Un voto (a caldo) alla lista dei ministri del governo di Enrico Letta

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I giudizi a caldo valgono quel che valgono. Poche ore fa Enrico Letta ha presentato il suo governo. L’ho accolto con molta curiosità e, dopo aver scorso i nomi, anche con un senso di liberazione. Ho pensato che siamo usciti da un’impasse che stava diventando tormentosa, e certo dannosa per il paese. Ad una prima lettura dei nomi dei ministri la mia impressione è stata positiva. Non ci sono i politici del Pdl più ingombranti. Non ci sono neanche i nomi importanti del Pd, ma questo, alla fine, non guasta. Mi dispiace solo per Amato che piace a pochi ma io trovo che sia una persona di molto valore. Mi colpiscono in particolare i nomi dei non politici: sono tutti ottimi, secondo me. Trovo ottima la Bonino agli Esteri (era la mia candidata preferita per la presidenza della Repubblica). Credo ottimo Saccomanni all’Economia (se poi si pensa che doveva andarci Brunetta!): ci garantisce competenza e credibilità in Europa. Ottimo anche Carlo Trigilia alla Coesione territoriale: è uno che conosce molto bene le problematiche delle autonomie locali, dei territori. E così pure Mariachiara Carrozza all’Istruzione, università e ricerca: viene da uno dei luoghi di eccellenza della formazione, la Scuola superiore Sant’Anna di Pisa. Buono certamente anche Enrico Giovannini, presidente dell’Istat, al Lavoro: è giovane, ha una visione aperta e innovatrice dello sviluppo sociale. Non conosco affatto Massimo Bray ai Beni culturali, ma vedo che è direttore editoriale della Treccani, e immagino che avrà un’idea alta della cultura e del suo ruolo nella vita del paese (e poi vedo che è del Pd). Infine c’è Filippo Patroni Griffi come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio: è un tecnico di lungo corso; sarà una presenza utile.

Guardo meglio la lista. Vedo anche altri elementi molto positivi. Alla Giustizia c’è Annamaria Cancellieri, che è indipendente e coraggiosa: a Bologna, dopo che ha fatto la commissaria, se la volevano tenere come sindaco. E Enzo Moavero resta alle Politiche comunitarie, dove ha lavorato assai bene durante il governo Monti.

Ora mi soffermo sui politici. Il Pdl ha Alfano come vicepresidente e ministro dell’Interno. E’ sopportabile; e comunque non poteva non avere un ruolo di peso. Gaetano Quagliariello agli Affari istituzionali penso che può andare; competenza ne ha, era tra i dieci saggi, non è arrogante, mi pare abbastanza costruttivo. Maurizio Lupi è alle Infrastrutture. Anche questo è sopportabile; in quel settore forse non avrà competenza, ma penso si darà da fare, e troppi guai non dovrebbe combinarne. Beatrice Lorenzin alla Salute. E’ una donna che ha carattere e mi sembra che, in linea di massima, abbia capacità politica; potrebbe non fare male. Mi cadono un po’ le braccia leggendo che Nunzia De Girolamo è ministro, alle Politiche agricole. Conoscerà le campagne? Non lo so. Però è sveglia; e poi ha un marito del Pd (Francesco Boccia), che mi pare in gamba; spero le dia una mano. Poi c’è l’area di centro: a parte Moavero, ci sono Mario Mauro alla Difesa, e penso che vada bene, e Giampiero D’Alia alla Semplificazione, di cui so poco tranne che è dell’Udc, il che mi lascia dubbioso.

E veniamo al Pd. Dario Franceschini ai Rapporti con il Parlamento mi sembra scelto bene: è dialogante e serio. Bene direi la scelta di Graziano Delrio agli Affari regionali, perché è intraprendente, serio, ed è il presidente dei Comuni italiani, dunque ha una buona esperienza. Non si può dire lo stesso per Flavio Zanonato allo Sviluppo economico; è sindaco di Padova e responsabile dei Comuni italiani per l’immigrazione; non mi sembra che abbia le competenze giuste per quel dicastero; però è un uomo di esperienza amministrativa, è del Nord, ed è persona solida e aperta (mi dicono sia dalemiano, ma non è per forza una colpa o un demerito). All’Ambiente c’è Andrea Orlando, uno dei giovani turchi; non so le sue competenze specifiche (avrei preferito Ermete Realacci), ma sembra una persona in gamba, seria, capace; dovrebbe saper dare peso alla questione ambientale nelle politiche del lavoro e dello sviluppo; penso possa fare bene. Infine ci sono due donne, due sorprese: alle Pari Opportunità c’è Iosefa Idem, campionessa olimpica nella canoa, una donna che mi sembra piena di vitalità e di buon senso, e all’Integrazione c’è una giovane di origini congolesi, Cecile Kyenge, che ha già alle spalle un’esperienza di consigliere alla Provincia di Modena e che si batterà per la cittadinanza italiana ai figli degli immigrati.

