Non c’è più (quella) religione

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Enrico Peyretti, in “il foglio”, mensile di cristiani torinesi, del marzo 2012, si chiede cosa stia cambiando nella religione in Italia, e avanza alcune osservazioni personali. E conclude osservando che “la decadenza dell’istituzione religiosa nel potere e nel prestigio sociale mette paura ai pavidi quanto ai numeri, alla diminuita quantità di fedeli (salvo facili e soddisfacenti raduni di massa), quanto alla precaria continuità della trasmissione della fede da una generazione all’altra, ma è possibile non aver paura quanto alla genuinità della fede, che probabilmente si purifica e si approfondisce”.

Che cosa sta cambiando nella religione in Italia? Queste sono modeste osservazioni personali, spontanee, e molte sono raccolte da varie fonti. Il cristianesimo-cattolicesimo ha largamente congelato la profezia conciliare. Peraltro, nella vita personale e di base dei credenti, pare di vedere alcuni fatti nuovi, positivi e importanti. La fede dei credenti non è più quella. Era una dogmatica quadrata, geometrica. Tutto era ben definito: o tutto o niente, dall’esistenza di Dio al non criticare i preti. Così era ufficialmente. Diceva Carlo Carlevaris qualche anno fa: «Il “deposito” della fede, quando ero giovane, mi riempiva un pesante zaino. Ora mi sta tutta in un taschino». Sono successe delle cose: il Concilio ha avuto il suo maggiore risultato nel fatto che in chiesa si può parlare, discutere. La fede è pensata: anche laici e laiche studiano teologia, leggono la Bibbia, e non invano. C’è stata la contestazione, ma anche i fedeli più tranquilli e moderati non sono più pecorelle del gregge come un tempo.

Naturalmente, la capacità di pensare c’era, in molti: ricordo la Fuci dei primi anni 50, dove l’assistente, il canonico Gosso, parlava di «tumefazione vaticana» della chiesa. Ma la comunità era un impero spirituale, diviso tra comandanti e comandati, sacri e profani. Ci restavi perché avevi capito nella fede chi è Gesù. Perché insegnamenti ed esempi di bontà ne trovavi. Ma quanti scappavano, o rimanevano solo per convenzione sociale!

La fede

Le fede, in questi decenni, è diventata piuttosto una sincera e interiore apertura di fiducia fondamentale. Più assai che una “dottrina” certa e rassicurante, ora è un atteggiamento interiore di fiducia in Dio rivelatosi in Cristo. Con tutti i difetti e le incoerenze, essere credenti oggi è questo. Non è mica la stessa cosa!

Certo, questo modo di credere ci viene dalla lunga tradizione della chiesa, e dobbiamo essere grati a secoli e sistemi cristiani, che non sono più i nostri, ma ci hanno trasmesso la fede formulandola in espressioni che la rendono, o la rendevano. Senza dubbio. Anche ai nostri genitori siamo immensamente grati, pur differenziandoci da loro, a volte in cose importanti. L’accento centrale si è spostato dall’ortodossia (dottrina corretta) all’ortoprassi evangelica (cioè l’agire buono e retto: la carità, la giustizia nella vita pratica, nelle relazioni vissute). Anche nella vecchia religione ciò che contava era la vita quotidiana nella carità, ma eri nella chiesa più col sottoscrivere un credo che col vivere una fede nell’amore. Oggi si sa che la vita di amore va ben al di là dei piccoli confini visibili della chiesa. «Il bene è più della fede», dice il vecchio prete nel film di Olmi, Il villaggio di cartone.

Cristianità e secolarizzazione

La chiesa combaciava con la società, (“cristiani” era sinonimo di esseri umani, opposto ad animali), o meglio ci si illudeva che combaciasse, ma l’immagine ufficiale era quella: un “regime di cristianità”. Le leggi civili dovevano ricalcare quelle religiose cattoliche. La chiesa, salvo disaccordi da riparare (Concordati con qualunque regime vigente), era una delle due teste della società, e doveva andare d’accordo con l’altra, accettando ingiustizie sociali e godendo privilegi in cambio di benedizioni, anche alle armi e alle guerre. La secolarizzazione della società ha cambiato questo rapporto, o meglio ha rivelato la verità sottostante. La chiesa dei credenti è solo una parte della società (sale, lievito), una delle idee della vita presenti nella società.

