio, la qualità di vita dei più anziani è influenzata negativamente dal confronto con un modello di organizzazione urbana pensato per adulti in piena autonomia. Le difficoltà della vita quotidiana nascono ben prima di aver bisogno di servizi specifici o specialistici; riguardano l‘abitare, la socialità, la viabilità, i trasporti, la distribuzione commerciale, la sicurezza. La comparsa delle prime limitazioni dell’autonomia, fino alla vera e propria non autosufficienza, rendono solo più evidente il bisogno di servizi solidi, diffusi, prossimi e altamente personalizzabili, chiamati ad operare in modo sussidiario e proporzionato rispetto alle risorse e ai desideri di persone e famiglie e ad adeguarsi e arricchirsi lungo l’intero arco di vita. Per questi motivi, i modelli più aggiornati di approccio alla vecchiaia sono per definizione globali, olistici, orientati alla persona e ai bisogni. Non privilegiano una forma di servizio rispetto ad un’altra, quanto la capacità di un sistema di offrire a persone e famiglie un ventaglio ampio di risposte a differente complessità, integrate e in continuità fra loro, modulabili secondo le necessità dei diversi progetti di vita. Nelle pagine che seguono, quindi, si affronterà il tema delle RSA, entro i confini di questa visione di insieme. E’ indubbio che le RSA lombarde e milanesi richiedano una sostanziale rivisitazione. Come si dirà meglio a seguire, le RSA sono e saranno essenziali; non sono un problema, ma una risorsa fondamentale. Il loro attuale modello di riferimento è però stato pensato molti anni fa e secondo logiche ormai ampiamente superate. Vanno quindi ripensate, non solo nella struttura o nel modello di presa in carico, quanto nell’insieme dei loro obiettivi e delle relazioni più ampie e sistemiche con il territorio. A seguire si richiameranno sinteticamente alcuni dei principi che la cultura scientifica e le buone pratiche definiscono oggi come standard di riferimento per una nuova generazione di servizi residenziali per anziani. Sono riferimenti che vengono proposti come contributo all’ipotesi di aggiornare e valorizzare le strutture residenziali di proprietà del Comune di Milano, secondo logiche innovative, tecnologiche e di eccellenza.

 

TEMI CHIAVE E LINEE DI SVILUPPO PER UNA NUOVA CULTURA DEI SERVIZI PER ANZIANI

 

