Paolo VI, una biografia politica

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La recensione  è apparsa su Via Po, inserto culturale del quotidiano della Cisl “Conquiste del lavoro”

 

La biografia politica di Paolo VI (Philippe Chenaux, Paolo VI. Una biografia politica, Carocci Editore, 2016, Roma, pagg. 337) è suddivisa un due parti: la prima riguarda il periodo dal 1897 al 1963, dalle radici bresciane agli anni della FUCI, dalla segreteria di Stato sotto Pio XI alla collaborazione con Pio XII, dalla ricostruzione nazionale del dopoguerra a vescovo della grande diocesi di Milano. La seconda parte si sofferma sugli anni del Concilio e la difficile fase della sua ricezione, dalla crisi della Chiesa alla politica del dialogo ecumenico e internazionale. Infine gli ultimi anni, dal caso Lefebvre alla tragedia di Aldo Moro. Le note e la bibliografia occupano settanta pagine, il che dimostra il lungo lavoro di ricerca e l’ampio materiale consultato, compresa la “Positio” (dossier raccolto per avviare il processo di beatificazione). Mi soffermerò in particolare sulla seconda parte.

Giovanni Battista Montini nacque nel 1897 a Concesio (Brescia), ordinato sacerdote nel 1920, andò a Roma per continuare gli studi alla Gregoriana e dopo un breve periodo alla Nunziatura di Varsavia, iniziò una brillante carriera diplomatica alla segreteria di Stato diretta dal cardinale Pacelli (futuro Pio XII). Fu nominato assistente della Fuci, la Federazione degli universitari cattolici nel periodo buio del fascismo  (1925-33), un ruolo che lo avrebbe portato a costruire profonde relazioni con alcuni di quelli che sarebbero stati i fondatori, nel dopo-guerra, della Democrazia Cristiana. Nonostante la sua opera al vertice del Vaticano fu creato cardinale soltanto  nel 1958 con l’avvento di papa Giovanni XXIII, al quale succedette il 21 giugno 1963.  L’improvviso allontanamento dalla curia romana – dovuto alle ostilità degli ambienti più conservatori (noti come sostenitori del “Partito romano”) che mal digerivano la presenza di un fine intellettuale amico di Jacques Maritain – e la conseguente nomina a vescovo di Milano costituirono l’occasione per acquisire quella esperienza pastorale che gli mancava.  Tre giorni dopo il discorso del suo insediamento (gennaio 1955) si reca a visitare gli operai degli stabilimenti metalmeccanici di Sesto San Giovanni, la Stalingrado d’Italia, così chiamata per la diffusa presenza del Pci. Da Papa celebrerà la notte di Natale del 1968 alle acciaierie di Taranto: “La Chiesa, egli disse, non condivide le passioni classiste, quando queste esplodono in sentimenti di odio e in gesti di violenza; ma la Chiesa riconosce, sì, il bisogno di giustizia del popolo onesto, e lo difende, come può, e lo promuove”.  Il ciclo di lotte degli anni 1968-75 ebbe ripercussioni su tutta la società e la Chiesa venne investita da contestazioni senza precedenti, a partire dalla sua Università cattolica e da eventi simbolo che in diverse città ebbero come protagonisti preti-leader sociali delle  loro comunità. Non solo nella ben nota esperienza  dell’Isolotto a Firenze (don Enzo Mazzi), di Oregina a Genova (don Agostino Zerbinati), di San paolo Fuori le mura a Roma (dom Giovanni Franzoni), ma in altre numerose realtà del Centro-Sud Italia, che portarono alla costituzione di una rete delle Comunità cattoliche di base, ai margini della Chiesa-Istituzione. Era in gioco la recezione del Concilio. In America latina si diffonde la “Teologia della liberazione” che si concretizza anche  nella partecipazione di esponenti del clero alle lotte sociali, fino ad arrivare all’impegno diretto nella lotta armata (il prete colombiano Camilo Torres, il 15 