Messo con le spalle al muro, l’uomo deve ricostruire se stesso. Ma non può farlo da solo

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Intervento tenuto lo scorso 15 marzo, nel Palazzo Ducale di Genova, in occasione del conferimento del premio Antonio Balletto 2018. L’autore è professore emerito di Etica economica all’Università di Genova

 

 Ricevo con gioia e trepidazione il premio Antonio Balletto 2018. Ringrazio  il Consiglio del Centro Studi Antonio Balletto, il suo presidente Edgardo Loewy, il direttore del Comitato scientifico Gerardo Cunico. Un grazie particolare al magnifico rettore e al direttore del Diec  Luca Beltrametti per le loro parole che mi hanno commosso. Saluto gli amici e i colleghi che con la loro presenza mi testimoniano il loro affetto che ricambio di cuore.

Il conferimento del premio è l’occasione per ribadire il ricordo fecondo e operoso di Antonio Balletto. Sono già passati dieci anni dalla sua morte, ma è ancora in mezzo a noi. Sono il secondo a ricevere il premio, dopo don Luigi Traverso, ben più meritevole del sottoscritto. Altri lo riceveranno nei prossimi anni a conferma del fatto – come osserva Edgardo Loewy – che Antonio Balletto ha lasciato alla sua città un’eredità preziosa e feconda per tutti coloro che intendono tenere viva nella coscienza cittadina i valori delle cultura e della solidarietà. “Ecco il buon deposito resta, per noi stessi e per coloro che verranno dopo di noi. Non è materia inerte, ma è palpito di vita: fa germinare in noi freschezza di novità tenera e robusta” (Balletto, 2008).

Antonio Balletto è uomo di fede e di cultura, vissute nella solidarietà con gli uomini del suo tempo, aperto al futuro attraverso la rottura – come sottolinea Gerardo Cunico – di schemi, di pregiudizi e di incomprensioni, di barriere e di posizioni di comodo. Antonio Balletto, uomo di fede e di cultura che ha saputo parlare – e ancora parla – all’intelligenza e al cuore di molti, credenti e non credenti. Ma come amava dire il Card. Martini alla distinzione tra credenti e non credenti conviene sostituire quella tra pensanti e non pensanti.

E il pensare ieri – e ancora di più oggi – è attività scarsamente praticata, desueta perché difficile, impegnativa, rischiosa. Al  riguardo quanto sono attuali queste parole di Antonio Balletto. “C’è per tutti un grande dovere di pensare, di pensare bene, di pensare insieme. Chi ha imparato a pensare non vive da suddito. Il pensare forte e robusto diviene un pensare in grande, che intreccia il cielo con la terra.” (La Repubblica, 19 ottobre 2007)

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Questo mio breve intervento vuole dunque rendere testimonianza a Antonio Balletto nella continuità ideale del suo pensiero. Di intesa con gli amici del Centro Studi ho voluto dare al mio intervento questo titolo “Messo con le spalle al muro, l’uomo deve ricostruire se stesso. Ma non può farlo da solo”.

Le mie riflessioni partono da una constatazione. Non v’è ambito della vita sociale, economica, istituzionale che non sia percorso da grandi cambiamenti. Grandi cambiamenti certo. Ma per quali fini? In nome di quale progetto? Per questi interrogativi non esistono, oggi, risposte adeguate e convincenti. Da ciò discendono paure, incertezze, difficoltà.

Il calcolo, gli interessi egoistici di gruppo, di ceto, di categoria sembrano far premio sulle esigenze della solidarietà. Ciò concorre ad aumentare, secondo una circolarità viziosa, problemi e conflitti.

Cresce e si consolida la tentazione di risolvere la complessità delle situazioni in nome della forza, sia direttamente sia indirettamente attraverso l’accordo bloccato degli interessi predominanti. E il più forte può assumere i nomi più diversi: oligarchie finanziarie, concentrazioni massmediatiche, burocrazie sovranazionali, poteri tecnocratici, ideologie contrabbandate come verità indiscutibili.

Il futuro dell’umanità si gioca su molti tavoli: economici, politici, scientifici, militari. Troppo pochi, e  non sempre identificabili, sono coloro che decidono, al di fuori di ogni controllo collettivo, nel mentre aumenta l’area dell’impotenza e della rassegnazione.