  1. Modello abitativo verso modello ospedaliero. Le strutture residenziali per anziani lombarde sono normate da standard strutturali datati, che risalgono a più di venti anni fa. Il modello costruttivo di riferimento era all’epoca quello ospedaliero: standardizzato, totalizzante e centrato sulla malattia. L’accoglienza era stata prevista in camere a uno o più letti con bagni spesso condivisi. Lunghi corridoi, molte dotazioni tecniche (infermerie, medicherie, carrelli sanitari), pochi spazi privati e sociali, spesso decentrati o non facilmente fruibili nella quotidianità. Le norme hanno sempre dedicato poca o nulla attenzione alla qualità e normalità del vivere, rispetto alla maggior tutela dei bisogni sanitari. Come dovranno essere le strutture residenziali del futuro? In molti paesi del mondo, ma anche in alcune esperienze di eccellenza italiane, lo standard costruttivo è ormai diverso. Le strutture per anziani sono prima di tutto luoghi abitativi; in esse i più anziani prima di tutto vivono, potendo anche ricevere i servizi di cui necessitano, ma senza che essi esauriscano le risposte ai bisogni più ampi delle persone. Quindi, è ormai evidente che le strutture del futuro dovranno disporre di camere singole, personalizzabili, di ampia metratura e con servizi propri. Intorno ad esse, prima di tutto, devono essere evidenti luoghi di socialità, dove poter soggiornare in pochi o in tanti a seconda dei desideri e delle attività possibili. I servizi e gli operatori professionali sono indispensabili, ma i modelli progettuali più aggiornati propongono una grande attenzione a renderli meno pervasivi, invadenti e totalizzanti. Molte realtà europee o nordamericane sono ormai ben oltre; l’offerta è più spesso quelle di veri e propri appartamenti, integrati da servizi comuni e da servizi sanitari e fortemente collegati alla normale rete dei servizi del territorio. In questo senso, il confine fra soluzioni abitative e di housing sociale e soluzioni residenziali specialistiche si sta facendo sempre più sfumato. Molto sviluppata è anche l’attenzione alla qualità costruttiva: sostenibilità ambientale, efficienza energetica, piacevolezza delle finiture e degli arredi, colori, temperature e umidità controllabili per garantire benessere e confort, spazi esterni fruibili, attenzione alla prossemica degli spazi per favorire una percezione domestica e sostenere l’orientamento.
  2. Strutture della comunità e per la comunità. Per decenni le strutture residenziali sono state pensate come luoghi per separare i più fragili dall’esterno, confinandoli e a volte segregandoli in strutture speciali; in altre parole, luoghi speciali per persone speciali. I modelli di buona pratica vanno ormai in direzione opposta. La vecchiaia è una normale età della vita e le persone hanno il diritto di ritrovare, anche all’interno delle strutture, luoghi, spazi e simboli che propongano e diano forza a una nuova normalità di vita. Non da meno, ben collegata alla vita esterna delle proprie comunità. Proprio la forza dei legami con il proprio territorio arricchisce di senso e di contenuto l’esperienza di vita quotidiana. L’apertura deve essere reciproca; le strutture devono restare a servizio del proprio territorio e il territorio deve far sentire la chi in esse vive e opera la propria efficace presenza. Le RSA più moderne – anche in Lombardia sono ormai molte – sono oggi e a tutti gli effetti veri e propri Centri multiservizi per le proprie comunità. Possono mettere la propria solidità organizzativa e esperienza professionale a disposizione del territorio e delle reti che lo animano. Oltre ai normali servizi residenziali per anziani totalmente non autosufficienti, garantiscono servizi articolati e diversificati: Nuclei speciali Alzheimer, Centri diurni integrati, Servizi domiciliari in diverse linee (ADI, RSA aperta, Riabilitazione ambulatoriale e domiciliare ex art. 26, Cure palliative residenziali e domiciliari). Possono anche essere luogo di eventi, iniziative culturali, formazione, educazione sanitaria, mediazione e promozione di reti.
