Sogni sindacali di mezzo inverno.

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di Sandro Antoniazzi

Di questi tempi le Confederazioni sindacali non brillano certo per la loro iniziativa.

Manca loro quella che è la condizione necessaria per qualunque iniziativa che abbia credibilità prima e di conseguenza possibilità di successo: un minimo di unità sindacale.

Non parlo certo di unità organica, di un’unità organizzata come esisteva un tempo, ma della forma più semplice e più elementare, quella dell’unità d’azione.

L’unità d’azione è una risorsa primaria del sindacato anche nei momenti più difficili.

Ogni organizzazione mantiene le proprie posizioni, magari avverse o comunque distanti, ma ci si può ritrovare su un problema, su una questione, su una rivendicazione.

Su questa si costruisce una piattaforma solida e ben motivata e si stringe un patto di ferro di fiducia reciproca.

E’ possibile anche in questo momento? Certamente, e non solo è necessario, ma direi che è un dovere per il sindacato.

La mancanza di battaglie sindacali valide pesa negativamente nel paese: una battaglia sindacale giusta eleva gli animi di tutti i lavoratori, anche di quelli non direttamente interessati, perché ricrea fiducia.

E poi le battaglie sindacali giuste danno forza all’area sociale così tanto calpestata negli ultimi tempi.

Il mio sogno non finisce qui e prosegue pensando ai molti problemi che potrebbero e dovrebbero essere affrontati.

Innanzitutto, la questione salariale, tema sindacale primario.

C’è stato un tentativo parlamentare generoso di sostenere una proposta di salario minimo; ma senza un’intesa col sindacato e venendo dall’opposizione non ha avuto successo.

Un’iniziativa sindacale avrebbe certamente maggiori possibilità.

Dovrebbe affrontare contemporaneamente due problemi: 1. I salari delle categorie con redditi troppo bassi per portarli a un livello dignitoso (magari accorpandole con categorie maggiori); 2. L’introduzione di un meccanismo di difesa dall’inflazione. Si potrebbe proporre che i contratti durino 3 o 4 anni per la parte normativa, ma a metà percorso si attua un adeguamento salariale per tenere conto dell’inflazione. (un meccanismo del genere esiste già in altri paesi).

Un’altra grande battaglia attuale è quella della partecipazione. Non parlo qui della proposta di legge Cisl che seguirà il suo corso, ma della necessità immediata di essere in grado di affrontare i temi delle grandi trasformazioni in corso, tecnologiche, ambientali, energetiche.

Prendiamo Stellantis. Si tratta di difendere l’occupazione, cioè di prendere il problema per la cosa, o non piuttosto di essere in grado di discutere la sua strategia globale.  Perché la Francia va meglio dell’Italia? La catena produttiva in Italia funziona come dovrebbe?  Perché in Francia si è costruita una nuova fabbrica di batterie, coi soldi dello Stato e della Comunità Europea e in Italia no? I modelli attuali sono ancora validi?

Questo vuol dire partecipazione: saperne quanto il padrone per discutere alla pari le scelte industriali da fare.

Su questo il sindacato deve prepararsi e attrezzarsi, preparando quadri nuovi che se ne intendano di tecnologie, bilanci e politiche aziendali e formando un ufficio apposito di sostegno dei delegati impegnati nelle trasformazioni aziendali.

E poi un terzo problema, connesso al precedente: la classe operaia italiana nel suo insieme non ha una preparazione professionale elevata e le nuove tecnologie rischiano di trovarla impreparata.

Esistono Enti Bilaterali, diritti contrattuali, si stanno realizzando gli ITS, ottime iniziative che si muovono nella direzione giusta; mi chiedo se non si possa fare di più e lanciare una grande campagna formativa generalizzata (tecnologica e ambientalista) che elevi il livello generale della formazione dei lavoratori.

Fa male sentire che tante fabbriche cercano lavoratori, ma non trovano il personale preparato.

Una campagna del genere sarebbe di grande utilità per il paese e per l’industria e valorizzerebbe le capacità della classe lavoratrice.

Ho espresso dei sogni, ma sogni realistici, concretamente possibili.

Penso però che sia inutile sognare se prima le segreterie confederali non decidono di realizzare il minimo di unità necessario.

One Comment

  1. Scrive Sandro: “Non parlo certo di unità organica, di un’unità organizzata come esisteva un tempo, ma della forma più semplice e più elementare, quella dell’unità d’azione. L’unità d’azione è una risorsa primaria del sindacato anche nei momenti più difficili”.
    Non si può non convenire con queste affermazioni di Sandro che, anche, dicono: rimanendo l’unità sindacale organica l’orizzonte, ma forse più l’utopia, a cui tendere, l’unità d’azione è la condizione fondamentale e strategica per il movimento sindacale in questa lunga fase storica, iniziata nel 1983 con la fine della Federazione CGIL, CISL e UIL e nella quale le differenze e le distanze si sono evidenziate e ampliate.
    Ovviamente le responsabilità non stanno in una parte sola ma sono equamente distribuite tra le tre Organizzazioni Sindacali e sono condizionate, quale aspetto affatto marginale, dall’evoluzione del quadro politico.
    Il vuoto che si è creato con il venir meno della tensione ideale verso l’unità sindacale organica, è stato riempito dalla sempre maggiore ricerca ed evidenziazione dei caratteri identitari delle singole organizzazioni, con la conseguente e inevitabile competizione tra le stesse che è l’esatto contrario della valorizzazione di quanto unisce, cioè la difesa e la tutela degli interessi e delle esigenze del mondo del lavoro dipendente e dei pensionati.
    Quanto sopra trova conferma nella assurda modalità che le Confederazioni sindacali praticano da alcuni anni, di presentarsi al confronto con il Governo senza una proposta condivisa nei contenuti delle rivendicazioni, ma con proposte delle singole organizzazioni, e come accaduto lo scorso dicembre partecipando solo come CISL al confronto con il Governo, con l’inevitabile conseguenza dell’ininfluenza nel percorso decisionale e della marginalità dei risultati, e ciò a dimostrazione che CGIL, CISL e UIL, procedendo divise non ottengono alcun risultato significativo.
    Non intendo affermare che il sostanziale blocco della dinamica salariale, che ha connotato gli ultimi trent’anni, sia la risultante delle divisioni sindacali, il che in parte può essere, ma le divisioni interne al movimento sindacale sicuramente spiegano l’assenza di risultati nel confronto sulle leggi di Bilancio degli ultimi anni.
    All’interno del movimento sindacale forse solo Sbarra, che nella relazione all’Assemblea organizzativa della CISL ha ufficialmente rinunciato all’unità sindacale, non condivide le affermazioni che “le diversità sono risorse” e che “l’unità ha senso e forza se è fatta tra i diversi”. Ma perché l’unità sindacale, anche solo nella sua declinazione di “unità d’azione” sia possibile, occorre che le tre confederazioni CGIL, CISL e UIL facciano molto di più di quanto non fanno per ricercare ed esaltare ciò che le unisce, e molto, ma molto meno di quanto fanno per esaltare ciò che le divide.
    Questo è ciò che richiede la ragion d’essere del movimento sindacale, e questo è anche ciò che consente di superare la divaricazione che esiste all’interno delle grandi organizzazioni sociali tra i rappresentati e i rappresentanti, divaricazione ben messa in evidenza dall’articolo di Savino Pezzotta sul movimento dei contadini “L’INSORGENZA DEI CONTADINI INTERROGA TUTTI”, che interessa anche le Confederazioni CGL, CISL e Uil ed è un reale e vitale problema del sistema democratico rappresentativo.

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