Partito “cattolico” (o quasi)?

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Avevo sottoscritto, un po’ affrettatamente, il “Manifesto Zamagni”, senza averlo debitamente approfondito. E per questo mi scuso. L’ho fatto successivamente, leggendo anche le tante, diverse opinioni che sul tema sono state espresse. E sono arrivato alla conclusione (o quasi) che l’idea, oggi, di un “partito cattolico”, pur aperto a credenti e non, non mi convince.

Certo, io condivido in partenza una visione personalista dell’economia, della società, e dello Stato -uno Stato in ogni caso radicato nella prospettiva europea, e nel quale la “cosa pubblica” funzioni al meglio -, la piena valorizzazione delle formazioni sociali e dei corpi intermedi (come si conviene a un ben inteso principio di sussidiarietà), la difesa della persona, della sua dignità in tutti gli stadi di vita, e della famiglia. Però ho perplessità non da poco ad utilizzare oggi, in politica, il termine “cattolico”. Tanto più considerando quanto sta giusto avvenendo nel “mondo cattolico” negli ultimi anni. In particolare dal momento dell’arrivo di papa Francesco.

Oggi, lo sappiamo, la Chiesa sta vivendo un momento assai difficile, e colui che dovrebbe essere il simbolo della sua unità è sotto un attacco fortissimo, anche, o forse soprattutto, all’interno. Vale a dire persino da una pur assolutamente minoritaria parte della gerarchia. Questo papa è sotto attacco perché, ringraziando Iddio, ci sta dando quotidiane lezioni di che cosa significhi essere “cristiani” oggi, nella società “post-moderna”. Si rifà, così, alle definizioni “pastorali”, e non solo, dell’ultimo Concilio, definizioni che hanno provocato anche un ripensamento della concezione intellettualistica, manualistica, “scolastica”, della teologia. Promuovendo così una nuova teologia che, coniugando “trascendenza” e “immanenza”, tenga conto della “storia” e del suo evolversi, pur senza dimenticare affatto, naturalmente, il “fondamento” del cristianesimo stesso. Una teologia, nella debita misura, finalmente anche “antropologica”.
Il problema è che questa posizione di Francesco, che finisce con avere inevitabilmente qualche significativo riflesso sulla stessa politica, è invisa non soltanto a Viganò & C., ma anche a consistenti gruppi di cristiano/cattolici conservatori, integralisti, reazionari. Negli Usa, ma non solo. Gruppi che riscuotono infatti simpatie anche altrove, Italia compresa, se non soprattutto. Negli ambienti salviniani in particolare, guarda caso. Così, Francesco è stato ripetutamente fischiato, il 18 maggio dello scorso anno, in piazza Duomo, a Milano, non appena il “devoto” ras della Lega (quello del rosario e del Vangelo sbandierati nei comizi) lo ha nominato. Ma il problema è anche che, da noi, dicono gli esperti, quel partito è tuttora il più votato dai “praticanti” cattolici, quelli che vanno a Messa tutte le domeniche.
Orbene: è evidente che il sottoscritto non vuole avere nulla, ma proprio nulla, a che spartire, sul piano dei valori cristiani da tradurre in politica, con detti ambienti. Perché in politica (nella Dc, nel Ppi, nella Margherita, nel Pd) io mi sono sempre definito “cattolico” sì, ma anche, insieme, “democratico”, non scindendo mai i due termini. Certo, la Dc si definiva partito “di centro”, ma da De Gasperi e da Moro il “centro” non è mai stato considerato come un’idea statica, immobile nella sua fissità, bensì come un’idea in continuo movimento. In realtà, un centro che ha voluto sempre guardare verso le istanze della sinistra. Anche in ragione di ciò, e proprio in conseguenza della mia visione del mondo, della mia concezione antropologica, della mia cultura politica, io mi trovo più a mio agio (pur non senza qualche problema) in un partito dichiaratamente di “centrosinistra”, non di centro. Consapevole e memore che i partiti che ho frequentato sinora nella mia pur lunga esperienza politica hanno contribuito, insieme ad “altri”, alla tenuta democratica del Paese, a provare a realizzare un’economia mista, una società meno crudele di altre sul welfare, un ancoraggio istituzionale fortemente europeo.

