di Pier Giorgio Maiardi
Stiamo vivendo e subendo passivamente una situazione paradossale: ci dicono che dobbiamo difenderci perché siamo minacciati e quindi è indispensabile aumentare in modo spropositato le spese per gli armamenti; dobbiamo pensare e provvedere ognuno per sé perché tutti gli altri Stati sono potenziali nemici. Il principio a cui dovremmo ispirare la nostra politica estera è la deterrenza: dobbiamo cioè farci paura a vicenda fra Stati; i nostri politici “illuminati” e sedicenti cristiani riscoprono la civiltà romana, di “qualche” anno fa, e la “saggezza” del “si vis pacem, para bellum”, l’unica che ci assicurerebbe di vivere in pace, magari “eterna”… L’importante è rendere difficile la vita degli altri Stati, anche se questo obbliga anche noi a qualche ristrettezza, rendendo più costosa la importazione dei loro prodotti; l’importante è essere, o far credere di essere, più potente e più forte dello Stato vicino. Per questa strada dovremmo renderci finalmente conto della inutilità degli organismi internazionali creati per l’incontro fra Stati, e tanto più di quelli che pretendono di far rispettare diritti uguali per tutti, una pretesa fuori tempo perché abbiamo riscoperto la “legge del più forte”, l’unica che può garantire la pace. Questo mondo paradossale sembra frutto di una immaginazione malata, assolutamente fuori tempo negli anni Duemila, dopo una storia plurimillenaria che ha vissuto una evoluzione del pensiero e delle conoscenze che ci hanno consentito di superare le paure dell’ignoto e ci hanno messo in grado di utilizzare al meglio le risorse della natura, distribuite in modo ineguale nel nostro pianeta tanto da rendere indispensabile scambiarcele nell’interesse comune. Eppure pare che a questi principi si ispirino i politici che più contano oggi nel governo del mondo, i responsabili degli Stati più potenti e degli unici organismi internazionali che ancora contano, quelli creati per difendersi da tutti gli ipotetici nemici. Governanti incuranti del pericolo crescente di distruggere, oltre ai sistemi, faticosamente raggiunti, di una convivenza partecipata da tutti, le condizioni stesse della sopravvivenza. Governanti che, colpevolmente, creano per il futuro le condizioni per un mondo in perenne conflitto, quando credevamo di aver acquisito ben altri modi, meno barbari, per regolare i reciproci rapporti fra Stati.
E’ impossibile credere che nessuno si ribelli a questa situazione, che tutti si preoccupino di adeguarvisi, eppure, accanto a quelli che proprio da questa politica traggono le condizioni per conservare e rafforzare il potere, c’è un soggetto, il più importante, quello che subisce tutti gli effetti negativi di questa situazione: è quello che, con la guerra, può perdere la casa e la famiglia, che è costretto a cercare di salvarsi emigrando da uno Stato ad un altro ma che molte volte non vi riesce perché è respinto come nemico pericoloso, quello che diventa solamente un numero anonimo, costretto a sparare ed uccidere, condannato ad essere ucciso o mutilato nel corpo, negli affetti, nel proprio diritto di vivere serenamente e in pace, quello scacciato dalla sua terra se fastidioso e inutile per il potente, quello lasciato senza cibo e senz’acqua se questo serve alle strategie della guerra. Parliamo del “popolo”, degli esseri umani a cui è stato affidata la terra per essere lavorata e fatta fruttare per consentire a tutti di goderne: questo popolo ha il diritto ed il dovere di opporsi alla logica “illogica” imposta da pochi individui che pare non accettino l’ordine naturale dell’universo in cui vivono ma che, al contrario, rispondano ad istinti primordiali che l’esperienza plurimillenaria della vita del mondo ha superato.
I cristiani hanno la possibilità di leggere questa situazione in una chiave illuminante e non possono tacere, hanno il dovere di parlare, di mettere in evidenza la enormità del paradosso che il mondo sta vivendo e di denunziarne le conseguenze di morte. I cristiani impegnati responsabilmente nel governo della comunità non possono sottrarsi al compito di tradurre questa denuncia in termini politici e ispirare una politica positiva e propositiva, che abbia una finalità alta, a misura umana, un progetto condiviso e realizzabile e una concretezza che consenta la partecipazione sensibile e cosciente di un popolo protagonista, non succube. I governanti che si dicono cristiani hanno il dovere di ascoltare e mettere in pratica il severo monito di Leone XIV: “Come si può continuare a tradire i desideri di pace dei popoli con le false propagande del riarmo, nella vana illusione che la supremazia risolva i problemi anziché alimentare odio e vendetta?”.