L’importanza dei diritti umani

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di Sandro Antoniazzi

l’autore propone una riflessione a partire da diverse prospettive, a 75 anni dalla approvazione della Dichiarazione dei Diritti Umani.

1.Il rilievo dei diritti umani oggi.

I diritti umani hanno assunto nel mondo odierno un’influenza enorme e primaria non solo nel diritto internazionale e interno di molti Stati, ma anche nella vita dei popoli e delle persone.

I diritti sono nati storicamente, in forme e occasioni diverse, per affermare la difesa delle persone di fronte ai poteri dello Stato e anche delle religioni (che spesso erano un tutt’uno con lo Stato).

L’evoluzione del movimento dei diritti, che ha conosciuto due grandi momenti, quello dell’Indipendenza americana del 1776 e quello della Rivoluzione francese del 1789, si è espresso in modo più compiuto nella Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948.

Questa Dichiarazione rappresenta un’indubbia svolta storica, perché con essa si esprime una condivisione di valori comuni da parte dell’umanità.

Decisiva a riguardo è stata la presa di coscienza, largamente diffusa nel dopoguerra, della necessità che non si ripetessero gli orrori appena attraversati.

Michael Ignatieff si spinge a sostenere che non ci sarebbe stata la Dichiarazione Universale, se non ci fosse stato l’Olocausto.

Il discorso dei diritti era però nato molto prima; in Europa, soprattutto con la Rivoluzione francese.

Quella del 1789 si presenta sostanzialmente come una Dichiarazione “liberale”, opera della classe borghese che stava affermandosi: riguarda solo gli uomini maschi e tutela in particolare la proprietà e la sicurezza.

Ma la Dichiarazione dell’89 stabilisce anche un principio destinato a scardinare il sistema tradizionale: i diritti proposti sono propri dell’individuo e non discendono da norme superiori.

La Dichiarazione Universale del 1948 esprime in forma più compiuta l’affermazione del diritto della persona e della sua libertà (Art.1- “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”).

Il principio fondamentale che sta alla base della Dichiarazione è dunque il riconoscimento dell’individuo–persona (E’ utile richiamare che mentre nella traduzione italiana si usa il termine “individuo”, in quella francese si usa “personne”. La parola persona è carica di significati filosofici, il termine individuo si presenta neutro).

L’esigenza assoluta di ogni essere umano di essere riconosciuto come libero, dunque la libertà, costituisce il primo diritto, da cui discendono gli altri.

Su questa concezione influisce la storia dei diritti come difesa dell’individuo, ma anche l’influenza della concezione democratica, in particolare americana, che si basa sull’ “individuo democratico”.

In questa affermazione dell’individuo sta in grande misura il cambiamento dell’epoca moderna.

Nel tempo passato, almeno fino al Settecento, tutto era visto in funzione della collettività, della società, vista come una comunità di cui il soggetto era membro soggetto alle sue regole; ora invece si vede tutto dal punto di vista dell’individuo, che la società deve rispettare e di cui deve riconoscere la libertà.

Il discorso morale che dai tempi remoti si basava sugli obblighi, insegnando ciò che era male e che si doveva evitare, ora conosce un vero e proprio ribaltamento: non si parla più di doveri, ma di diritti.

Analogamente il diritto internazionale che riguardava solo i rapporti tra Stati, ora interessa anche i popoli e le persone.

E il riferimento non è più a soggetti astratti come nella morale tradizionale, ma a un soggetto concreto coi suoi problemi, desideri, bisogni; da qui, come è facile comprendere, deriva una proliferazione di diritti, in relazione all’infinità e molteplicità dei bisogni e delle aspettative.

La Dichiarazione Universale diventa così uno spartiacque verso una nuova prospettiva.

Si è prodotto un fatto nuovo nella storia, si è formato un nuovo “codice”, un linguaggio universale; la Dichiarazione si presenta come un documento a-storico, perché vuole durare nel tempo; rappresenta una pietra miliare che indica un cammino, dei compiti per l’avvenire, propone “un ideale comune da raggiungere da tutti i popoli e tutte le Nazioni” (Preambolo della Dichiarazione).