  3. Per quali popolazioni? Il recente dibattito sulle RSA, soprattutto mediatico, ha spesso sottolineato stereotipi piuttosto che dati di realtà. Certamente, più del 70% dei residenti nelle strutture lombarde e milanesi sono anziani totalmente non autosufficienti e di particolare complessità assistenziale: si tratta di persone di età molto avanzata (più di 85 anni, ma in molte strutture l’età di ingresso è oggi prossima ai 90) con patologie plurime, totalmente dipendenti sia sotto il piano fisico che cognitivo, fragili e socialmente vulnerabili. La maggior parte di loro arriva alle RSA dopo 7-8 anni di totale e preesistente dipendenza fisica o cognitiva, durante i quali le loro esigenze primarie sono state gestite a casa, di frequente con l’aiuto di badanti. Spesso, l’anno precedente l’ingresso in RSA è costellato da 3 o 4 ricoveri ospedalieri ripetuti, che contribuiscono al graduale esaurimento delle risorse fisiche e emotive delle famiglie. Sotto molti aspetti, lo descrivono bene molte pubblicazioni, si tratta di persone prossime al termine naturale dell’esistenza, che richiedono un’assistenza proporzionata, appropriata e fortemente connotata in senso palliativo. Nel caso specifico, anche di un’assistenza professionale e specialistica, a fronte di bisogni che realisticamente superano quelli gestibili fra le mura domestiche, anche con l’intervento dei possibili, ma certamente non sufficienti servizi di assistenza domiciliare. Nessuno di questi, in nessun paese al mondo, può garantire copertura e supporto di alta intensità assistenziale h24. In altre parole, nessun sistema può fare a meno di una rete solida e aggiornata di strutture in grado di affrontare umanamente, eticamente e professionalmente i bisogni e le complessità degli ultimi anni di vita. Come anticipato in precedenza, le stesse strutture, con tariffe e modelli di accreditamento diverso, garantiscono anche risposte a altre tipologie di anziani che richiedono risposte professionali e specialistiche: ad esempio, le anomalie del comportamento che caratterizzano alcune fasi della storia naturale delle demenze, la complessità degli stati vegetativi o delle fasi più avanzate delle malattie neuromuscolari, i bisogni di cure palliative delle fasi più avanzate dell’esistenza.
  4. Se questa è la popolazione che può essere considerata tipica per una RSA lombarda, il restante 25-30% degli attuali residenti esprime però bisogni molto diversi. Si tratta spesso di persone spesso già in carico prima dell’ingresso ai servizi sociali dei Comuni di riferimento: senza fissa dimora, dipendenze, disagio sociale grave, ex detenuti, persone con disabilità congenite o acquisite o con problemi di salute mentale che hanno superato l’età per la presa in carico da parte dei servizi dedicati. Quindi, popolazioni con problemi già presenti cui ora si aggiungono quelli propri dell’età anziana, aumentandone la vulnerabilità e intaccandone la resilienza. Oppure, anziani che hanno iniziato a perdere le principali autonomie strumentali – mantenendo però consistenti autonomie residue – ma che non hanno alcun familiare o sono sostenuti da reti familiari deboli o in fase critica. Questi ultimi sottogruppi (disagio sociale, disabilità preesistenti e anziani soli o con reti deboli o assenti) possono beneficiare molto più degli anziani totalmente dipendenti e alle soglie del termine naturale dell’esistenza di accoglienze residenziali comunitarie, meno sanitarizzate e più connotate in senso sociale, educativo e abitativo. Conservano spesso interessi e autonomie anche rilevanti e la scelta dell’RSA – anche da parte degli stessi servizi sociali comunali – deriva normalmente dalla carenza o assenza sul territorio di soluzioni alternative, ad esempio abitazioni protette, cohousing, abitazioni e condomini con servizi accessori.
  5. Per questi e altri motivi, progettare oggi una struttura residenziale per anziani moderna, innovativa e aggiornata impone di ripensare questa offerta come un sistema globale di servizi e soluzioni possibili. L’Ente istituzionale di riferimento il gestore possono scegliere di specializzarsi verso una o più linee di bisogno o di garantire un ventaglio anche molto ampio di soluzioni, fino a complete filiere di risposte, che vanno dal domicilio, alla semi-residenzialità fino alle diverse forme abitative o residenziali. Sono infatti accreditabili in questo ambito – già citati – servizi dedicati a persone con esigenze diverse: Nuclei speciali Alzheimer, Nuclei specializzati per persone con esiti di gravi cerebrolesioni acquisite (stati vegetativi), reparti per persone con SLA. Dalle RSA derivano anche molti Hospice lombardi, con un loro specifico accreditamento. Non ultimo, può anche essere una specifica scelta gestionale quella