Su quel che accade in Vaticano. Ritagli di stampa del 29 maggio

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S’ingrossano, nella stampa, gli articoli che commentano quel che accade in Vaticano. Ne abbiamo scelto alcuni, riportandone stralci, anche ampi. Gli autori: Massimo Faggioli, Emma Fattorini, Gian Luca Podestà intervistato da Cristoforo Boni, Marco Politi, Aldo Maria Valli

 Curia, quella riforma a metà, di Massimo Faggioli, in “Europa” del 29 maggio

http://www.europaquotidiano.it/dettaglio/135008/curia_quella_riforma_a_meta

 “Di fronte alla crisi attuale, senza precedenti nella storia del pontificato contemporaneo, ci sono diverse possibili letture, tra cui quella moralista (le bassezze umane) e quella spirituale (lo scandalo come prova). Ma è necessario anche inquadrare questo momento all’interno dei tentativi, nel corso degli ultimi cinquant’anni, di riformare la Curia romana e il ministero papale nella chiesa. Al concilio Vaticano II, di cui quest’anno la chiesa celebra il cinquantesimo dell’apertura, molti vescovi proposero una riforma della Curia romana, a partire dal celebre discorso del novembre 1963 del cardinale di Colonia, Frings, allora coadiuvato dal giovane teologo conciliare Joseph Ratzinger. Dopo quel discorso vennero formulate altre proposte: la più elaborata suggeriva la creazione di un ‘consiglio centrale dei vescovi’ che affiancasse il papa, ma al di sopra della Curia romana, per il governo della Curia e della chiesa universale. Paolo VI non si fidò della proposta e alcuni solerti collaboratori della Curia lo aiutarono ad anticipare e prevenire la discussione della questione in concilio con l’annuncio, nel settembre 1965, del nuovo ‘Sinodo dei Vescovi’, assemblea senza veri poteri e dal ruolo largamente cerimoniale e celebrativo. Dopo la fine del concilio Paolo VI procedette ad una riforma della Curia romana che si limitò a tre innovazioni: l’aggiunta dei ‘Pontifici Consigli’ alla vecchia struttura della Curia, creata dal concilio di Trento a fine del secolo XVI; l’internazionalizzazione del personale di Curia; una concentrazione dei poteri nel Segretario di Stato, una sorta di ‘primo ministro del papa’.”

“Questa nuova configurazione della Curia romana ha retto fino a quando le elite dirigenti di essa erano figlie di una generazione di ecclesiastici consci del proprio ruolo e dei delicati equilibri della macchina curiale e della dimensione globale della chiesa”.

(…) “Colpa anche di una certa teologia liberal post-conciliare che si illudeva di poter abbattere le istituzioni ecclesiastiche, sembrano scomparsi, in questi decenni di post-concilio, gli ecclesiastici fieri di ricoprire una funzione curiale al servizio della chiesa mondiale: la cultura cattolica anti-curiale (ideologicamente e teologicamente trasversale) ha preceduto l’onda dell’anti-politica.

La Curia romana è, dal punto di vista teologico, un corpo estraneo e un male necessario: nata e cresciuta secoli dopo le origini cristiane, necessita oggi di una nuova legittimazione. Nell’anniversario del Vaticano II non sarebbe fuori luogo ripartire da alcune proposte avanzate dai padri conciliari”.

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Anche la Chiesa soffre della crisi di classi dirigenti, di Emma Fattorini, in “l’Unità” del 29 maggio

 “Nessuna fine del potere temporale del papato potrà mai abolire il fatto che nella Chiesa cattolica e apostolica romana l’istituzione del papato eserciti un potere e implichi un governo. Chi lo auspica non sa di cosa parla. Certo se ne può valere con più o meno autorevolezza e forza, debolezza e arbitrio, delegando molto al suo segretario di Stato o centralizzando le decisioni come fu per Pio XI verso Pacelli o per Pio XII verso quelli che volle fossero, come egli ebbe a dire, solo esecutori e non collaboratori e rimanendo così, in qualche modo segretario di Stato di se stesso. Insomma la storia dei rapporti di vertici della Chiesa novecentesca è sempre stata molto intricata, poco pacifica, ma mai penosa. E ciò che ha reso davvero la lotta di potere di una qualità e natura «diversa» è sempre stata la sua capacità a farsi «trasparente al soprannaturale» in modo che proprio ai massimi vertici dell’istituzione fosse più evidente lo sforzo di fare parlare la fede e non la convenienza, la voce di Dio e non la furbizia. E il fatto che ciò non riguardasse solo il Papa, come nel caso della fede profonda di Ratzinger, ma i vertici tutti.

