PROSPETTIVA PERSONA: la cultura “personalista” in Péguy e Von Balthasar –IL SEGNO: “Non possiamo respingerli!” – IL TETTO: entusiasmo ed energie morali suscitate da papa Francesco – NOTIZIARIO DELL’ISTITUTO PAOLO VI: il papa bresciano dei “segni dei tempi” – OREUNDICI: il ricordo di mons. Angelelli ADISTA-SEGNI NUOVI: la vicenda della Chiesa postconciliare

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Prospettiva Persona è un periodico trimestrale che si propone di tener viva l’attenzione sulla cultura “personalista” collegando studiosi e gruppi diffusi un po’ in tutto il mondo. Diretta da Attilio Danese e Giulia Paola Di Nicola, la rivista è promossa dal Centro ricerche personaliste di Teramo ed esprime la riflessione e il dialogo non solo tra studiosi, ma anche tra persone impegnate in vari campi culturali, educativi e civili. Tra i sostenitori della rivista e della “rete” si trovano nomi di religiosi, docenti universitari, persone impegnate in politica, educatori. Primo presidente onorario del movimento è stato Paul Ricoeur. Oggi tra i nomi del comitato scientifico ci sono Giorgio Campanini, Roberto Cipriani, Giovanni Invitto, Stefano Zamagni, Roberto Papini, Stefano Zamagni, Massimo Borghesi, Piero Viotto e molti altri. Il fascicolo più recente (in realtà un ampio volume) è del marzo 2015 ed è prevalentemente dedicato a Charles Péguy con numerosi articoli e belle illustrazioni. Si parla anche di Von Balthasar.

Il mensile Il Segno della diocesi di Milano esprime sul numero di giugno, fin dalla copertina, la convinzione e l’atteggiamento cristiano di fronte ai profughi: “Non possiamo respingerli”. Oltre a numerosi articoli di carattere religioso ed educativo, la rivista ospita anche un incisivo profilo di Dietrich Bonhoeffer ad opera di Marco Vergottini e una bella riflessione di Rita Salerno su “la Chiesa che vuole il Papa”, e … molti altri articoli interessanti e di attualità (anche sull’Expo!).

L’entusiasmo e le energie morali nuove (o rinnovate) che papa Francesco sta suscitando in tutta la Chiesa sono testimoniati da tutto il mondo dei periodici d’ispirazione cristiana e specialmente da quelli che da tempo sono più sensibili ai temi del rinnovamento religioso alla luce del Concilio e del Vangelo. Su Il Tetto, ad esempio, il direttore (fondatore e anima…) Pasquale Colella esprime nell’editoriale di giugno la sua gioia e le sue speranze (il coraggio apostolico, la rivalutazione del Sinodo dei Vescovi, i viaggi nel terzo e quarto mondo (e anche quello di marzo a Napoli, iniziato a Scampia!).

Il Notiziario dell’Istituto Paolo VI di Brescia ha tra i molti pregi quello di non limitarsi a ricordare e studiare il passato, ma anche di aprirsi all’attualità. È un segno di fedeltà al Papa bresciano (che ai “segni dei tempi” era stato sempre molto attento), ma è anche l’occasione di affrontare i nuovi, molti problemi che si delineano all’orizzonte di scoprire quanto siano state profetiche certe intuizioni di papa Montini. Giorgio Campanini, sul Notiziario n 69, ricorda inoltre che proprio settant’anni fa, nel 1945, in coincidenza con la fine della seconda guerra mondiale, appariva “un ambizioso progetto di ricostruzione ideale e politica di un Paese uscito semidistrutto (materialmente, ma anche spiritualmente) di intellettuali cattolici, redatto da un piccolo ma qualificato gruppo. Era il “Codice di Camaldoli”; in realtà si presentava così: “Per la comunità cristiana. Principi dell’ordinamento sociale, a cura di un gruppo di studiosi amici di Camaldoli, ed Studium, Roma, 1945.

Avviata, finalmente, la causa di beatificazione di mons. Enrique Angelelli, il vescovo argentino che fu ucciso il 4 agosto 1976. Ma per molti anni la sua morte fu attribuita ad un “incidente stradale”. Lo scorso 21 aprile il Vaticano (dopo tanti anni) ha dato il nulla osta riconoscendo che quella morte non fu un incidente stradale, ma fu “vittima di omicidio premeditato ed eseguito nella cornice del terrorismo di Stato”. Oggi Oreundici (di giugno) pubblica una parte del ricordo di Angelelli scritto da Arturo Paoli, che aveva condiviso l’amicizia e l’impegno con il vescovo martire.

La Gaudium et Spes fu la Costituzione conciliare che incontrò maggiori difficoltà e dissensi sia nella fase di elaborazione e approvazione, sia poi nella stagione dell’applicazione nella realtà pastorale. Certo fu un testo profondamente innovativo e autocritico circa lo stile e i mezzi con i quali la Chiesa per lungo tempo affrontò le questioni sociali e la vita della “città dell’uomo”. Felice Scalia, gesuita di grande vivacità culturale riflette oggi sulla grande forza di quel testo in un intervento pronunciato durante il convegno nazionale “Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri”, svoltosi il 9 maggio 2015, e pubblicato ora sul n 21 (del 6 giugno) di Adista – Segni nuovi. Ne consigliamo a tutti la lettura per la profondità con la quale l’autore esamina la vicenda complessiva della Chiesa postconciliare e indica gli obbiettivi e lo stile di un rinnovato impegno evangelico nella scia del Concilio, reso oggi più possibile dalla presenza di papa Francesco (mirabilmente interpretato da Raniero La Valle nel suo libro “Chi sono io, Francesco?).

(a.  bert.)

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