Naturalmente come molteplici sono i diritti, altrettanto lo sono i problemi che sorgono, di interpretazione, di adattamento, di attuazione.

In ogni caso molto cammino, nel frattempo, è stato fatto: l’ONU ha promosso Convenzioni significative sui diritti civili e politici e su quelli economici e sociali e successivamente diversi altri Patti relativi ai diritti delle donne, dei migranti, dei popoli, dei fanciulli.

Inoltre, molte sono le Costituzioni nazionali che fanno riferimento o contengono i Diritti Umani e   si sono inoltre prodotte Convenzioni regionali come la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (1950), quella americana (1969), cui non partecipano USA e Canada, la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli (1981). Il rispetto fondamentale della dignità e della libertà della persona ha registrato in dubbiamente notevoli passi in avanti.

 

2.Fondamenti e significato dei diritti umani.

Nella Dichiarazione Universale è presente un richiamo al diritto naturale, che significa riconoscere ai diritti umani un fondamento nella natura dell’uomo.

Si tratta sostanzialmente di un’eredità delle storiche dichiarazioni che l’anno preceduta. Infatti, la Dichiarazione d’Indipendenza americana (1776) afferma “Noi teniamo per evidenti per sé stesse le verità seguenti: tutti gli uomini sono creati uguali, essi sono stati dotati dal Creatore di certi diritti inalienabili; fra questi diritti si trovano la vita, la libertà e la ricerca della felicità”.

E la Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789) recita in modo analogo: “I rappresentanti del popolo francese, riuniti in Assemblea, hanno deciso d’esporre, in una dichiarazione solenne, i Diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo. In conseguenza, l’Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Essere Supremo, i diritti seguenti: Art.1 – Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti…… Art.2 -…Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescindibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza, la resistenza all’oppressione”

La Dichiarazione Universale del 1948, ereditando queste concezioni, ne fa un uso decisamente più sobrio: afferma principi uguali o analoghi (come l’Art.1- “Tutti gli uomini nascono liberi e uguali in dignità e diritti”), ma non si richiama al Creatore, non afferma che si tratta di diritti naturali e non parla di diritti sacri o di verità evidenti.

Non si intende proclamare delle verità, ma solo di definire dei principi condivisi.

Come ebbe a dichiarare Jacques Maritain, in occasione della promulgazione della Carta, non si tratta di un accordo tra dottrine diverse, m piuttosto di un’intesa “pratica”; pur partendo da posizioni molto differenti è stato possibile trovare un’intesa su un insieme di proposizioni: così è nata la Dichiarazione.

Se si vuole ricercare una motivazione, sufficientemente concorde, per spiegare l’accordo, questa può essere individuata nella coscienza che occorre difendere i più deboli, i più vulnerabili, chi è senza potere e ha più bisogno di protezione.

Si può rintracciare in questo una base morale comune che deriva da una propensione verso chi soffre, nel condividere la sofferenza di altri, nel sentirsi uguali agli altri.

Si potrebbe dire che i diritti umani rappresentano un richiamo a estendere i sentimenti che avvertiamo per il nostro prossimo (parenti, amici, compagni) anche verso i lontani, potenzialmente all’intera umanità.

Così il filosofo Jurgen Habermas propone che l’inclusione dell’altro diventi un tratto di una morale del pari rispetto.

In qualche misura i diritti umani sono delle norme morali, in quanto non sono diritti in senso giuridico stretto; sono dei principi che orientano le norme giuridiche (il diritto non è fatto solo di norme, ma anche di principi generali).

Sono sostanzialmente richieste, esigenze morali, che richiedono di essere riconosciute, che sollecitano attuazioni giuridiche future.

Molto discusso e irrisolto è invece il problema del fondamento teorico, dottrinale.

Per molti non c’è bisogno di questo fondamento, essendo sufficiente il consenso riconosciuto (è la posizione di Norberto Bobbio).

Oggi appare sostanzialmente abbandonato il giusnaturalismo, dottrina che ritiene che i diritti provengano dalla natura; rimangono pertanto in campo due grandi correnti: la tesi storicista-umana che sostiene che i diritti sono espressione della coscienza comune che man mano gli uomini hanno maturato nel corso della storia e i sostenitori della legge naturale (i quali pensano che esista nell’uomo una coscienza espressione della legge eterna. Secondo l’espressione di S. Tommaso: “Participatio legis aeternae in rationali creatura”).