Le vere discontinuità sistemiche, quelle davvero significative anche da un punto di vista storico si addensano tutte in questa tensione tra potere, governo e profezia. E invece sulla curia più che lo Spirito Santo sembra soffiare quello spirito del tempo, che oggi non è affatto buono” (…).

“Nel Novecento i conflitti sono stati fortissimi, le differenze di personalità non di meno, tra pontefici ed esponenti di primo piano della curia: pensiamo solo a personalità come Pio XI e un Pacelli o a Giovanni XXIII e un Tardini. Scontri molto duri vissuti però nella completa e radicale lealtà, mai fine a se stessi, perché i contenuti erano più importanti delle lotte di potere e delle cordate. E questo era possibile perché la qualità, la statura e lo spessore delle persone era altissimo, qualunque fossero le posizioni che esse esprimevano. Sì, e ancora una volta una questione di persone. Anche la Chiesa risente di quella crisi delle «classi dirigenti» che segna in modo così devastante tutte le elite del nostro Paese”.

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«Ci sono componenti tradizionaliste che vogliono colpire il Concilio», intervista a Gian Luca Potestà, docente di Storia del cristianesimo all’Universita cattolica di Milano, a cura di Cristoforo Boni, in “l’Unità” del 29 maggio

http://www.unita.it/mondo/il-papa-al-centro-dello-scontro-br-tra-tradizionalisti-e-modernisti-1.415553

 “Sullo sfondo resta il problema del confronto con la modernità. Tra ‘800 e ‘900 tale confronto ha assunto da parte romana la forma di un vero e proprio rigetto, culminato nella condanna del modernismo. Il Concilio Vaticano II ha segnato il superamento dello schema intransigente ed e stato letto come un’accettazione, sia pur condizionata, del mondo moderno e dei suoi valori positivi. Ma negli ultimi decenni lo scontro e riemerso. Il Papa ha cercato di disinnescare il conflitto, proponendo una linea di recezione e valorizzazione del Concilio in continuita con la tradizione della Chiesa, e nel contempo cercando di recuperare a Roma i settori intransigenti riferibili alla galassia del lefevrismo. Mi pare questa la fondamentale posta in gioco”.

“Due notizie minori, fornite quasi incidentalmente nel libro (“Sua Santità”, di Nuzzi, ndr.), mi sembrano rivelatrici di questo clima. La prima riguarda la vagheggiata celebrazione in gran pompa degli zuavi pontifici caduti a Porta Pia, che settori di curia e della nobilta romana avrebbero voluto realizzare in occasione dei festeggiamenti del 150˚ dell’unita d’Italia, prendendo spunto dalla restituzione del vessillo pontificio ammainato nel 1870. Lo scorso anno a quanto pare il Papa fu tra i primi a rilevare quanto una cerimonia del genere, vagheggiata in curia, potesse apparire stonata. La seconda attesta la sorda ostilita di settori curiali al conferimento di un premio prestigioso al professor Manlio Simonetti, in quanto una sua recente opera non sarebbe stata pienamente in linea con il Gesù di Nazareth di Benedetto XVI. Simonetti e il decano degli studi sul cristianesimo antico e la letteratura cristiana dei primi secoli, professore per molti anni alla Sapienza, maestro di una generazione di studiosi, fra cui Gian Maria Vian. Le riserve elevate nei confronti di uno specchiato studioso cattolico, quale egli e, denotano uno zelo smisurato. E l’eccesso di zelo puo giovare alle carriere dei singoli,ma certo nuoce alla vitalita delle istituzioni”.

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Il Papa debole ha deluso la vecchia guardia, di Marco Politi, in “il Fatto Quotidiano” del 29 maggio

 In un groviglio di veleni, tradimenti e scontri sotterranei si avvia al tramonto il pontificato di Benedetto XVI. Perché di questo si tratta. Per la prima volta ci si chiede davvero in Vaticano se è stato giusto eleggerlo. Mai era accaduto che in piazza San Pietro risuonasse il grido “vergogna, vergogna”, lanciato domenica dai dimostranti per Emanuela Orlandi. Mai la tiara papale era stata disegnata, in una vignetta, quale gabbia di lugubri corvi. Mai si era visto in tempi moderni un traditore annidato nel suo appartamento. Non si era mai sentito a Roma, al centro dell’impero cattolico, che uno dei più sfrenati fautori di Ratzinger lo bollasse come ‘professore tra le nuvole’ e ne chiedesse le dimissioni. Segno che Giuliano Ferrara fiuta il vento.