di specializzarsi nell’accoglienza delle popolazioni più autonome descritte in precedenza, sia utilizzando il normale accreditamento di RSA che utilizzando al meglio le altre possibilità normative, integrando o privilegiando una offerta abitativa (abitazioni protette individuai, abitazioni per piccoli gruppi, residenze comunitarie sociali. Infine, esistono diversi esempi sul territorio lombardo di integrazione in un unico sistema, di forme diverse di abilitazione all’esercizio o accreditamento (abitazioni protette, residenze sociali comunitarie, centri diurni integrati) che permettano di coniugare sia la forma abitativa che la presenza di contributi sanitari, di servizi e di équipe professionali complete. In altre parole, non è più utile interpretare i servizi residenziali come un unicum generalista, autoreferenziale e omnicomprensivo. Piuttosto, la conoscenza del territorio e l’analisi dei bisogni che si ritiene di affrontare apre a soluzioni costruttive e gestionali altamente diversificabili.
  6. Integrazione territoriale e lavoro di rete. A partire soprattutto dalla Riforma ter, si è assistito in Italia a una progressiva separazione fra i luoghi di ascolto, regolazione e offerta territoriali. Servizi sanitari, distretti, servizi sociali comunali, centri privati profit e non profit si sono nel tempo sviluppati come fisicamente, istituzionalmente e culturalmente separati. Il PNRR, i più recenti documenti di AGENAS e della Conferenza Stato-Regioni stanno invece proponendo gli strumenti per riunire ciò che è stato a lungo separato. Ad esempio, la logica dei POT (Presidi ospedalieri territoriali), dei PRESST (Presidi socio-sanitari territoriali) e quella delle Case della Comunità rappresentano occasioni privilegiate per riunire in luoghi fisici molti servizi per il territorio. In questo senso, le strutture residenziali possono diventare un luogo privilegiato per aggregare servizi istituzionali territoriali: centri sociali, centri diurni, centrali operative di offerta di servizi distrettuali, zonali e domiciliari, sportelli sociali, patronati, centri di ascolto, cure primarie, farmacie, ambulatori specialistici. Non da meno, anche luoghi di vita normali, se l’uso degli spazi viene progettato con intelligenza: centri sociali, spazi commerciali compatibili, centri sportivi. Quindi, interpretare le strutture residenziali come sistemi multiservizi integrati e come centrali operative e di interfaccia operativa fra sistemi e fra persone, propone scenari di estremi interesse per le istituzioni più moderne.
  7. Intergenerazionalità. Per gli stessi motivi già anticipati, i modelli progettuali più recenti sono orientati, quando possibile a preservare in tutte le strutture di servizio un equilibrato mix fra generazioni e popolazioni. Se la vecchiaia viene percepita come una normale età della vita e non come un problema o una malattia da curare, diventa evidente il contributo alla qualità di vita dei residenti che può derivare dalla contiguità con spazi o servizi utilizzati da persone di altra età, a partire dai bambini e giovani. La logica della specializzazione ha reso le strutture per anziani luoghi scollegati dalla vita normale. Una progettazione intelligente e una visione umanistica dell’offerta dei servizi, comprende invece l’utilità di aggregare servizi per persone di età diverse. Molte esperienze hanno già sperimentato l’utilità di coniugare servizi per bambini, giovani, adulti e famiglie (scuole materne, centri sportivi, attività scolastiche, biblioteche, centri culturali, parchi aperti, giardini fruibili, orti, luoghi di svago e di gioco) con i servizi per anziani. Oppure, l’integrazione di comunità e servizi con finalità diverse (anziani, mamme con bambini, famiglie giovani, studenti). Anche in spazi tecnicamente separati, ma progettati in modo da favorire occasioni di incontro e prossimità. La logica ospedale-centrica vuole le strutture residenziali come luoghi chiusi, isolati e riservati a popolazioni molto selezionate. La logica abitativa è invece aperta alle promiscuità, quando sostenute da una progettazione architettonica e gestionale innovative. Le case sono case e in esse vivono normalmente persona di età e con bisogni diversi. Ripensare le strutture residenziali come abitazioni integrate da servizi professionali evoluti ma aperte alla vita e alla normale socialità, appartiene alla cultura più attuale e ai desideri di tutti.