“Insieme ad altri”, dicevo. Sarà anche in ragione di ciò che, prescindendo dalla questione diciamo tecnica della legge elettorale più opportuna, io non disdegno la prospettiva del “bipolarismo”, oggi. Non parlo, dunque, di “bipartitismo” modello anglosassone, che, di fatto, mortifica la tradizione pluralista. E non mi piacciono neppure leaderismo e presidenzialismo, che deprezzano il pluralismo sociale e istituzionale. Ma considero che, pur consapevoli delle forzature del modello ipermaggioritario, non dobbiamo esorcizzare, come ha ben scritto qualche amico, i problemi e i costi delle stagioni precedenti, nelle quali elementi di consociativismo hanno concorso a propiziare l’impennata del debito pubblico e diffuse pratiche consociative.
Tutto ciò detto, sull’intera questione, avendoci, come detto, riflettuto, registro con una certa simpatia i pensieri sul tema apparsi, qualche tempo fa, sulla rivista “Appunti” (organo dell’associazione “Città dell’uomo”, fondata da Giuseppe Lazzati), e riportati su C3dem, a firma, rispettivamente, di Franco Monaco e Filippo Pizzolato. Assai perplessi entrambi sul partito cattolico di centro, o come lo si voglia chiamare (ma “meglio pensare a un ambito circolare, più che centrista, capace di raccogliere suggestioni programmatiche utili a tutta la popolazione, senza distinzioni oltre a quelle che derivano dai valori consolidati della civiltà”, ha scritto un aderente all’iniziativa). Monaco ha tra l’altro citato la famosa frase di Martinazzoli per cui “la differenza tra moderazione e moderatismo è uguale alla differenza tra castità e impotenza”. Del suo scritto apprezzo in particolare questo pezzo: “Occorrono scelte di valore e ricette che sanno di radicalità, non di centro moderato. Chi ha provato nel passato a interpretare il centro moderato non ha brillato per qualità, quantità e persino durata. Il profondo disagio materiale e spirituale che affligge la società concorre a premiare le proposte radicali, non quelle moderate di centro (…) Il problema non è quello di una nuova offerta politica ma della razionalizzazione di un sistema politico già troppo frammentato. Serve semmai una rigenerazione dei partiti attuali (…). Occorre concorrere a organizzare un fronte largo e unitario che positivamente rappresenti un’alternativa politica all’egemonia manifesta e insidiosa di una destra illiberale, nazionalista e sovranista. Non ci possiamo permettere posizioni ambiguamente terziste”.
Pizzolato, per parte sua, è perplesso sull’idea di fare dei cattolici i “baluardi della tenuta del sistema”, a guardia di un ordine di cui in teoria continuano a contestare le ingiustizie, un’oasi roccaforte dell’esistente, votata a una moderazione che immediatamente viene scambiata per conservazione, una forza di stabilizzazione posta al centro. E ricorda che il posizionamento politico dei cattolici è sempre stato plurale, nonostante le forzature e le convenzioni storiche. “Oggi è perfino inafferrabile e indefinibile”, questo posizionamento. “Una volta, il cattolicesimo era la base della cultura popolare e dettava le scansioni della vita e gli orizzonti del sociale”, ma oggi non è più così. Con riferimento, poi, allo slogan dell’ipotizzato nuovo partito: “Antagonisti alla destra, alternativi alla sinistra” (una definizione che tenta a mio avviso con difficoltà di non mettere sullo stesso piano il tipo di diffidenza verso i due gruppi), Pizzolato obietta, ed io condivido, che non si può paragonare il Partito democratico alla destra di oggi, autoritaria e rozza. E segnala altresì che non si possono rigettare tutti i partiti, alla cui storia i cattolici hanno ampiamente contribuito. Il rischio, conclude, è quello di uno svuotamento delle componenti più ragionevoli dei due poli, contribuendo, di fatto, a una più marcata polarizzazione del Paese.

Avviandomi a concludere, mi permetto di esternare la mia convinzione che una delle ragioni, in fondo comprensibile, dell’avversione dei fautori del nuovo partito al Pd abbia a che fare in qualche misura con la questione dei cosiddetti (una volta) “valori non negoziabili”, ben noti ai cattolici praticanti. Irrita cioè, a me pare di poter dire, il “laicismo” di una parte dei piddini, la cui rappresentante “simbolica” può essere individuata in Monica Cirinnà (ci capiamo). Sul tema, da anzianetto, oso fare le seguenti considerazioni.