Fin qui i nomi. Nell’insieme, dunque, darei un voto alto. Alto, in media, per la competenza e la qualità delle persone. Alto per la presenza delle donne, che è pari a un terzo. Alto per l’età media che è piuttosto bassa (52 anni). Alto anche per l’equilibrio tra le forze politiche che lo sostengono (direi un uso intelligente dell’inevitabile manuale Cencelli).

Ma come valutare la cosa dal punto di vista politico più generale?

Certo, qui dipende dalle aspettative che ciascuno aveva. Io ritengo che, visti i risultati elettorali e visto l’atteggiamento e soprattutto la filosofia del Movimento 5 Stelle, non ci fossero le condizioni di un governo di cambiamento, almeno per come lo intendeva Bersani, cioè un governo che desse una risposta nettamente di sinistra alla crisi economica e politica (e che liquidasse Berlusconi con l’ineleggibilità). Questo di Enrico Letta potrà essere un governo di cambiamento nel senso di riaprire il dialogo con la società, con le parti sociali, con il mondo della cultura e della ricerca, allo scopo di intrecciare innovazione e equità, e di risalire la china. Un governo di servizio, come lo ha chiamato Letta, cioè di ascolto e di dialogo, e poi di operosità paziente e tenace, coraggiosa e trasparente. Un governo che sia in grado di ristabilire un contatto con i giovani. Sarebbe già un bel cambiamento.

 Però, certo, bisogna ancora vedere il programma.

 di Giampiero Forcesi

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  1. Al di là dell’immediatezza, forse bisognerebbe darli a freddo e non a caldo i giudizi sulla qualità della compagine di questo governo. Riflettendo cioè con attenzione su quanto è accaduto nei giorni scorsi, quando l’incredibile doppia bocciatura di due prestigiosi candidati dello stesso partito alla presidenza della Repubblica, lanciati sulla base di due opposte strategie politiche, ha visto nascere prima la crisi e poi l’evoluzione del profilo di questo governo che era stato osteggiato con forza (in campagna elettorale e subito dopo il risultato delle urne), dallo stesso partito che si è sfarinato in quell’occasione. Un governo nato quindi da una debolezza estrema, per il semplice motivo, checché ne dicano gli oppositori, che andare a rivotare (unica alternativa) con questo sistema elettorale e con la feroce crisi che attanaglia il nostro Paese sarebbe stato un atto definitivo di morte della politica oltre che di rischio altissimo che non ci potevamo permettere. L’operazione Letta ha fatto di necessità virtù. E l’ha fatta davvero, considerando i 21 nomi.
    Perché, al di là dell’accordo (storico non direi, compromesso sì, forzato, ma c’è) le persone che sono state chiamate a dirigere i ministeri hanno, chi più chi meno, competenze per farlo. Non riesco a fare l’analisi puntuale e cortese come ha fatto Forcesi su queste colonne. Mi limito ad osservare che i titoli e le esperienze professionali che fanno curriculum e offrono il primo passo alla credibilità al momento dell’incarico, sono abbastanza presenti. Abbastanza. Ma nella storia della nostra Repubblica abbiamo visto fior di politici laureati in materie assai diverse da quelle per le quali sono stati poi largamente apprezzati (uno su tutti, Carlo Azeglio Ciampi, economista di vaglio, e lo sappiamo bene, come dice anche Wikipedia, ma laureato in lettere classiche e poi in Giurisprudenza). E altri ancora nella cosiddetta prima Repubblica.
    Gli studi vengono quindi spesso superati da brillanti attività professionali in altri settori. E così speriamo (nei prossimi mesi, anni? mah!) per Lorenzin alla Sanità, De Gerolamo all’Agricoltura, Lupi alle infrastrutture e Zanonato allo Sviluppo Economico, che a differenza di altri loro colleghi non abbinano l’oggetto del mandato ad una competenza acquisita sul campo degli studi prima e di qualche percorso professionale poi.
    Ma, osservo con umiltà: le esperienze di rilievo, che hanno segnato percorsi politici di spessore al di là delle lauree acquisite onestamente, sono quasi sempre nate da un triplice pacchetto di valori: indipendenza di pensiero e azione, capacità di ascolto, coraggio. Questo, a mio avviso, sarebbe il ritorno alla politica, dopo la breve esperienza dei tecnici. Se i “non titolati”, mi sia consentito di chiamarli così, giovani o meno che siano, saranno capaci di mettere in campo queste risorse, allora il governo Letta avrà fatto un piccolo ma importante passo avanti per riavvicinare i cittadini alla politica e alle istituzioni.
    Per i risultati, è un altro discorso, dipende da molte più variabili. E per questo dico che “a freddo”, il giudizio, potrà essere migliore …

  2. Sempre a caldo, non riesco a essere così ottimista. Spero di sbagliare, ma certe nomine sono, imho, eccessivamente politiche.
    La Lorenzin su tutti. E poi, la moglie di Boccia. Oggi Zanonato ha parlato del nucleare, come se ce ne fosse ancora bisogno.
    Nella situazione di emergenza, servivano personalità completamente rispettabili e competenti.
    Nel complesso, c’ho poca fiducia…

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