L’uomo d’oggi si presenta ricco di strumenti, ma povero di fini e di valori. Questa inversione tra mezzi e fini caratterizza – a ben vedere – le moderne forme di alienazione nell’ambito delle quali l’uomo perde il senso profondo di sé in rapporto agli altri uomini e al creato. Si priva cioè della possibilità di una “buona vita”. I “numeri” finiscono per prendere il posto degli uomini specie dei più deboli e quindi più bisognosi di stato sociale.

L’esclusione è oggi un grande dramma e una grande paura. Essa è forse più grave delle tradizionali forme di sfruttamento proprie delle società industriali. Lo sfruttamento presuppone pur sempre un rapporto sociale di tipo oppositivo, intorno al quale sono sorte le diverse organizzazioni del movimento operaio e sindacale. Questo rapporto non esiste nell’area dell’esclusione. Qui troviamo soltanto degli individui, dispersi, praticamente invisibili, senza espressione propria, senza mezzi di appoggio e di lotta. Gli esclusi non possono prendere parola, non possono cooperare, non hanno parte nello scambio sociale.

E’ da qui che occorre ripartire. Messo con le spalle al muro, l’uomo deve ricostruire se stesso. Ma non può farlo da solo. Il sentiero è stretto, ma percorribile. Non mancano segni di inquietudine e anche di speranza. Sempre più ci si interroga sulla validità e sui rischi dei modi di agire a livello di produzione, consumo, utilizzo delle risorse ambientali. Si fa strada la consapevolezza della necessità di modelli plurali e interdipendenti di modernizzazione, in grado di sviluppare le capacità e le peculiarità delle persone secondo le loro specificità.

Ci si accorge che non si è soli e che si è responsabili verso gli altri, che dipendono, per il bene e per il male, dalle nostre azioni. E la catena della responsabilità non ha confini né di spazio né di tempo. Tutto si tiene. Emergono nuovi diritti a livello sociale ed economico, diritti di autodeterminazione e autorealizzazione. Ma la loro esigibilità presuppone il riferimento a nuovi doveri verso l’ambiente e verso le generazioni future. La storia ci insegna che ogni qualvolta gli esclusi hanno ottenuto dei diritti, la libertà di tutti ne è uscita rafforzata.

Smaltita la sbornia dell’onnipotenza a livello scientifico, tecnologico, economico si scopre l’importanza del limite inteso come responsabilità verso gli altri e fedeltà verso se stessi. Lo sviluppo indefinito è un pericolo per l’umanità, si bruciano risorse non facilmente riproducibili, si generano squilibri insostenibili. L’uomo scopre di essere limitato e per questo aperto agli altri uomini. L’incompletezza costituisce antidoto contro ogni pretesa di autosufficienza, ci spinge ad andare oltre, ci rende più liberi, liberi di entrare in comunione costruttiva con i nostri simili, custodi intelligenti della natura.

Mai come in questo momento si avverte un grande bisogno di etica nelle relazioni sociali, politiche, economiche. Ci si interroga in ordine alla “vita buona”, a come dare significato alla propria vita. Ci si interroga in ordine alla giustizia, a come non fare male agli altri, a come vivere in modo cooperativo e rispettoso. Ciò di cui il nostro Paese necessita disperatamente è un nuovo progetto di modernizzazione in grado di portarlo a ricomporre tecnica e senso, competitività e integrazione sociale, capitale e lavoro. Il bisogno di etica non nasce dalla paura ma dalla fiducia. L’uomo può essere amico dell’uomo. La fiducia si costruisce a partire dalla scala locale dando vita a reti di cooperazione, di solidarietà, di partecipazione nella ricerca di soluzioni condivise. Dare voce, dignità, visibilità agli esclusi ha costituito una componente non certo secondaria dell’impegno di Antonio Balletto, “uomo di fede, di libri, di carità”, presidente della Federazione solidarietà e lavoro e successivamente del Forum del terzo settore, attivo nel centro storico insieme a don Traverso.

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“Tra i tempi” è il titolo del libro che raccoglie gli articoli scritti da Antonio Balletto nell’ultimo arco della sua vita. Ebbene, oggi, tra i tempi della disperazione e i tempi dell’attesa si dipana la nostra esistenza. Disperazione ma anche attesa. Mi piace ricordare questi versi di Rostand: “E’ di notte che è bello attendere la luce, si deve costringere l’aurora a nascere credendovi”. Se crediamo che l’uomo è l’essere aperto all’infinito, non possiamo accettarlo come essere chiuso, senza via di uscita in rapporto alla storia.

