Pisapia e i matrimoni gay

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L’autore, amico di vecchia data, ci invia la sua riflessione

 

Quel che è successo a Milano (e che si sta riproponendo in altre città) merita almeno due righe di commento.

Pisapia ha trascritto personalmente sui registri dello stato civile i matrimoni gay celebrati all’estero. Tutto il  centrosinistra ha fatto la ola, io invece sono rimasto fermo come un palo della luce. Aborro il paciugo e chiedo il rispetto delle differenze.

Un conto è l’unione omosessuale,  che va riconosciuta ai sensi dell’art. 2 della Costituzione. Un altro è l’alleanza tra l’uomo e donna, chiamata matrimonio (da “mater”, colei che genera), che viene tutelata dall’art. 29 della Costituzione. Un conto è il consiglio comunale, che può mandare segnalazioni alle Camere. Un conto è il Parlamento della Repubblica, cui spetta il compito di legiferare (e sarebbe ora che lo facesse, risale al lontano 2007 la discussione sui Di.co. rimasta a mezz’aria). Un conto è il registro comunale delle unioni civili, utile per eventuali interventi in campo sociale. Un altro sono le trascrizioni, che confliggono con le leggi in vigore.  Un conto è il leader politico che decide di promuovere una campagna di mobilitazione sull’argomento. Un altro è il sindaco che come ufficiale dello stato civile deve obbedire al Ministero dell’Interno.

 

Perché questo mondo procede così storto? Perché è così difficile trovare, anche ai piani alti, interlocutori in grado di distinguere tra orefice, carnefice, pontefice?

In passato pensavo che fosse questione di testa. Ma ora che “si va facendo la frattura fonda ” (Ungaretti)  mi pare che sia innanzitutto un problema di psiche. La figura più diffusa della nostra epoca, la matrice vincente dalla quale vengono tirati migliaia di esemplari è il puer aeternus  (vedi il bel libretto dello studioso americano James Hillman,  edizioni Adelphi). Al puer manca il recipiente interiore per contenere le esperienze; manca la pausa di riflessione che trattiene gli eventi e li fa acquisire come fatti psichici da sottoporre poi a interpretazione e giudizio. Il puer è tutto il giorno in un moto continuo e inconcludente che non gli permette più di concentrarsi, di  leggere, di studiare. Quando poi si mette in politica soggiace ai diktat dei mass media che lo vogliono ancora più infantile. Il puer aeternus, essendo privo di interiorità, cerca il massimo di visibilità. E’ ossessionato dal gesto politicamente corretto, che quasi sempre è logicamente sconnesso. Quindi in questo caso, a chi come me gli contesta di aver confuso le mele con le pere, risponderà con i soliti slogan sull’uguaglianza e sull’omofobia.

 

No, non ci sto. Ho cercato di diventare vir, di riconoscere quel che Nietzsche chiamava  la “grande ragione del corpo“ e anche “lo spirito all’opera sotto le nostre cinture”. Ritengo per esperienza diretta che non ci sia niente di più sbalorditivo dell’unione di due etero che fa nascere un altro ancora più etero, la piccola peste che sgambetta nel passeggino. Mi sento nel contempo un ottimo omofilo  e ogni volta che incontro i miei amici gay gusto la loro gaiezza. Penso, questo sì,  che veramente omofobo sia piuttosto lo pseudo “matrimonio gay”. Mi pare un tentativo per normalizzare gli omosessuali, sterilizzando la loro creatività umana, politica, artistica, letteraria dentro i ranghi di un istituto pensato per altri scopi. Lasciamo invece che si manifestino a tutto campo, anche a livello giuridico, per quel che sono: i saggi dell’inversione.

 

Saluti dolci come un vassoio di madeleines

 

Giovanni Ambrogio Colombo

(Milano)

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