Dietro quest’ultima posizione sta la convinzione di un fondamento etico dei diritti umani, come di tutto il diritto.

Il diritto non può spiegarsi da solo, dietro ogni norma c’è una norma più generale di riferimento e la norma ultima e fondamentale non può non essere una norma morale, di valore.

 

3.I problemi: universalizzazione, proliferazione, applicazione.

Se i diritti umani raccolgono un consenso molto esteso, molteplici sono però i problemi che incontrano nella loro realizzazione.

Uno dei maggiori problemi incontrati è quello della loro universalizzazione.

Da molte parti è stata avanzata la critica relativa al loro carattere occidentale; non era questa l’intenzione dei promotori, ma la concreta situazione storica ha comunque favorito una determinata influenza. Un grande peso l’hanno avuto le potenze vincitrici della guerra; inoltre, gli Stati dell’ONU nel 1948 erano solo 58 contro i 193 attuali. E oggi abbiamo più coscienza che nel mondo sono presenti 6.500 lingue e 7.500 etnie.

Così in Africa, in Asia, in America Latina, nei paesi arabi si sono alzate voci non contro i diritti umani, ma per affermare che un’attuazione di questi principi dovrebbe maggiormente tener conto delle differenze culturali.

A Bangkok (1967) è stato sottoscritto un documento da vari paesi asiatici a sostengo della differenza della cultura asiatica – più comunitaria e meno individualistica – e della necessità di avere più autonomia nel valutare le priorità da attribuire tra le esigenze dello sviluppo e quelle dei diritti.

Analogamente gli africani (Dichiarazione di Banjul, 1981), nel sottoscrivere l’adesione ai diritti umani, sostengono una legittimazione propria e una specificazione più adeguata.

Più difficile la posizione islamica che ritiene che i diritti umani devono inserirsi nella loro religione e non contrastare la sharia.

L’esigenza di adattamenti specifici appare evidente, data la grande varietà di situazioni, ma non si deve perdere in questo modo una base comune fondamentale.

Un’altra grande difficoltà è connessa alla sovranità degli Stati e dai loro diversi atteggiamenti nei confronti dei diritti.

Un primo problema è dato dalla cittadinanza: all’individuo cittadino sono riconosciuti dei diritti che sono invece negati a chi non possiede la cittadinanza; è il caso, oggi attualissimo, degli immigrati, legali e illegali, privi di una cittadinanza piena.

Esistono tante proposte a riguardo per migliorare la situazione, ma ogni Stato ha paura a “liberalizzare” questi diritti: tema di non poter fronteggiare un’ondata di richieste e di realizzare l’inclusione senza spaccature coi cittadini presenti.

Gli Stati poi spesso mettono al primo posto le loro esigenze rispetto ai diritti, come è avvenuto nel caso del terrorismo; Stati tradizionalmente democratici hanno tranquillamente calpestato i diritti fondamentali, nell’azione di contrasto nei confronti dei terroristi, non rispettando nei loro confronti neppure i diritti più elementari (vedi Guantanamo).

Ancor peggio è l’uso strumentale dei diritti a favore di motivazioni politiche di parte: il caso più grave è quello della “ingerenza umanitaria”. Si tradiscono i diritti per difendere dei diritti!  (una vera idolatria, secondo Danilo Zolo).

Più in generale è a discrezione degli Stati – che sono sovrani – applicare i diritti a casa propria.

Le maggiori potenze a riguarda sono le più restie a riconoscere ai diritti un carattere di obbligo (tipico è il comportamento degli Stati Uniti che non firmano nessuna Convenzione Internazionale).

A riguardo va richiamata una nota positiva, costituita dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, Corte realmente giurisdizionale e che in un anno è giunta a emettere 45.000 sentenze. A volte però ci si limita alla “equa soddisfazione”, cioè un risarcimento al soggetto interessato, senza imporre allo Stato una modifica delle proprie leggi e norme.