 

IPOTESI DI LAVORO PER LE RSA DEL COMUNE DI MILANO

 

Alla luce di quanto descritto in premessa, di seguito e per punti, sembra possibile delineare alcune ipotesi idi lavoro per le RSA del Comune di Milano:

  1. Il Comune di Milano accoglie una proporzione consistente di cittadini anziani. Si tratta di una popolazione che registrerà nei prossimi decenni una crescita imponente sotto il piano delle numerosità assolute e in proporzione rispetto alla popolazione complessiva. Questo aumento determinerà una crescita di tutti i bisogni collegati: anziani soli, anziani con reti deboli o assenti, anziani portatori di disabilità fisiche e cognitive, anziani in condizioni croniche complesse e avanzate o con bisogni di cure di fine vita.
  2. I numeri in gioco sono e saranno tali da non poter essere affrontati con modelli o schemi datati e già oggi superati dalla realtà. Queste tendenze impongono scelte coraggiose e aperte al futuro. Per rispondere ai nuovi bisogni in modo efficace ma sostenibile, sarà indispensabile sperimentare modelli aggiornati di erogazione, necessari.
  3. Le RSA rappresentano un paradigma di questo cambiamento. Quelle di proprietà del Comune di Milano sono nate a partire dall’attenzione ai bisogni del territorio. Nel tempo, per motivi soprattutto economici, si è preferito trasferire la loro gestione a terzi. Anche il modello di affidamento ha più spesso fatto riferimento a criteri economicistici piuttosto che alla selezione di gestori qualificati. Per lo stesso motivo, si è preferito delegare in toto la gestione, piuttosto che condividere partnership o coprogettazioni – soprattutto con gestori non profit e portatori di specifiche identità e competenze – in grado di operare secondo un comune interesse pubblico.
  4. Le RSA del Comune di Milano rappresentano però un valore culturale e di servizio pubblico. Meritano di essere ripensate e orientate verso modelli di gestione aggiornati e di eccellenza. In questo senso, il PNRR rappresenta un’occasione privilegiata, che va analizzato non solo nello specifico della Missione 6, ma anche della 1 (Digitalizzazione, innovazione e sicurezza delle PA), della 2 (Efficienza energetica degli edifici e sostenibilità ambientale) e della 5 (Politiche per il Infrastrutture sociali, Famiglie, Comunità e Terzo Settore. Interventi speciali di coesione territoriale). Le 5 RSA, nel loro complesso, potrebbero cioè essere oggetto di un complessivo piano di riqualificazione edilizia, di aggiornamento tecnologico, di qualificazione del lavoro, di revisione gestionale e di diversificazione dell’offerta che le rendano coerenti con una sostanziale revisione delle linee di supporto all’età anziana nella sua naturalità e nella sua implicita variabilità. In molti di questi ambiti una progettualità adeguata può trovare coerenze con i finanziamenti del PNRR, rilanciando l’immagine e l’identità del Comune di Milano.
  5. Le RSA non sono solo luogo di cura, ma anche di vita e di lavoro, e la misura del benessere globale delle persone che abitano questi luoghi è il risultato di processi molto articolati. Le RSA sono e vanno considerate come sistemi umani complessi all’interno e all’intorno dei quali si sviluppano dinamiche relazionali e sociali di estrema attualità e interesse. Non da meno, il benessere degli anziani residenti è fortemente intrecciato con quello degli operatori che in esse operano. Pensare a una revisione di eccellenza delle strutture per anziani impone, oggi, di prestare particolare attenzione a queste dinamiche, così come di comprendere che le RSA sono, oggi, sistemi multiculturali, multireligiosi e multidentitari. Ad esempio, oltre la metà degli operatori di molte strutture milanesi provengono da altri paesi e in alcune di esse si contano fino a trenta nazionalità diverse. Lo stesso fenomeno riguarda i residenti, che integrano oggi persone italiane, orientali, africane, sudamericane o provenienti dall’Europa dell’Est. Sono alcuni fra i motivi principali per cui la tradizionale logica ospedale-centrica, fondata sulla standardizzazione, diventa un ostacolo più che una risorsa. Il modello di governo di queste dinamiche è prima di tutto sociale, antropologico, educativo e psicologico; solo in subordine, senza ridurne la rilevanza essenziale, clinico e assistenziale. Ecco perché sono state citate in precedenza Missioni del PNRR attinenti il lavoro, l’integrazione e la coesione sociale. Un Comune di eccellenza come quello di Milano, città a tutti