febbraio 1966, muore in un’azione di guerriglia). In Europa, nella vicina Olanda, il  9 ottobre 1966 il cardinale Alfrink presenta a Utrecht il “Nuovo Catechismo” olandese, ribadito in occasione della Quaresima del 1968. Il 25 luglio 1968 la pubblicazione dell’enciclica Humanae vitae,  conosciuta come l’enciclica contro la pillola contraccettiva, susciterà un’ondata di proteste nelle diocesi di tutto il mondo: negli Stati Uniti si pronunciano contro molti vescovi e teologi con interventi pubblici sul New York Time; in Francia era considerata un’enciclica contro lo spirito del tempo, contro  la rivolta libertaria del maggio. Paolo VI rimase sconcertato da queste reazioni e  non emanerà nessun’altra enciclica. Al referendum sul divorzio del 12 maggio 1974 la platea della contestazione alla gerarchia ecclesiastica e alla Dc di Fanfani si amplia fino a comprendere noti esponenti del mondo della cultura e delle forze sociali. La legge sul divorzio (legge 898 del dicembre 1970) era stata approvata dal Parlamento durante il governo presieduto da Emilio Colombo, un democristiano di lungo corso formatosi nell’Azione cattolica. Davanti alle Chiese vengono distribuiti volantini del “Cattolici del No”. I cattolici democratici non si sono limitati a dire No e a dirlo pubblicamente, ma hanno agito per aprire un dibattito pubblico e un dialogo tra i cattolici e con esponenti della società civile di diverso orientamento politico culturale. La vittoria del No all’abrogazione del divorzio dimostrava l’esistenza di una vasta area di opinione pubblica cattolica che su un tema così importante esprimeva la propria autonomia di giudizio dalla gerarchia ecclesiastica.  Anche nel Lazio e a Roma, la città del Papa, vincono di larga misura i No. La  CEI, anziché sforzarsi di capire le ragioni dei risultati, scrive “Non possiamo non ammonire quei sacerdoti e religiosi che si sono fatti esponenti di una opposizione quasi radicale e non soltanto episodica all’insegnamento e all’orientamento dei vescovi e della Chiesa, venendo meno in tal modo al loro stesso ministero”. Nessuno di noi cristiani può mettere in dubbio le parole stesse di Gesù (Non divida l’uomo ciò che Dio ha unito), ma queste parole, scriveva Carlo Carretto (uomo di profonda spiritualità che  visse dieci anni di vita eremitica nel Sahara col movimento dei Piccoli fratelli di Gesù fondati da Charles de Foucauld),  non possono essere usate contro una legge civile  e verso i non credenti. L’Azione cattolica, nonostante gli sforzi di rinnovamento di Paolo VI, era scesa dai  tre milioni di iscritti del 1962 ai 800 mila del 1969. I successi conseguiti sul piano della politica internazionale – partecipazione all’assemblea dell’Onu, dove presenta la Chiesa come esperta in umanità, l’enciclica Populorum progressio, gli incontri ecumenici e i viaggi apostolici all’estero, la proclamazione della Giornata mondiale per la pace – contrastano con la conflittualità diffusa all’interno della Chiesa; si era addirittura costituita un’internazionale europea di sacerdoti contestatori. Anche l’appello alle Br – vi prego in ginocchio, liberate l’onorevole Aldo Moro – non ottiene i risultati attesi. Con la morte del papa bresciano (6 agosto 1978), afferma Philippe Chenaux, si concluse la stagione montiniana del cattolicesimo contemporaneo. Attenzione ai segni dei tempi, volontà di rinnovamento nella fedeltà alla tradizione, interesse per un dialogo nel rispetto delle persone, senso di equilibrio e della mediazione, tali erano gli ingredienti del “montinianismo”, questa forma di umanesimo cristiano nell’età dell’atomo e dei totalitarismi.

 

Salvatore Vento

 

 

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