Il Papa impolitico, come lo definì il sociologo cattolico Franco Garelli, assiste impotente alla rivolta di una parte della Curia contro il suo Segretario di Stato ed è costretto a incassare ogni giorno un’ondata mediatica negativa, che finisce per lambire il suo ruolo di pontefice. La divisione di funzioni che Benedetto XVI sembrava vagheggiare all’inizio del suo pontificato – riservando a sé la missione di predicare e ispirare teologicamente i fedeli e lasciando al suo stretto collaboratore Bertone il compito di gestire la macchina curiale – è entrata irrimediabilmente in crisi.

Perché un’organizzazione di oltre un miliardo di aderenti come la Chiesa cattolica ha comunque bisogno di un leader dotato di polso geopolitico: e non è nel temperamento di Ratzinger. Di qui le crisi a catena. Con l’Islam, con l’Ebraismo, con il mondo della scienza a proposito dell’Aids e del preservativo, con il mondo cattolico a causa dei ripetuti cedimenti al movimento anti-conciliare di Lefebvfre. Di qui la stasi generale sul fronte dell’ecumenismo. Assieme alla conclamata sfiducia di Ratzinger nelle riforme strutturali, questa assenza di leadership sta portando alla generale inerzia della Chiesa dinanzi al fenomeno planetario della mancanza di parroci nelle parrocchie e al crollo delle vocazioni negli ordini religiosi femminili. L’accumularsi dei problemi irrisolti rende i problemi sempre più incancreniti. E la situazione è aggravata dal fatto che accanto al pontefice non funziona nessun organo collegiale, nessuna camera di compensazione di analisi, idee, proposte: fosse almeno il collegio cardinalizio.

La deriva odierna (che preoccupa gli ambienti del cattolicesimo italiano e mondiale più fedeli all’istituzione) e l’immagine di caos vaticano che si sta diffondendo sono prodotti di questa assenza di leadership. Mentre il Papa via via rinunciava al contatto diretto e sistematico con i nunzi e i vescovi (a causa della stanchezza li vede solo collettivamente), il Segretario di Stato diventava sempre più accentratore e intollerante verso posizioni diverse dalle sue. Fino al punto da esigere che i cardinali debbano passare attraverso di lui, se vogliono parlare con il pontefice. Il nocciolo dei conflitti sotterranei, deflagrati nella diffusione di documenti segreti all’esterno, si ritrova nell’intreccio tra soldi e potere e sempre lì riappare la figura del cardinale Bertone . Nello scontro con il cardinale Tettamanzi per la presidenza dell’Istituto Toniolo. Nella cacciata di mons. Viganò. Nei conflitti con il cardinale Nicora per la trasparenza dello Ior. Nello scontro sotterraneo con Gotti Tedeschi per le manovre avventurose intorno al San Raffaele”.

(…) “Non sarà la testa di Paolo Gabriele a risollevare le sorti del pontificato. Anzi, i futuri processi sono destinati a disseminare altre rivelazioni esplosive. E ancor più devastanti sarebbero “interrogatori” di prelati e cardinali. Gotti Tedeschi sta già meditando di chiedere una commissione d’inchiesta sul suo operato per sbugiardare il rozzo comunicato sul suo licenziamento. Un’indagine sulla corruzione negli appalti la potrebbero esigere anche i fautori di mons. Viganò. (…)”

“A ogni passo si aprirà un abisso. Chi osserva le mosse di questa dura lotta per rovesciare il Segretario di Stato, nota che Bertone non fronteggia un’unica fazione. Molti gruppi in Curia sono scontenti della sua gestione. Cardinali come Sodano e Re non condividono l’improvvisazione del suo governo. Personalità come Piacenza credono ci voglia più efficienza. Molti cardinali stranieri guardano esterrefatti alla perdita dello stile di potere soft, che ha sempre caratterizzato la Santa Sede. E tutti – bertoniani e oppositori, i critici e il partito dei neutrali scontenti – proclamano la loro fedeltà al pontefice e il desiderio di salvaguardare la Chiesa. Ecco perché senza una visione di governo la gogna di possibili ‘colpevoli’ non farà che aumentare la disgregazione. Benedetto XVI ha già detto che non si dimetterà mai per paura. Ma le tensioni possono logorarlo ulteriormente”.

