Sindacati, partiti e il problema del salario minimo

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di Sandro Antoniazzi

I partiti che sono all’opposizione hanno trovato un accordo su un’ipotesi di proposta relativa al salario minimo.

Questo avvenimento riveste un duplice carattere positivo: un primo di metodo, perché si è scelta la strada giusta per trovare intese, quella del convergere su problemi specifici piuttosto che pensare ad alleanze generali di schieramento; un secondo di sostanza e riguarda la meritevole attenzione ai problemi del lavoro, particolarmente a favore di lavoratori svantaggiati.

Ma il tema del salario non è certamente materia solo dei partiti; è innanzitutto e ancor prima questione sindacale.

Per questo, un lasciapassare, un via libera, un atteggiamento di non opposizione da parte sindacale è quanto mai opportuno.

Non un’intesa che sarebbe sbagliata da ogni punto di vista, perché significherebbe vincolarsi a una parte politica, ciò che è sempre da evitare per principio e che, nella situazione presente, significherebbe anche precludersi ogni possibilità di successo, trattandosi della parte politica di minoranza.

L’ostacolo che si presenta da parte sindacale è il rischio che l’affermazione per legge del salario minimo porti a un indebolimento del sistema contrattuale, con possibili effetti negativi superiori a quelli positivi sperati.

E’ soprattutto la Cisl a sostenere la preminenza del contratto rispetto alla legge in materia di lavoro, fedele a una concezione che ha caratterizzato la sua storia e che si è guadagnata indubbi meriti.

Ma è proprio impossibile trovare una forma di conciliazione tra salario minimo e sistema contrattuale e da una soluzione di questa natura non potrebbe derivarne un rafforzamento del contratto?

Che la legge e il contratto non siano tra loro incompatibili lo dimostrano passate esperienze – prima fra tutte quella dello Statuto dei lavoratori – e una nota dottrina giuslavorista italiana, quella della legislazione di sostegno, cui spesso il sindacato ha fatto ricorso.

Del resto, proprio in questi giorni, la Cisl sta raccogliendo le firme per una proposta di legge sulla partecipazione dei lavoratori nelle aziende, proposta lodevole che dovrà prima o poi arrivare in Parlamento e trovare l’accordo dei partiti per diventare legge.

Ora, leggi di questa natura, se vogliono essere veramente rappresentative, hanno bisogno di un ampio consenso, dunque, anche dei partiti che ora propongono il salario minimo.

Esiste poi un motivo ancor più importante perché partiti e sindacati si incontrino – senza bisogno di fare accordi, che non avrebbero senso e si presentano improponibili – e possano confrontarsi su problemi di orientamento di fondo, sui quali invece è possibile ed è bene concordare.

Proprio per valorizzare la contrattazione, i sindacali hanno un’assoluta necessità di una legge sulla rappresentanza; essa è la base perché poi possano essere riconosciuti i contratti dei sindacati maggiormente rappresentativi, cancellando così di fatto i molti contratti fasulli oggi esistenti.

Perché non collegare i due problemi? Sarebbe la migliore conferma che non si vuole indebolire la contrattazione, ma al contrario valorizzarla.

E’ vero poi che non esiste un obbligo “europeo” per l’Italia di realizzare una legge sul salario minimo; perché ufficialmente i contratti coprono la quasi totalità dei lavoratori.

La competenza dell’Europa in materia sociale è molto debole e pertanto si attiene a indicazioni generali di garanzie minimali; anche in Italia, nonostante un’estesa contrattazione, le condizioni di molti lavoratori non sono soddisfacenti ed è bene pertanto guardare alla realtà piuttosto che alle questioni formali.

Un discorso andrebbe rivolto anche al governo; avendo la maggioranza assoluta, sembra intenzionato a governare per cinque anni in totale autonomia, senza l’aiuto di nessuno, per autorità e capacità propria. E’ un errore.

Più le posizioni sono condivise meglio è per il paese; maggiore è il consenso su una legge, maggiore è l’adesione che riscuote e migliori sono dunque i suoi effetti.

Questo governo ha già dato prova che vuole mettere il suo marchio su ogni provvedimento ed è lontano dal pensare che un’idea, magari giusta, che venga dall’opposizione possa essere accolta.

Qualora i sindacati esprimessero una propria posizione verso il salario minimo e la rappresentanza, forse anche il governo potrebbe, con le dovute modifiche, correzioni, cambiamenti di nome e di forme, trovare un modo per affrontare il problema che merita di essere affrontato.

E il tema del lavoro, tanto delicato quanto essenziale, è uno di quei temi che più necessita di ampi consensi, perché è problema di molti, se non di tutti.

One Comment

  1. Ezio Tarantelli, negli anni ’80, proponeva l’istituzione “anche nel nostro paese di un salario legale minimo al di sotto del quale la retribuzione non potesse scendere anche per la forza lavoro non sindacalizzata (inclusa l’economia sommersa). In un modello in cui perdono peso gli automatismi della contingenza è anche necessario prevedere una parallela introduzione del salario minimo (che già costituisce una caratteristica del sistema di relazioni industriali negli altri maggiori paesi industrializzati). La rivalutazione monetaria del salario minimo dovrebbe essere indicizzata per intero non già dal tasso di aumento dei prezzi ma al tasso di variazione del salario contrattuale medio”.

    Tra i parlamentari del Pd ci sono due donne ex segretarie generali, Susanna Camusso della Cgil e Annamaria Furlan della Cisl: spero diano un contributo visibile per completare la proposta sul salario minimo collegato alla contrattazione collettiva.

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