Perché penso che la partecipazione sia la vera risposta alla crisi

| 3 Comments

di Vittorio Sammarco

L’appuntamento elettorale in Basilicata ha ulteriormente preoccupato per il sempre più evidente tasso di disaffezione alla politica dei cittadini del nostro Paese. Siamo a più del cinquanta per cento di non votanti, e se anche volessimo considerare queste elezioni non indicative per il piano nazionale, se mettiamo insieme questo dato con altri che lo hanno preceduto, appare legittimo e non eccessivo il grido di allarme di chi dice che forse è in crisi non solo la politica (e i partiti che la costruiscono) ma la stessa idea di democrazia.

Se ne desume che presso l’opinione pubblica italiana, visti come sono andati gli anni del ventennio berlusconiano, viste le delusioni rispetto alle speranze create da Mani pulite con quel che ne consegue, viste le altre delusioni più politiche determinate da accese speranze di rinnovamento (vedi formazione di nuovi partiti e coalizioni) poi tradite dopo i primi passi, vista soprattutto la crisi economica sociale e morale in cui viviamo, la conclusione è che ai cittadini, di come funzionino i processi democratici che portano alle decisioni che riguardano la vita concreta di ciascuno di noi, non importa più nulla. Nello sconforto si arriva a dire al mondo politico: fate come volete, purché ci risolvete i problemi.

E’ vero, in gran parte, e il dato è ancora più vero per i giovani, e soprattutto in Europa. Al World Forum for Democracy, il 23 novembre a Strasburgo con il patrocinio del Consiglio d’Europa, sono stati presentati dati allarmanti. A cominciare dall’affluenza alle urne: nelle 49 democrazie avanzate del mondo gli elettori sono calati mediamente del 10% negli ultimi trent’anni (come in Italia) con punte del 35% negli Stati Uniti e del 30% in Grecia. I cittadini delle democrazie occidentali che nel 1990 nutrivano grossa fiducia nella politica erano il 49%, oggi il 27%.

Vogliamo parlare dei giovani? Secondo un recente studio dell’Osservatorio sulla comunicazione politica dell’Università di Torino, le primarie attraggono, sì, i giovani; ma il dato che emerge è significativo: un certo entusiasmo va ad incidere soprattutto su quanti vi si avvicinano per la prima volta. Però il voto giovanile alle primarie è in discesa. “Lo studio prende in esame le tre esperienze sin qui vissute: le primarie del 2007 vinte da Veltroni, quelle del 2009 vinte da Bersani e quelle del 2012 che confermano la candidatura a premier dello stesso Bersani. I giovani tra i 18 e i 34 anni (tra i 16 e i 34 nel 2007 e nel 2009) hanno costituito rispettivamente il 30% dei selettori – è il nome tecnico di chi partecipa alle primarie – nel 2007, il 24% nel 2009 e il 22% nel 2012. Per quanto consistente, la partecipazione giovanile è percentualmente in calo” (vedi l’articolo pubblicato sul sito di Repubblica)

Conclusione apparentemente logica: non meniamo più il can per l’aia, i cittadini oggi vogliono risposte, soluzioni ai problemi, lavoro, ambiente, salute, opportunità di crescita personale e collettiva, innovazione, ricerca, formazione, mobilità. Sono problematiche che chiedono risorse, competenze, idee e progetti. Non quelle dinamiche assemblearistiche e finto democratiche che lasciano il tempo che trovano e senza svolte…!

Quindi si affaccia l’idea che la leadership, forte, autorevole e competente, se è poi in grado di ottenere un vasto consenso, è l’unica risposta alla crisi.

Niente di più sbagliato, a mio modesto avviso. E’ la stessa struttura della crisi che viviamo, che è di sistema e non contingente, che impone una strategia diversa. Allargare la partecipazione (oltre le frontiere dei partiti, con strutture organizzate – corpi intermedi – ma anche i singoli cittadini) è necessario per attivare quei circuiti di connessione democratica che servono sostanzialmente a tre obiettivi: a) condivisione dei saperi e delle competenze (che non sono solo in capo ai tecnici); b) mediazione a monte di ipotetici conflitti (quindi con diminuzione dei tassi di tensione e di criticità che ogni soluzione concreta inevitabilmente si porta dietro); c) verificabilità continua dei risultati raggiunti.

La partecipazione, dunque, non è figlia della deresponsabilizzazione delle autorità costituite, anzi. E’ un aumento della presa in carico dei problemi della collettività, è un meccanismo più strutturato e complesso per problemi complessi, è il contrario delle scelte approssimative e veloci, è la risposta ad uno sfaldamento costante del tessuto connettivo della società.

Ma bisogna rilanciare e rinnovare i modelli di partecipazione. Quelli perseguiti stancamente negli ultimi anni non solo non hanno funzionato ma hanno anche tradito le attese.