Un altro problema, sollevato da molti, è quello dell’ampia proliferazione dei diritti stessi, che rischia di provocarne l’irrilevanza. In proposito si propongono rimedi, sostanzialmente di contenimento e restringimento ai soli diritti fondamentali (quelli negativi, di libertà, che renderebbero i diritti ancora più occidentali).

La proliferazione è, per così dire, un dato naturale; poiché i diritti nascono dai problemi e i problemi si manifestano in continuazione, sono di fatto un carattere della nostra società, della civiltà attuale.

Questa condizione di continuo allargamento li rende poco “rivendicabili”, ma ciò non significa che non siano diritti: sono diritti anche se non azionabili, con la speranza che lo possano diventare.

Esistono poi dissensi e controversie su specifici diritti: ad esempio sulle migrazioni, sulla mutilazione degli organi femminili, sui diversi culti, sulla scienza; per questi casi non c’è altra via di soluzione se non quella del dialogo, del compromesso, in attesa che possano progredire.

Tipico è il tema delle migrazioni: l’art.13 riconosce a ogni individuo la possibilità di lasciare il proprio paese. Ma non esiste poi il corrispondente diritto ad essere accolto in un altro paese.

Infine, qualcuno si chiede se, accanto ai diritti, esistono anche i doveri; in realtà esistono, ma spesso riguardano una pluralità di soggetti, per i quali diventa difficile l’imputazione.

Nonostante questi problemi e i dissensi connessi, i diritti sono diventati la grammatica universale con cui vengono affrontati la maggior parte dei problemi tanto a livello nazionale che internazionale e sono dunque destinati ad esercitare ancora un ruolo fondamentale nel presente e in futuro.

 

4.Diritti umani e legge naturale.

La discussione sui fondamenti dei diritti umani è rimasta aperta e, come abbiamo visto, vede confrontarsi sostanzialmente due posizioni: quella dell’origine storica e quella che ritiene che esista una legge naturale a monte che li ispira.

Una volta i diritti naturali si fondavano sulla religione e sulla razionalità, ma ora il fattore religioso è venuto meno.

D’altra parte, l’elemento religioso non può essere il fondamento dei diritti umani, perché non è universale, riguardando solo i credenti e di una data religione.

Si cerca così un fondamento morale sia perché nel definire la Dichiarazione si è trovata una convergenza su principi basilari come quello del rispetto della persona umana (“L’obbligo verso l’essere umano è incondizionato” S. Weil – “La persona umana possiede dei diritti per il fatto stesso che è una persona, in tutto padrone di sé stesso e dei suoi atti” J. Maritain), sia perché in mancanza di un principio superiore si corre il rischio che valga la legge del più forte.

Anche Norberto Bobbio, che si è sempre dichiarato contrario a definire un fondamento, ha parlato di “una visione moderna del diritto, che vede insieme una moralità giustificata, che diventa legalizzata” (in altre parole una moralità che trovi conferma, possibilmente giuridica).

Una risposta all’esigenza di individuare una base morale dei diritti è data dalla dottrina della legge naturale, che ha una lunga storia, ma che è sta meglio elaborata e definita da S. Tommaso.

Secondo Maritain, il massimo intellettuale cattolico studioso della legge naturale in epoca moderna, la legge naturale può essere conosciuta, ma non razionalmente, bensì per inclinazione, per connaturalità; altrove afferma che gli uomini possono comprendere la legge naturale per irradiazione.

Ma come può una legge che si presenta come proveniente dalla legge eterna, rispondere alla continua evoluzione dei tempi e delle istituzioni?

La risposta maritainiana è duplice: innanzitutto la legge naturale ha sia una dimensione oggettiva sia una dimensione che tiene conto del variare storico, in secondo luogo la conoscenza della legge naturale è progressiva, non si presenta subito con chiarezza, ma può essere man mano compresa meglio.

Maritain fa l’esempio dei patriarchi biblici che spesso non rispettano la legge naturale, ad esempio nel caso della poligamia (le molte mogli di Davide e le mille donne di Salomone); si tratterebbe di una conoscenza ancora “crepuscolare” del diritto naturale.

In sostanza se risulta condivisibile la ricerca e la definizione di un principio morale, che può essere riconosciuto nella legge naturale, non sembra così chiara ed evidente la sua conoscenza.