Messo con le spalle al muro l’uomo deve dunque ricostruire se stesso, ma non può farlo da solo, bensì insieme agli altri uomini. “Insieme” è una parola chiave nel pensiero di Antonio Balletto. Scrive: “Sono tempi i nostri in cui occorre prendersi per mano e procedere insieme, aiutandoci l’un l’altro. Nelle giuste distinzioni, ma nell’unione” (La Repubblica, 6 luglio 2007).

“Tra l’umano e il divino” è il sottotitolo del libro che ho dianzi citato. Tra l’autonomia della storia e il suo compimento attraverso il Vangelo della carità si apre lo spazio per cinque grandi sfide con le quali siamo chiamati a confrontarci insieme a tutti gli uomini di buona volontà.

La sfida della ricerca. Ricerca di senso per non vivere in contraddizione con se stessi. Ricerca per non vivere di formule vuote, di riti tranquillizzanti. Ricerca di sé e degli altri nella vita di tutti i giorni.

La sfida del dialogo. Non come tolleranza comunicativa, ma come disponibilità a compromettere se stessi, a farsi coinvolgere dalle domande, dai dubbi e anche dalle ragioni e dalle verità dell’altro.

La sfida dell’accoglienza. Riconoscere il mondo e accoglierlo. Ma accogliere è anche lasciarsi accogliere per poter essere vicino agli altri. “Impegniamoci tutti con umiltà e pudore a cercare un briciolo di verità. Doniamocelo a vicenda e serviamola insieme”. (La Repubblica, 18 aprile 2008).

La sfida del servizio. L’uomo va servito in   quanto tale, senza secondi fini. Servire significa anche essere coscienza critica del proprio tempo, compagni di strada di chi gioca se stesso per un bene più grande.

L’ultima sfida è la conseguenza delle precedenti. E’ la sfida del rischio e Antonio Balletto ha saputo rischiare. Con questa avvertenza: il rischio cristiano non riposa su un calcolo probabilistico ma su una promessa e il mistero non è un muro di gomma contro cui battere la testa.

Il laico cristiano, l’intellettuale cristiano è colui che è capace di andare oltre in nome dell’uomo, creatura amata da Dio. L’oltre ha una dimensione scientifico-culturale e una dimensione escatologica. Le due dimensioni si compenetrano nello sforzo:

  • di non considerare mai definitive le sintesi di sapere già dato;
  • di rivolgere gli impegni della progettualità verso la razionalità da costruire piuttosto che verso quella già costruita;
  • di tenere aperto il rapporto tra i risultati conseguiti e le attese di risultati nuovi più ricchi in umanità;
  • di spostare in avanti le frontiere di una razionalità umana da rigenerare e da rendere più conforme ai disegni di Dio sull’uomo.

Agli uomini e alle donne con noi itineranti sulle strade del mondo e dai quali – come recita la lettera a Diogneto – “non ci distinguiamo né per territorio né per lingua né per il modo di vestire” vogliamo offrire, proprio per il meraviglioso paradosso della nostra società spirituale, germi di riconciliazione, giustizia, speranza.

Credo possa essere questo il senso profondo della Pasqua ormai prossima. E allora, a conclusione, scambiamoci gli auguri con le parole scritte da Antonio Balletto in occasione della Pasqua del 2008. “Così non più solo dai cieli aperti, ma anche dalle viscere della terra viene a noi il messaggio della Pasqua: ci giunge la forza della liberazione, il respiro della speranza; ci viene donata la gioia esultante di essere liberi e non più schiavi.”

 

Lorenzo Caselli

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Motivazione del premio

Il Premio Antonio Balletto 2018 viene conferito al Professore Lorenzo Caselli che nella sua lunga attività di economista e docente ha sempre indicato alla scienza da lui professata con unanimemente riconosciuta autorevolezza la priorità dei più nobili valori morali e sociali e l’obiettivo dell’equità e del bene comune.

Genova, 15 marzo 2018

Il Presidente Edgardo Loewy

Il Presidente del Comitato Scientifico Gerardo Cunico

 

 

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One Comment

  1. Ricordo la collaborazione ,generosamente attiva , del prof.Caselli , nella Cisl nazionale, tra gli anni 70 ed 80 del secolo scorso ; e sono lieto di incrociare ancora, sia pure casualmente, il suo pensiero … stimolante , nel solco della dottrina sociale cristiano-democratica.

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