Ho vissuto i tempi dei referendum del 1974 sul divorzio e di quello sull’aborto del 1981. Io votai (ovviamente?) contro entrambi gli istituti, impegnandomi anche di persona nell’agone, diciamo, elettorale. E fui sorpreso, come buona parte dei cattolici, credo, dall’esito di dette consultazioni: nella “cattolicissima” Italia di allora, con una Chiesa ancora, diciamo, forte, nella società, e il partito “d’ispirazione cristiana” con grandi posizioni di potere, il divorzio fu approvato da circa il 60% dei votanti, e, sette anni più tardi, l’aborto (argomento ovviamente ben più delicato e problematico che non il divorzio) ottenne il favore del 70% dei partecipanti. Il fatto è che è la “secolarizzazione” (non tutta, certo, da disprezzare, anzi!) era avanzata già allora, e la gerarchia cattolica, e gli esponenti di peso della DC (come dimenticare le battaglie di Amintore Fanfani?) non se n’erano sufficientemente accorti. Dopo, sono arrivate le “unioni civili”, anche per le coppie omosessuali (io, che resto peraltro consapevole che le persone vanno comunque sempre rispettate, m’infastidisco quando dette unioni vengono paragonate, di fatto, ai “matrimoni”).

Oggi impazza la questione del “gender”, così che la differenza tra uomo e donna, ritenuta una volta un dato essenziale e imprescindibile della natura umana, è posta in discussione dalla più recente cultura sessuale. Ora c’è in ballo la proposta di legge sull’omotransfobia, che taluni temono diventi un bavaglio alla libertà d’espressione e di opinione e apra la strada a pericolose derive liberticide. E intanto le famiglie si sfasciano, i matrimoni durano poco, e non si fanno figli, è il giusto refrain.  Oggi, poi, grazie anche a internet (strumento straordinariamente positivo se si è in grado di dominarlo e non farsi plagiare), domina la pornografia, anche nell’orribile versione di pedopornografia, veicolata facilmente, appunto, attraverso gli Iphones, gli Ipad, eccetera, con le possibili conseguenze che sappiamo sui ragazzi. Sui telefonini, negli ultimi anni, c’è anche l’esplosione delle icone per i “siti di incontri”, per single e non. E la “qualità” di molti programmi Tv è quella che sappiamo. In proposito, tra l’altro, non possiamo dimenticare il ruolo delle televisioni di Silvio, a partire dal momento della “liberalizzazione” del sistema televisivo. Un Berlusconi che certi buoni centristi cattolici definivano “cattolico non comunista” (per questo inviso ai “cattocomunisti”!).
Mia impressione è che per certi cattolici questo “marciume” (scusate il termine) sia tuttora considerato in buona parte “colpa” dei comunisti (o ex), del ’68 e dei post sessantottini, dei radical-chic di sinistra, e via discoorrendo. Gente, dunque, che vota prevalentemente “a sinistra”, appunto, e pertanto anche il Pd. Ecco un’altra ragione, oltre alle altre più squisitamente politiche, per ritenersi allora “alternativi” alla sinistra. Io, invece, ho quest’opinione: i “comunisti” (passati e presenti) c’entrano poco. E non lo dico soltanto perché, avendo fatto (io che provenivo da una famiglia “proletaria”) il sindaco Dc per anni, decenni fa, con i “comunisti” all’opposizione, ho registrato che, su non pochi valori “nostri”, tra democristiani e “compagni” di allora non c’erano grandi differenze.
Mia convinzione, semmai, è che la situazione attuale, qui e nel mondo occidentale in genere, è figlia del clima “culturale” che via via è stato inoculato in particolare dai “media” e da certi “poteri” sempre alla ricerca dell’obiettivo di “far soldi”. Dagli adoratori, cioè, del dio-denaro, di cui fare incetta al più presto e il più tanto possibile.

Stiamo poi registrando i disordini, lo squilibrio e i gravi danni creati dal predominio incontrollato della finanza sull’economia reale. E c’è bisogno di un grandissimo ripensamento del sistema capitalistico “iper-consumista” in tutti i campi che abbiamo creato e presentato ai nostri figli. I quali vivono però in una società che oggi comincia ad essere in difficoltà anche sul piano dell’economia. Solo così, ripensando dunque il “sistema”, potremo forse riparare taluni dei guasti sopra accennati. E, in quest’operazione, i cattolici sì, perlomeno quelli debitamente sensibili, possono riavere un ruolo significativo, pur magari militando in partiti politici diversi.
Tornando all’immediato, io confermo per parte mia che, pur con perplessità, come detto, non mi trovo male nel Pd, e non intendo cambiare. Anche perché sono convinto sia alla fine giusto stare nell’area complessiva del centrosinistra (non ho più spazio, qui, per parlare anche del rapporto con la sinistra-sinistra), i cui valori sono in buona parte alternativi a quelli del centrodestra, e come tali sono riconoscibili nella lotta alle diseguaglianze, alla povertà, per la giustizia, per la libertà e la dignità delle persone, immigrati compresi, per la sussidiarietà, per il lavoro, per il welfare. Una posizione, in ogni caso, che certo non impedisce ai cattolici di questa parte, come ho accennato, di accordarsi, su singoli punti (ne ho giusto qui citati taluni), con i cattolici dell’altro fronte.
Per concludere davvero, segnalo che faccio mia  la domanda finale che già si sono posti anche altri amici: può l’area del centrosinistra, con tutti i limiti e le contraddizioni che la caratterizzano, evolvere fino al punto da unificare, pur nelle specifiche diversità, questa grande area, nella convinzione che tutto ciò non solo è un valore in sé ma anche la condizione per vincere la destra e per governare?
Un’ultimissima frecciatina, in quanto tale inevitabilmente maliziosa: sono consapevole che ho l’obbligo di rispettare quei leader di destra, locali e mondiali (i riferimenti mi paiono ovvi), che si mostrano non poco “devoti” in pubblico. Rispettarli, a condizione, però, di non scoprire che si tratta di “cultori” della teoria “vizi privati, pubbliche virtù”.