Ne propongo uno che sta ritornando in auge ed è relativo ai “principi e gli elementi minimi da inserire nei contratti di servizio e nelle carte di qualità dei servizi pubblici locali”. Si tratta della vita quotidiana di tutti (trasporti, energia, acqua, ambiente, ecc.) e della possibilità non di concertare strumenti ed esercizio, ma di condividere obiettivi e modalità di attuazione, con particolare riferimento al ruolo delle Associazioni dei consumatori e dei comitati di quartiere e di ambiente.

Si legge nell’accordo del 26 settembre scorso “ll Ministero dello sviluppo economico, le associazioni dei consumatori e le Regioni concordano sulla necessità di attivare un processo di lavoro comune finalizzato ad un ampio e risolutivo rilancio della partecipazione civica.” E lo fanno (in maniera non obbligatoria ma volontaria) a partire da alcuni punti fermi: a) sono garantite forme di partecipazione dei portatori di interesse a partire dalla Costituzione di Comitati di controllo a livello regionale; b) certezza ed efficacia del processo di partecipazione: è assicurata la consultazione preventiva dei portatori di interesse, anche al fine di selezionare gli elementi migliorativi rispetto alle linee guida; c) trasparenza, circolarità e terzietà del monitoraggio della qualità del servizio (presentati con cadenza almeno annuale i dati ai Comuni, che a loro volta li metteranno in consultazione ai Comitati; d) economicità e sostenibilità di monitoraggio e di partecipazione dei portatori di interesse; e) attuazione di un Sistema di risoluzione delle Controversie e Indennizzi automatici.

Perché considero questo un modello da perseguire anche in altri settori? perché si ispira a tre basilari concetti: primo, la partecipazione deve essere organizzata e continua e non può essere lasciata al guru di turno che lancia sul web un qualche sondaggio più o meno trasparente; secondo, deve avere obiettivi concreti e immediati nella vita dei cittadini; terzo, i frutti del proprio impegno devono essere valutati, pesati, verificati e se è il caso corretti nel tempo.

Solo così, potremmo dire che stiamo parlando di qualcosa di diverso da una semplice e di facciata chiamata alle urne per eleggere il leader.

Se lo scetticismo imperante ci dovesse spingere ad una minimalista scrollata di spalle di fronte a proposte così, si vadano a leggere le conclusioni che i curatori del Rapporto sulla condizione giovanile 2013 (istituto Toniolo) hanno tratto nel capitolo sulla Partecipazione politica: “I giovani a dispetto dell’immagine che di loro a volte è stata disegnata, dichiarano voglia di fare, di impegnarsi affinché gli obiettivi che ritengono più importanti, quelli della crescita e dell’innovazione, quello della protezione dei più deboli e di una larga partecipazione della gente, diventino effettivi risultati dell’azione collettiva”.

Bene, è una grande apertura alla speranza. Ma bisogna crederci, ritornare a pensare che il popolo, pur spesso condizionato da falsi messaggi e imbonimenti consumistici, sia ancora depositario di una proficua intelligenza collettiva; che il tempo è saggio consigliere; che con la pazienza della ragionevolezza e della programmazione si ottengono buoni risultati; che la fallacia e il rischio di inciampare delle nostre idee è all’ordine del giorno, ma lo scoraggiamento è peggio. Che, in fondo, la politica è fatta di questi tentativi reiterati, con la pazienza e la lungimiranza di chi non crede che homo homini lupus.

Ebbene, noi cattolici democratici su questo avevamo negli anni passati un know how di forte impatto e valenza (ci abbiamo ricostruito sopra l’Italia dopo gli anni del fascismo e della guerra). Riprendiamolo e rinnoviamolo, e saremo protagonisti di un’altra ricostruzione.

 

Vittorio Sammarco

 

3 Comments

  1. se tutti riuscissero a comprendere l’importanza della partecipazione attiva e costruttiva alla vita pubblica.riusciremmo ad essere di stimolo ai giovani che vivono di più sulla propria pelle i mutamenti ,gli eventi negativi del mondo di oggi .sono rassegnati e ,spesso ,la loro delusione li spinge a non voler più
    sentire di politica che è per loro l’origine di tutti i mali e rifiutano il dialogo .Ciò vale anche per gli stessi adulti
    che hanno dato una prova forte con l’astensione dal voto .Il problema è che ci si limita a criticare a dissentire
    ma nessuno si sforza di mettersi in gioco in prima persona per partecipare come protagonisti ad una ricostruzione senza delegare altri!!

    • Eppure penso che i giovani su questo tema abbiano ancora molto da insegnare proprio a noi adulti. Occorre anche saperli ascoltare. Grazie dell’attenzione
      Vittorio Sammarco

  2. Anche negli ultimi anni i movimenti sociali sono stati animati dai giovani: gli indignati in Spagna, occupy wall street negli Usa, il referendum per l’acqua pubblica in Italia, le primavere arabe, piazza Taksim in Turchia, ecc. E’ invece la forma partito che non riesce a comunicare con questi giovani. Nei gruppi dirigenti politici l’autoreferenzialità regna sovrana, basti pensare all’incapacità di affrontare il tema dei privilegi, problema molto sentito da tutti (giovani e anziani). Salvatore Vento

Lascia un commento

Required fields are marked *.