Anche Maritain, di fronte alle difficoltà poste dai problemi di conoscenza della legge naturale, parlava di “schemi dinamici”, non di posizioni definite e assolute.

La chiesa da sempre rivendica l’autorità di essere la vera interprete della legge naturale, ma se la legge naturale vale per tutti gli uomini, ne deriva per conseguenza logica che allora tutti gli uomini hanno il potere e il dovere di valutarla. Secondo E. Chiavacci, un noto moralista “La legge naturale non è innanzitutto una somma di formulazioni…, ma l’uomo stesso che vive nella comunità e si confronta con la legge scritta nel suo cuore”.

Questa constatazione è suffragata da un’ interpretazione del pensiero di S. Tommaso secondo cui la visione di legge naturale non si riferisce solo all’ordine oggettivo, ma anche a quello soggettivo, cioè come potere delle persone di ragione e di discernimento. “La capacità dell’individuo di dirigere sé stesso è quello che distintamente costituisce la persona a immagine di Dio” (Potter J., Concilium n.3/2010).

In altre parole “la legge morale naturale non è nel senso primo e proprio in generale una legge formulata…la definiamo meglio come esigenza del dovere all’autorealizzazione responsabile” (F. Bòckle).

E poi c’è da considerare che la componente storica costituisce una parte essenziale dei diritti (basti pensare ai problemi odierni posti dalla biologia e dalla scienza).

Per questo non bisogna pensare il diritto naturale come qualcosa che viene prima – cioè il senso del diritto – per poi considerare il diritto positivo come una pura espressione attuativa.

E’ preferibile considerare i diritti positivi e vedere al loro interno il diritto naturale, l’aspetto morale; il processo di positivizzazione dei diritti naturali porta a questa situazione; gli aspetti morali sono ormai interni ai diritti.

La legge morale è in crisi perché si fondava sulla religione e ormai la morale attuale non è più quella cristiana.

In attesa che si avveri il sogno di Maritain secondo cui “Quando il Vangelo sarà penetrato fino in fondo alla sostanza umana allora il diritto naturale apparirà nel suo fiore e nella sua perfezione”, i compiti attuali di tutti gli uomini è la ricerca di un umanesimo comune o, in altre parole, una base morale condivisa dei diritti umani.

Postilla. La posizione della Chiesa.

All’epoca della Rivoluzione francese la Chiesa assunse una posizione decisamente contraria alla dichiarazione dei diritti dell’uomo; secondo il Papa, essa era contraria sia alla fede che alla ragione.

E’ evidente il motivo del contrasto – al di là degli aspetti attinenti al potere e al ruolo dominante che aveva la religione, destinati a ridursi drasticamente –; la dichiarazione segna l’avvento dello Stato laico che nel tempo porterà a una società sempre più secolarizzata, che non ha bisogno del riferimento a Dio.

La posizione della chiesa continuerà a fare riferimento alla legge naturale: Leone XIII, che aveva riproposto con forza la dottrina tomista come la filosofia “perenne” contro le idee liberali del tempo, nella famosa enciclica “Rerum Novarum” con cui inaugurava la dottrina sociale della chiesa, farà ampio ricorso del diritto naturale per rivolgersi alla società (sono naturali il diritto al lavoro, il diritto di associazione, il diritto di proprietà, il diritto dell’intervento dello Stato).

E’ solo con Giovanni XXIII che si ha una decisa apertura a favore dei diritti umani, successivamente confermata dai Papi posteriori.

Ma viene sempre richiamata l’esistenza e la funzione della legge naturale: così Paolo VI nella enciclica “Humanae vitae” ricorda che spetta alla chiesa interpretare la legge morale naturale.

Molto fermo è in proposito il richiamo di Papa Giovanni Paolo II che da una parte mette in luce la carenza di fondamento etico dei diritti umani e dall’altra riafferma solennemente nella “Veritatis splendor” che la legge naturale è immutabile e ha una validità permanente.

Così il nodo del rapporto tra legge naturale e diritti umani rimane in un certo senso irrisolto.

Non è certamente in discussione, almeno per i credenti, l’esistenza di principi morali che sovrastano le leggi umane; il problema che rimane aperto è invece il rapporto che si instaura tra questi principi e le norme umane.