gli effetti globalizzata e multiculturale, può accogliere questa sfida, integrando nel progetto più ampio di revisione delle proprie RSA interventi di welfare aziendale evoluto, di tutela del benessere di chi lavora, di presa in carico delle difficoltà abitative, linguistiche o di integrazione di chi proviene da altri paesi, di valorizzazione delle donne, di supporto alle concrete difficoltà della maternità o della crescita dei figli. Inoltre, di sviluppo di modelli originali di cura, che sappiano tenere conto delle differenze culturali, alimentari, religiose dei residenti. Nelle RSA moderne, ad esempio, servono oggi professionalità diverse da quelle abituali: mediatori culturali, operatori spirituali, religiosi di più confessioni.
  6. Questi obiettivi non sono solo astratti. Rispetto al lavoro, è nota la carenza di operatori professionali italiani che rende ormai indispensabile una attenzione specifica all’utilizzo programmato di operatori stranieri. I numeri sono già drammatici, non solo in Italia. In tutti i paesi ad economia avanzata sono stati sviluppati programmi specifici orientati ad attrarre, sostenere e integrare professionisti provenienti da altri paesi. Fino ad oggi, queste dinamiche sono state gestite in modo casuale e con scarsa attenzione. Nel futuro prossimo sarà invece necessaria una attenzione progettuale specifica. Attrarre e sostenere l’integrazione di operatori stranieri impone la possibilità di garantire pacchetti completi di supporto amministrativo, offerta abitativa, formazione linguistica e aggiornamento professionale. Una città come Milano ha il dovere di proporre una visione non opportunistica e non strumentale del ricorso a operatori stranieri; ha le risorse per proporre un modello di attenzione alle persone e al loro valore. Certamente sarà utile per risolvere un problema oggettivo – la carenza di personale – ma in una visione di servizi alla persona e per le persone. Utile, ma utile per entrambi, quindi win-win. Attrarre, accompagnare, rispettare, valorizzare, sostenere.
  7. Per l’importanza di questi obiettivi, sotto il piano gestionale, sembra necessario prevedere il ritorno alla piena gestione pubblica delle strutture. L’efficienza gestionale e la necessità di garantire coerenza al progetto di insieme, suggeriscono l’utilità di centralizzare gli aspetti gestionali, generali e di governo un unico soggetto istituzionale – ad esempio una partecipata come AFM – per ottimizzare oneri, servizi e costi comuni. Si tratta quindi di costruire un modello di gestione unico, articolato in unità d’offerta diverse e sostenuto da un modello organizzativo e funzionale formalizzato e omogeneo.
  8. Tutte le strutture meritano una riqualificazione sostanziale, sostenuta da un pensiero attento ai bisogni delle persone. Appare prioritaria un’azione straordinaria di riqualificazione degli edifici, sotto il piano architettonico, energetico, funzionale e tecnologico. Va sottolineato, come molte soluzioni ICT (monitoraggio ambientale, sensoristica indossabile, sistemi di sollevamento innovativi, soluzioni domotiche, piattaforme informatiche per la continuità delle informazioni) hanno ricadute dimostrabile sulla sicurezza dei degenti e degli operatori, sull’efficacia e efficienza del lavoro e sulla sostenibilità economica della gestione. Altre (riqualificazione energetica, efficienza ambientale, isolamento termico) su consumi e costi di gestione.
  9. Sotto il piano architettonico, Milano merita una rete di servizi residenziali coerenti con i più aggiornati standard internazionali e con le indicazioni più recenti della letteratura e dei modelli di buona pratica. Oltre ai già citati aspetti tecnologici, va superato il tradizionale modello ospedaliero. Le strutture vanno progettate con una attenzione alla normalità dell’esistenza e delle relazioni: camere singole di superficie adeguata e con servizi dedicati; ricchezza di spazi sociali pubblici e privati, per poter incontrare amici o familiari, intrattenere relazioni o partecipare a eventi e attività; luoghi di servizio attivi ed efficaci, ma visivamente in secondo piano; soluzioni architettoniche e di arredo che limitino i rischi e favoriscano l’orientamento; fruibilità e sicurezza elevata degli spazi esterni. Può anche essere superato il concetto di camere isolate e separate. Le strutture tradizionali sono solo un insieme di posti letto standard. Questa logica non è più adeguata. Le nuove residenze possono integrare anche soluzioni originali di cohousing per gruppi omogenei o per persone che vivano positivamente la socialità. Oppure aggregare in un insieme appartamenti a diverso grado di protezione, spazi comunitari, nuclei a maggiore intensità di cura, servizi ambulatoriali e semiresidenziali/diurni.