Vincenzo Ortolina

( luglio 2020)

 

 

 

2 Comments

  1. Grazie per il grande aiuto a riflettere per ben discernere. Speriamo che i nostri giovani abbiano il necessario e doveroso aiuto per poter scegliere anche con l’aiuto “formidabile” di Francesco.

  2. Ho letto con grande interesse quanto scrive Vincenzo Ortolina e non posso che essere pienamente d’accordo con lui nell’esprimere perplessità sulla prospettiva di dar vita ad un “nuovo partito di ispirazione cristiana aperto ai credenti e non credenti”.

    Mi permetto solo di aggiungere alcune considerazioni:

    1) sono stato tra i fondatori di Politica Insieme ma, quando si è esplicitata la finalità di un partito di ispirazione cattolica aperta anche ad altre provenienze, da questa mi sono allontanato motivando il mio dissenso con il considerare questa una ipotesi fuori dalla storia e dal tempo, e con l’assenza di interesse per un partito da prefisso telefonico che, nella migliore delle ipotesi, riproporrebbe l’esperienza del PRI di La Malfa nella formazione della maggioranze parlamentari senza le qualità e capacità di La Malfa;
    2) l’affermazione dei promotori che il “nuovo partito” non sarà né di destra né di sinistra ma di centro, inteso come centrale nello schieramento politico, mi sembra una affermazione ambiziosa per un verso (centrale), e insostenibile per l’altro verso stante che, in un sistema elettorale tendenzialmente bipolare, si è obbligati a scegliere dove e con chi stare essendo impensabile stare in un centro che non esiste più. E’ questo un aspetto, per me, assolutamente derimente. Dopo una vita passata nella CISL e per il mio sentire politico non posso riconoscermi e lavorare per una prospettiva indeterminata rispetto alla quale rimane almeno il 50% delle possibilità di ritrovarmi alleato del centro destra;
    3) Viviamo in una realtà sociale sempre più secolarizzata e distante dai principi e dai valori della religione e della Dottrina Sociale della Chiesa. Se i cristiani, pur se sempre più marginali, restano il “sale della Terra”, ha senso rinchiuderli nello spazio di un partito politico? Non è forse bene che restino dispersi nelle forze politiche democratiche per testimoniare, con le loro azioni e comportamenti, il loro essere cristiani? Alla fine si pensa che sia un buon servizio alla Chiesa misurare il “peso elettorale” di un partito di ispirazione cristiana o non è piuttosto un fatto fortemente negativo?
    4) Dichiaro qui qual è la mia ambizione politica: battere Salvini e la destra italiana di cui non condivido nulla. Perché ciò diventi possibile occorre, a mio giudizio, che il centro sinistra e la sinistra italiana facciano ciò che hanno fatto i socialdemocratici tedeschi con il Congresso di Bad Godesberg nel 1959: mettersi in discussione per scoprire e condividere le ragioni dello stare assieme e su base definire un programma di governo credibile e attuabile.
    Loro, i socialdemocratici tedeschi, ci sono riusciti e hanno governato per 30 anni, quest’area ha il dovere di provarci nella convinzione che questa è l’unica strada che può consentire di battere Salvini e la destra italiana e di governare i cambiamenti indotti dalla crisi generata dalla pandemia avendo a riferimento il bene comune per il Paese e per tutti.
    5) Ai miei amici impegnati in questa iniziativa auguro buon lavoro e ogni successo al “nuovo partito”, ma personalmente sono molto più interessato allo studio, alla riflessione e alla diffusione della conoscenza della Dottrina Sociale della Chiesa.

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