ll lavoro per noi cattolici è più importante del diritto di proprietà

| 0 comments

Domenico Rosatiin “l’Unità” del 25 marzo spiega quali siano “le radici del disagio che si prova di fronte a soluzioni ed argomenti che, con tutte le giustificazioni tecnologiche del caso, hanno per effetto un indebolimento della condizione dei prestatori d’opera”, e ricorda che “l’esperienza cattolico-sociale e poi cattolico-democratica persegue l’obiettivo di un ordinamento sociale in cui – accanto al diritto di proprietà – sia garantita la dignità del lavoratore”.

 

Anche da parte cattolica non sono mancate le critiche al provvedimento governativo sul mercato del lavoro. Due i punti messi a fuoco. Il primo è un interrogativo posto da un vescovo, mons. Giancarlo Bregantini, particolarmente credibile perché in vita sua ha fatto l’operaio: «Il lavoratore – si è chiesto – è persona o merce?». Il secondo è l’auspicio del portavoce ufficiale della Cei per «una soluzione la più ampiamente condivisa». Una combinazione in cui tutto si può leggere meno che una ratifica (o un plauso) per l’accaduto. Che dunque andrà riesaminato su entrambi i versanti: quello dei valori e quello del consenso. Nel pensiero cattolico consolidato, da Leone XIII in poi passando per Toniolo e La Pira, non è mai stata accettata la tesi per cui «il mercato non conosce bisogni ma domande» e quindi «è il servitore della domanda che c’è» (Einaudi). Ci si è semmai accostati a quelle correnti liberali che prefiguravano la coesistenza del mercato con «un meccanismo separato», atto a realizzare una distribuzione dei mezzi d’acquisto «più ugualitaria, con minore miseria in basso e minore dovizia in alto» (idem). L’esperienza cattolico-sociale e poi cattolico-democratica persegue l’obiettivo di un ordinamento sociale in cui – accanto al diritto di proprietà – sia garantita la dignità del lavoratore unitamente ai diritti del lavoro e «soprattutto il diritto al lavoro, che è un corollario del diritto alla vita. Il quale èsuperiore allo stesso diritto di proprietà» (mons. Civardi).

Con questa attrezzatura, dall’800 in qua, i movimenti cristiani in varie forme hanno alimentato una forte tendenza riformista, volta a correggere le ingiuste strutture del capitalismo, in ciò convergendo dialetticamente con correnti di altra ispirazione, compresa quella marxista, rifiutata nel finalismo e nei metodi ma non nella diagnosi che denunciava la condizione «poco men che servile» del proletariato industriale.

Ora, se è doveroso constatare, come ha fatto Benedetto XVI in viaggio verso Messico e Cuba, che il marxismo come soluzione politica ha conosciuto il proprio tramonto storico, non si può certamente ritenere che ne siano archiviati i presupposti analitici di menomazione di umanità su cui si fondarono quelle ed altre teorie e proposte di riscatto delle «classi laboriose».

Nei giorni scorsi è stato eletto a presiedere l’organismo di coordinamento dell’episcopato europeo (Comece) il vescovo di Monaco che si chiama Marx (Reinhart), il quale è non è certo un Marx cattolico ma è noto come autore di un libro che, giocando sul nome, ha intitolato «Il Capitale», in cui, indirizzandosi direttamente al «caro omonimo»,illustra lo sviluppo economico attuale e riconosce «con parecchia inquietudine molto di ciò che lei, signor Marx, ha scritto». Oggi come allora, dunque, due sono le direttrici obbligate d’intervento: l’una volta a umanizzare l’economia includendo nel suo circuito l’impegno per il pieno impiego, l’altra destinata a sollevare lo status del lavoratore affrancandolo dall’arbitrio delle controparti. Il principio della giusta causa nei licenziamenti nell’industria (ma anche, antiche battaglie, nelle disdette agrarie) è figlio di questa cultura e si affermò a seguito di aspre lotte sindacali e sociali. È nella rivisitazione di tali precedenti che si trovano le radici del disagio che si prova di fronte a soluzioni ed argomenti che, con tutte le giustificazioni… tecnologiche del caso, hanno per effetto un indebolimento della condizione dei prestatori d’opera. Se poi è vero che la situazione è mutata rispetto ai tempi in cui fu varato lo Statuto dei lavoratori, la soluzione (che sia riformista) non sta nell’adeguarsi allo stato delle cose ma nell’intervenire per impedire che nei fatti la libertà e l’eguaglianza dei cittadini siano menomate. L’appello alla convergenza per una soluzione condivisa è il naturale corollario di quel che precede: un tecnico è bravo anche quando ripara un guasto.

Lascia un commento

Required fields are marked *.