  10. Una attenzione specifica va riservata all’accoglienza di persone con livelli anche lievi di compromissione cognitiva; esistono oggi forme originali di progettazione dedicata, che riducono lo stress delle persone e degli operatori grazie a specifiche soluzioni architettoniche e tecnologiche.
  11. Infine, l’attenzione all’intergenerazionalità e all’integrazione di rete e con il territorio. Nessuna norma o nessuna indicazione scientifica limita la possibilità di progettare strutture per destinatari diversi, oppure aperte a garantire servizi molteplici a popolazioni con età e bisogni diversi, se la progettazione è razionale ed è orientata a rispettare le esigenze di ognuno. Anzi, è ben dimostrabile come la qualità di vita dei più anziani migliori se la persona può mantenere relazioni, anche solo di contiguità, con persone di altre età. Non a caso, nel modello danese – a tutti gli effetti una eccellenza mondiale nella costruzione di un sistema di welfare – tutte le strutture residenziali appartengono al comune capitolo dell’housing sociale, anche le più complesse nursing homes. Tutte devono rispettare gli stessi standard di qualità costruttiva, di accessibilità e di sostenibilità ambientale; tutte appartengono al territorio, tutte sono governate dalle municipalità anche se gestite da organizzazioni non profit, istituzionalmente definite come di interesse pubblico. Tutte, quindi, sono organizzate come normali residenze singole o collettive, aperte, rispettose dei diritti personali e completamente integrate nella rete dei servizi di comunità. Altri modelli, francesi, spagnoli, inglesi o dei paesi nordici, hanno anche dimostrato la realizzabilità e l’efficacia di soluzioni costruttive che colleghino saldamente le strutture alla normale vita della città o del quartiere: piazze comuni, viabilità pedonale, luoghi di servizio (negozi, farmacie, luoghi di ristoro), campi da gioco. Integrazione nella normalità della vita, quindi, piuttosto che separazione artificiale. Infine, va superata l’idea dei servizi frammentati, segmentati e autoreferenziali.
  12. Le nuove RSA sono e devono essere Centri Multiservizi, aperti alle esigenze del territorio. Certamente, va superato il modello di erogazione totalizzante, per adottare un modello aggiornato di risposta sociale, integrata, di rete, personalizzabile, fondata sul paradigma abitativo e aperta ai bisogni della comunità. In questo senso, può essere superata l’idea di limitare l’offerta a una sola tipologia di servizi: o residenziali o abitativi o semiresidenziali o domiciliari. Al contrario, anche in termini di massimizzazione dell’utilizzo delle risorse, la possibilità di integrare in una struttura o in una rete di struttura una completa filiera di offerta, migliora l’efficienza gestionale e favorisce la progettazione di progetti di vita flessibili e personalizzabili. In Lombardia esistono già molti esempi di strutture che integrano più servizi, con una particolare attenzione a quelli territoriali e domiciliari: Centri diurni, Alzheimer Cafè, Centri di incontro, ADI, RSA aperta, riabilitazione ambulatoriale e domiciliare ex art. 26.
  13. Alla luce della necessità di ripensare in modo profondo la residenzialità per anziani, non va dimenticato come Milano sia una delle capitali mondiali del design e dell’architettura e che ospiti università e facoltà prestigiose. Potrebbe essere ipotizzabile l’opportunità di lanciare un bando – aperto anche a progettisti e università internazionali – per la progettazione innovativa della riqualificazione delle strutture e dei rispettivi territori, orientato secondo le linee progettuali urbane, sociali e di servizio del PNRR e secondo le attuali indicazioni della letteratura e dei modelli di buona pratica.