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I corvi e i gendarmi, di Aldo Maria Valli, in “Europa” del 29 maggio

http://www.europaquotidiano.it/dettaglio/134992/i_corvi_e_i_gendarmi

 “Chi frequenta i palazzi vaticani sa che là dentro ci sono tante persone stanche del misto di affarismo, carrierismo e ipocrisia dominante in quel mondo a causa di gruppi di potere. Sono persone che non accettano più questo andazzo, e se fino a ieri esprimevano delusione in colloqui privati, ora alcune di loro hanno deciso di agire, consegnando alla stampa le prove di ciò che sostengono: documenti attraverso i quali si può vedere che la curia romana, proprio ai suoi vertici, si occupa di questioni di potere, piccolo o grande che sia, quasi ventiquattro ore su ventiquattro. Non solo. Chi si occupa di questi problemi molto spesso, all’esterno, si presenta come moralizzatore e fustigatore di costumi altrui. Una situazione che provoca grande disagio in coloro che ancora hanno un briciolo di onestà intellettuale e di amore per la Chiesa. L’idea di far uscire le carte si presenta come un’extrema ratio (…)”.

“Gli obiettivi dei corvi sono di ordine morale e organizzativo, e le due questioni sono strettamente collegate. Il Vaticano si è sporcato le mani, e con le mani anche la coscienza, perché fa troppa politica nel senso più ampio e meno nobile del termine: si dedica a questioni che nulla hanno a che vedere con l’annuncio del Vangelo. Come si può ben vedere dalla carte pubblicate nel libro del giornalista Nuzzi, i vertici della curia romana trascorrono gran parte del loro tempo immersi in problemi del tutto estranei al mandato che Gesù ha affidato a Pietro e ai suoi. Si parla di tutto, soprattutto di soldi, meno che del Vangelo”. (…)

“La linea dei corvi, o per lo meno dei più lungimiranti fra loro, è chiara: Santa sede e Città del Vaticano hanno bisogno di una radicale cura dimagrante all’insegna della sobrietà e dell’essenzialità. Meno uffici e meno strutture vuol dire meno tentazioni e meno occasioni di compromissione con gli affari economici e il potere politico. Il papa è un sovrano assoluto e può tutto. Potrebbe denunciare tutto ciò che vede e sa, ma è anche un pastore e ha il dovere di tenere unito il gregge. Il suo timore è che lo scandalo sarebbe troppo grande e che il gregge potrebbe subirne conseguenze devastanti. I corvi pensano invece che non ci sia più spazio per attese e compromessi: occorre una radicale operazione di pulizia e di trasparenza, e si deve incominciare dalla segreteria di Stato, ganglio vitale di tutta la macchina. Le domande sono di portata radicale. Perché il papa deve essere capo di stato? Perché il Vaticano deve avere una banca? Perché il successore del pescatore Pietro deve essere al centro di un sistema di potere?”

“In Vaticano sono ore drammatiche. Mentre il povero Paoletto è in carcere, pesce piccolo catturato senza troppe difficoltà, diversi schieramenti si affrontano e si osservano. Perché anche tra i corvi non tutti sono puri di cuore e c’è chi vuole utilizzare la situazione per altre trame di potere.

Finora la Santa sede sta reagendo nel modo più sbagliato. Con i gendarmi e il silenzio. Lo si è visto domenica in piazza San Pietro. Quando è arrivata la marcia per Emanuela Orlandi, persone insospettabili si aggiravano per osservare e fotografare. Come se i partecipanti alla manifestazione fossero malfattori da schedare. E il papa, che avrebbe potuto dire una parola come padre su una sua giovane cittadina scomparsa nel nulla e una famiglia distrutta dal dolore, è rimasto zitto nel giorno dedicato allo Spirito santo. Quando dalla folla si è levato qualche fischio e qualcuno ha gridato ‘vergogna’ abbiamo misurato l’intensità del dramma in corso”. (…)

“La curia è folle se pensa di poter continuare a reagire utilizzando da un lato i gendarmi e dall’altro il segreto. Non è bastata la lezione della pedofilia? Non si è visto che il discredito aumenta a dismisura se non si è primi a denunciare e a sollevare il velo dell’ipocrisia?”.

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