La presenza di una società secolarizzata induce a riflettere sulla difficoltà di proporre delle verità di fede a un mondo indifferente e d’altra parte esiste ormai un’autonomia e una libertà delle persone che sono il vero soggetto protagonista dei diritti umani. (Si può ricordare in proposito una massima biblica che dice “I cieli sono i cieli del Signore, ma la terra Dio l’ha data agli uomini”).

Per questo oggi, rispetto a interventi provenienti dall’ autorità, è piuttosto l’umile presenza cristiana nella vita degli uomini che può accompagnarli e a volte magari illuminarli verso il bene.

La chiesa oggi ha una funzione che può apparire più modesta rispetto a ieri, priva di potenza e di mezzi, ma forse per questo più importante e più essenziale, più vicina alla vita reale delle persone.

 

5.Etica e diritti umani.

I diritti umani nascono dall’esperienza delle persone: dalla constatazione dell’ingiustizia, di un torto, di una male, sorge il desiderio di superarli e poi la consapevolezza che porta in conclusione a formulare dei diritti.

Per questo i diritti umani sono infiniti, come sono infiniti i problemi e le esperienze della vita delle persone.

I diritti naturali di una volta erano limitati, pochi ed essenziali, ma i diritti umani di oggi riguardano una varietà di espressioni degli esseri umani.

Ricordava bene Armatya Sen , a proposito del pluralismo di espressioni e di identità, della persona attuale, che essa “può essere, senza la minima contraddizione, di cittadinanza americana, di origine caraibica, con ascendenze africane, cristiana, progressista, donna, vegetariana, maratoneta, storica, insegnante, romanziera, femminista, eterosessuale, sostenitrice dei diritti dei gay e delle lesbiche, amante del teatro, militante ambientalista, appassionata di tennis, musicista jazz e profondamente convinta che esistano esseri intelligenti nello spazio con cui possiamo cercare di collaborare” (Ognuna di queste collettività di appartenenza le conferisce una determinata identità che non può essere considerata la sua unica identità).

Ciò che caratterizza i diritti è che essi hanno origine non da principi astratti, ma dalla persona concreta, che presenta identità e aspetti molteplici, e congiuntamente affermano l’autonomia personale (l’essere umano padrone di sé stesso, in grado di giudicare da sé), premessa dell’autonomia morale (capacità di scegliere i propri fini).

Da queste premesse nascono sempre nuovi diritti, che contengono già anche il loro valore, la propria dimensione morale.

L’avvento dei diritti umani inverta sostanzialmente la tradizione: non si parte da principi, già dati in precedenza, per applicarli al caso singolo, ma invece dai diritti, dall’esperienza si trae il senso per l’essere umano.

Ciò porta a un cambiamento radicale di metodo che interpella le etiche già esistenti; nei diritti si trova o si può rintracciare una continua ricerca del bene; la vita morale tende così ad essere una ricerca del bene, senza partire da regole già presupposte.

Naturalmente l’etica dei diritti non è un’etica completa; ha bisogno di integrarsi con l’etica più classica, ma indubbiamente porta a un’innovazione profonda che non può essere trascurata.

Se si è trovato un accordo di fatto così importante per realizzare la Dichiarazione Universale, l’impegno non deve fermarsi qui: occorre proseguire per trovare maggiore concordia e consonanza sui valori morali fondamentali che possono sostenerla e rafforzarla, operando insieme per un’umanità più degna degli esseri umani.

 

BIBLIOGRAFIA

AA.VV., La legge naturale, Bologna, Ed. Dehoniane, 1970
Bobbio N., L’età dei diritti, Torino, Einaudi, 1990
Concilium, n.3/2010 “Natura umana e legge naturale”
Maritain J., I diritti dell’uomo e la legge naturale, Milano, Vita e Pensiero, 1991
Menozzi D., Chiesa e diritti umani, Bologna, Il Mulino, 2012
Pungiglione F., I diritti umani nel dibattito etico contemporaneo, Carocci, 2019
Viola F., Diritti dell’uomo, diritto naturale, etica contemporanea, Torino, Giappichelli, 1989
Viola F., Etica e metaetica dei diritti umani, Torino, Giappichelli, 2000

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