Chiesa unica e plurale

Intanto, tra le varie famiglie dell’unica chiesa di Cristo, lacerate da divisioni e condanne totali (e persino guerre), è avvenuta una conversione davvero evangelica, ancora in corso. Grazie a Dio, le diverse chiese sono largamente passate dall’autosufficienza (ognuna più delle altre e senza le altre è nella verità) verso la sorellanza ecumenica, ognuna col bisogno delle altre, per completare il volto di Cristo, ricucire la sua tunica. Esperienze recenti di condivisione dell’eucaristia superano le tradizionali guerre teologiche sull’interpretazione della Cena: «Fate questo in memoria di me», non dividetevi nel momento principale. Ciò avviene più ancora nella base che nei vertici, ma avviene davvero. Ovviamente con ritardi, resistenze, anche contrasti forti.

Il primato dell’amore

Nella vita morale, nel piano personale e quotidiano di ciascuno nel cercare di vivere il vangelo, c’è stata una evoluzione (con alti e bassi, e differenze, ovvio) da una morale legalistica al primato della giustizia e dell’amore universali. Gesù non ha abolito i comandi della legge, che sono aiuti a dirigere la nostra vita nel bene, evitando deragliamenti, ma li ha completati e ricapitolati nel suo “nuovo” comandamento: amate tutti, fino ai nemici, come vi ama il Padre, come io vi ho amato. Questa regola di vita è “nuova” non perché recente, ultima trovata, ma perché è “di qualità tutta nuova”: essa supera in grandezza e bellezza di vita la tradizione di tutte le civiltà, anche dell’ebraismo, che sempre tendono a discriminare amici e nemici nell’amore e nella giustizia: ci amiamo tra noi, ma non gli estranei, differenti, barbari, inferiori, atei, peccatori, sfruttatori, nemici politici e nazionali.

Popolo sacerdotale

Importante è anche il mutamento che riguarda il momento essenziale della vita spirituale ecclesiale: la liturgia è cambiata, da riserva supersacrale, quasi esclusivamente sacerdotale, alla maggiore partecipazione popolare (riforma liturgica conciliare), verso una maggiore comprensione del sacerdozio comune, della liturgia come atto del popolo sacerdotale, della corresponsabilità di tutti nella chiesa, nella teologia e nella missione. Ci sono dure reazioni di quella religiosità che chiude Dio nel sacro separato, fuori dalla vita, ma il fenomeno non sarà fermato, anche perché è essenzialmente evangelico, è ciò che ha fatto Gesù, rivoluzionando (causa della sua condanna) la religione del tempio, della purità, della legge: «Viene un’ora, ed è adesso, che i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità» (Giovanni 4, 23). Cioè, il vero culto sarà opera dello Spirito di Dio che vive in noi, e non delle nostre arti e tecniche religiose; e sarà «non con le parole e con la lingua, ma con le opere e nella verità» (1 Giovanni 3,18). «Il vostro culto spirituale sono i vostri corpi [cioè la vita reale] offerti come in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio» (cfr Romani 12, 1).

Dio è cambiato

Tutto ciò sta attorno ad un punto centrale: è cambiata l’immagine di Dio. O si soppianta il vecchio Dio con le spiegazioni scientifiche (ma era solo il dio architetto), o lo si licenzia accusandolo del male del mondo; oppure Dio è cambiato: era il padrone di tutto, onnipotente, giudice infallibile e inflessibile, oggetto di paura, capace di mandare all’inferno eterno, un faraone tale che vuole il sacrificio cruento del suo unico prezioso perfetto Figlio (dopo lo farà risorgere) per placare la propria ira contro l’umanità; e ora è diventato il Padre di Gesù e nostro, che i vangeli annunciano soprattutto come vita di misericordia e amore paterno, fraterno, intimo. Dio non è più un sommo Bene e sommo Potere, ma è lo Spirito santo, effuso nei cuori che lo accolgono, e anche in altri che non lo conoscono, ma hanno volontà buona. È cambiato Dio: mica poco. Al confronto, le statistiche contano molto meno.

Sono segnali più che positivi, nella vita religiosa comune, semplice, e assai meno nei palazzi e loro paraggi. La decadenza dell’istituzione religiosa nel potere e nel prestigio sociale mette paura ai pavidi quanto ai numeri, alla diminuita quantità di fedeli (salvo facili e soddisfacenti raduni di massa), quanto alla precaria continuità della trasmissione della fede da una generazione all’altra, ma è possibile non aver paura quanto alla genuinità della fede, che probabilmente si purifica e si approfondisce. Speriamo.

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