Se Roma divorzia dal Concilio

di Enzo Bianchi, in “La stampa” dell’11 febbraio 2012

Compito non facile quello dello storico della chiesa che cerca di leggere e interpretare una stagione ecclesiale alla luce di fatti e documenti senza potersi appellare a una comprensione spirituale della «storia di salvezza», senza cioè poter inquadrare ogni evento in un superiore disegno di Dio che tutto recupera e redime. Compito ancor più difficile se il periodo studiato è quello contemporaneo, con molti protagonisti ancora attivi: una stagione figlia di quel concilio Vaticano II inaugurato cinquant’anni fa. Compito arduo ma prezioso perché nel leggere le vicende quotidiane, anche ecclesiali, abbiamo bisogno di uscire dalla cronaca giornalistica e dall’ immediatezza emotiva, per trovare occasioni di orientamento e di comprensione approfondita.

Giovanni Miccoli – professore emerito di Storia della chiesa in diverse università italiane – non si è mai sottratto a questo compito proprio dello storico e ha recentemente aggiunto un nuovo prezioso e documentato saggio alla sua produzione. “La Chiesa dell’anticoncilio” (Laterza, pp. 420, 24,00) si propone di analizzare le opzioni attuali della chiesa cattolica nel suo porsi nella storia attraverso la lente di un significativo snodo dottrinale e pastorale: i rapporti tra la Fraternità San Pio X (fondata dal vescovo Lefebvre) e la Santa Sede. Snodo apparentemente minore, almeno dal punto di vista del numero delle persone coinvolte rispetto al miliardo abbondante di fedeli cattolici, ma in realtà capace di evidenziare tendenze ben più ampie. Il quadro che emerge dall’analisi illustra «i tradizionalisti alla riconquista di Roma», (questo il sottotitolo), e mostra come paradossalmente l’interpretazione del concilio come evento di «rottura» (la lettura che da sempre ne hanno dato i lefevbriani rispetto alla «Tradizione» come da loro concepita) sia finita per diventare un’accusa rivolta ad alcuni ambienti post-conciliari «progressisti». Del resto, proprio chi più si appella alla suprema autorità del papato, contrapponendola alle presunte derive di teologi o persino di vescovi e conferenze episcopali, non lesina accuse di tradimento a concreti papi della storia recente e perfino all’assise conciliare che invece resta, «cum Petro et sub Petro», per la «chiesa di sempre» (altra espressione di cui si sono impossessati i tradizionalisti) il magistero supremo. La conclusione, volutamente definita da Miccoli «provvisoria», è che «gran parte di quelle «”trasformazioni” [conciliari], nei loro elementi di fondo, Roma, se mai forse un tempo le aveva in qualche modo più o meno malamente accettate, ora certamente non le accetta più».

Giudizio severo, così come amare e a tratti anche sconsolanti sono le riflessioni, ma l’analisi si rivela sempre lucida e, soprattutto, basata su dati oggettivi e facilmente riscontrabili: dichiarazioni ufficiali, testi scritti, testimonianze affidabili. Per il credente, l’interrogativo che rimane è profondamente coinvolgente, perché il problema non è di sapere se il concilio è stato tradito, ma se la comunità dei discepoli di Cristo tradisce il messaggio evangelico, se riesce giorno dopo giorno a vivere la fedeltà al suo Signore e a calare il disegno di salvezza universale nel concreto della storia.

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