  14. Il Comune di Milano è in ogni caso proprietario di circa un decimo delle strutture attive sul territorio cittadino. Può scegliere razionalmente di selezionare le risposte ai bisogni più coerenti con il proprio mandato istituzionale e con la sensibilità sociale dei propri operatori. Come già descritto, nelle RSA milanesi esistono molte persone accolte per motivi diversi da quelli della complessità assistenziale o della prossimità al termine dell’esistenza. Persone anziane ma senza fissa dimora, oppure con storie inveterate di disagio sociale, dipendenze o di salute mentale, o anziani con autonomie residue ma soli, vulnerabili e in situazione abitativa precaria. Sono persone spesso già note ai servizi sociali, a volte già seguite per anni o decenni. Si tratta di identificare i sottogruppi più coerenti con il proprio mandato e di costruire risposte innovative, mirate e di eccellenza, selezionando fra le diversificazioni possibili dei modelli di abilitazione all’esercizio e di accreditamento quelle più coerenti con la propria visione e identità istituzionale. Non da meno, permette di operare scelte coerenti con le nuove logiche progettuali, riservando le proprie strutture a quei sottogruppi di popolazione più idonei a un approccio profondamente umanistico e sociale, con équipe meglio orientate verso una presa in carico a più forte impronta psico-educativa e di supporto alla vulnerabilità, più che alle condizioni di esplicita patologia.
  15. La possibilità di disporre di 5 strutture apre anche a soluzioni meglio articolabili, ad esempio riservando una struttura ai servizi a maggior complessità assistenziale e le altre a quelli a maggiore impronta sociale o abitativa. Non da meno, lo scenario attuale vede importanti risorse economiche municipali indirizzate all’integrazione al reddito dei propri cittadini accolti nelle RSA milanesi. Queste risorse potrebbero già garantire una solida base economica per la sostenibilità futura di queste scelte, se queste popolazioni potessero trovare una risposta interna nelle strutture a gestione diretta.
  16. Un’ultima osservazione riguarda il tema dell’integrazione di rete. il Comune di Milano governa già un’articolata rete di servizi per persone di età e bisogni diversi, fra cui centri sociali, centri diurni, centri di ascolto, servizi domiciliari. Proprio la pandemia ha sottolineato la debolezza di un sistema segmentato e frammentato, rispetto all’efficacia naturale del fare rete. È indispensabile che anche le strutture residenziali siano ricondotte in questo normale scenario di condivisione e di collaborazione, centrato sui bisogni delle persone e sugli obiettivi di piani di assistenza individualizzati e personalizzati. Le soluzioni proposte nei punti precedenti si muovono entro i confini di questa visione. Superare l’idea di strutture isolate, separate e autoreferenziali per entrare a pieno titolo in quella di strutture flessibili e profondamente collegate alla normalità della vita delle proprie comunità e alla efficacia dei servizi. Anche in questo caso è ben dimostrata l’utilità di costruire contiguità fisiche fra chi regola e chi eroga i servizi e anche fra gli erogatori di servizi diversi. Il modello delle Case della Comunità ha anche e soprattutto questo duplice obiettivo; rendere i servizi più vicini alle persone ma anche avvicinare fra loro chi i servizi deve garantirli. Non va quindi trascurata l’idea che una o più delle 5 RSA siano anche sede possibile di centrali operative territoriali o di servizi attinenti altri attori istituzionali, a partire dai servizi di ATS e ASST. Oppure, di altri attori sociali o culturali che possono contribuire efficacemente alla costruzione di risposte individuali efficaci e alla promozione di una cultura della vecchiaia attiva e in salute e mai in solitudine.

 

Gruppo Demos di Milano

 

 

One Comment

  1. Il Documento è molto bello e completo nel delineare le prospettive. Meriterebbe che diversi punti fossero discussi e approfonditi.
    Mi sono interessata del tema RSA sin dall’inizio della prima “ondata“ pandemica come aspetto dell’ageismo diffuso ampiamente tra esperti, opinionisti e anche nel sistema sanitario.
    La supermortalità nelle varie strutture-istituzioni per anziani è stata un fenomeno di tutti i Paesi ricchi, anche nei migliori sistemi di welfare (Svezia in testa). La International Long Term Care Policy Network nel Rapporto di maggio 2020 ha scritto che “these deaths are not inevitable”, analisi simile a quelle iniziali di Arlotti-Ranci per la Lombardia. Vi segnalo il mio saggio: Bimbi F. 2021 ,“L’ageismo. Vita quotidiana e discorsi pubblici all’inizio della pandemia, Sars- Covid 19”, in Favretto A. R., Maturo A., Tomelleri S.(a cura di), L’impatto sociale del Covid-19, Angeli, Milano.
    Ho continuato a lavorare sul tema e perciò sarei interessata a seguire il vostro lavoro.

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