Rischi e opportunità per il PD in vista delle primarie

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Che si voglia o no il sistema politico italiano tornare a essere bipolare. Il sistema tripolare altro non è che uno stato instabile di un sistema politico destinato ad evolvere verso un sistema bipolare. Se bipolare in termini di coalizioni o bipolare in termini di partiti questo dipende dal sistema elettorale, ma sicuramente uno schema tripolare non può esistere a lungo. Poiché a oggi un polo, quello che fa capo a Salvini, appare più in salute, almeno dal punto di vista dei sondaggi, il secondo polo non potrà nascere che dalla liquefazione di uno dei due gruppi antagonisti. Lo scenario futuro potrà quindi esser quello di un confronto fra Lega e M5S o fra Lega e PD. In questo scenario c’è sicuramente un rischio per il PD, ma anche, all’inizio della campagna per le primarie, praterie di opportunità. Perché malgrado il successo alle elezioni del 4 marzo il M5S è oggi il polo più in crisi. In primo luogo perché la coabitazione con la Lega e la manifesta incapacità di gran parte della loro classe dirigente ha fortemente eroso il consenso. Nello stesso tempo, mancando un’ideologia forte e un radicamento territoriale presenta un voto più liquido e più volatile.

Il PD, al netto del masochismo “tafazziano” che è la causa prima dei suoi insuccessi, ha uno zoccolo duro elettorale che si può stimare intorno al 20% che è una buona base per tentare di vincere le prossime elezioni nazionali. C’è un bacino di voti contendibile che è costituito dall’astensione, dai moltissimi delusi dei 5S e dall’elettorato di centro destra che non si riconosce nella Lega. Questo bacino vale tra il 30 e il 50% dei votanti e conquistarne solo la metà potrebbe anche far vincere le elezioni.

In questo scenario il PD deve diversificare la strategia rispetto ai due poli rimanenti nel senso che deve essere l’antagonista della Lega e il competitor dei 5S.

Ciò significa che deve fare una politica fortemente di contrasto e di contrapposizione, anche culturale, alle proposte della Lega e deve nello stesso tempo superare in efficienza ed efficacia, le proposte dei 5S.

Una strategia a geometria variabile che diventi un programma di governo che enfatizzi l’integrazione e la solidarietà sul versante dell’immigrazione, contrapponendo l’accoglienza intelligente ai muri, che rilanci la lotta alle diseguaglianze con un fisco più leggero per i più poveri, ossia rendere più progressivo il nostro sistema fiscale, l’esatto contrario della flat tax, che lanci un grande piano contro la povertà e un grande piano per l’occupazione, non il reddito di cittadinanza, misura confusa e irrealizzabile che confonde lotta alla povertà e contrasto alla disoccupazione, ma un insieme coerente strumenti che parte da un piano contro la povertà potenziando il welfare locale e fornendo servizi in natura e la lotta alla disoccupazione che passa da un potenziamento del Rei e dall’abbattimento del cuneo fiscale che è lo strumento che facilita la creazione di posti di lavoro.

Una strategia che riparta dai bisogni dei territori, pensando infrastrutture che servono i bisogni concreti, senza disdegnare le grandi opere, quando realmente servono. Questo significa dire sì alla TAV, dire si alla Gronda, dire no al Ponte sullo Stretto, dire no al Mose, dire no alle Trivelle, dire no al Carbone, dire no alle produzioni che mettono a rischio la salute dei cittadini.

Questa offerta politica attrarrà una parte del voto deluso dei 5S e una parte dei moderati di destra che costituiscono il bacino di contendibilità del PD e la proposta del PD potrà confrontarsi con quella della Lega che a quel punto apparirà non più di centro destra, ma fortemente di destra.

Senza una strategia chiara in questo senso il rischio è che il Pd sia condannato all’irrilevanza con la competizione fra chi governerà il paese che si giocherà fra Lega e 5S. E questo è uno scenario per nulla tranquillizzante!

Domenico Marino

Professore di Politica Economica – Un. Mediterranea di Reggio Calabria

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