Le democrazie costituzionali

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di Stefano Ceccanti

1. La convergenza delle definizioni laica e conciliare

Si ha una ‘democrazia costituzionale’ dove sono rispettate le condizioni poste dall’articolo 16 della Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, secondo la quale non c’è una vera Costituzione, ossia un’effettiva libertà, se non vi sono garanzia dei diritti e separazione dei poteri.
Sostanzialmente coincidente con queta definizione laica è quella che ne dà la Gaudium et Spes affermando un’opzione preferenziale per la democrazia, superando la precedente indifferenza per quelle che la Chiesa chiama forme di governo e che in diritto costituzionale si definiscono forme di Stato:
“È poi da lodarsi il modo di agire di quelle nazioni nelle quali la maggioranza dei cittadini è fatta partecipe degli affari pubblici, in un’autentica libertà.” (31 b). Si cerca in altri termini un governo efficiente e partecipativo della cosa pubblica, ma pur sempre un potere limitato, che rispetti quella “immunità dalla coercizione esterna” su cui si fonda la libertà religiosa e l’intero edificio delle libertà, secondo quel testo fortemente costituzionalistico che è la Dignitatis Humanae, in particolare al paragrafo 2 b.

2. Un trend importante, anche causato dal rinnovamento conciliare, ma non irreversibile

Abbiamo vissuto dal 25 aprile del 1974, dalla Rivoluzione dei garofani in Portogallo, fino alle rivoluzioni del Centro e dell’Est Europa nel 1989 e alla fine delle dittature del Cono Sud, una fase importante di espansione delle democrazie, che ha fatto sperare molti in un trend irreversibile. Un trend in cui, come segnala Samuel Huntington nel suo volume dulla Terza Ondata, ha pesato in modo decisivo l’impulso del Concilio Vaticano II. I documenti conciliari vanno colti per un verso come punto di arrivo di alcune rilevanti esperienze storiche: quelle europee continentali delle democrazie cristiane e quelle anglosassoni dei credenti impegnati nel Labour Party e dei democratici americani con la Presidenza Kennedy; ma per altro verso anche come impulso decisivo ad abbattere i regimi autoritari di Portogallo e Spagna in precedenza sostenuti anche dalla Chiesa nonché le sedicenti democrazie popolari dell’Est Europa. Poggiano su De Gasperi, Schuman, Adenauer, Kennedy, e hanno contributo alla formazione di de Lourdes Pintasilgo, Ruiz-Gimenez, Mazowiecky, testimoni chiave delle transizioni.
Così, però, alla lunga, non è stato. Il trend sembra bloccato.
A oggi, facendo una fotografia, solo il 20% della popolazione mondiale vive in paesi stabilmente democratici, che rientrano cioè in quelle esigenti definizioni prima presentate.
Ma, soprattutto, al di là della fotografia quantitativa, sono apparse in molti luoghi rilevanti inversioni di tendenza, inversioni subdole. Nessuno ha riproposto le modalità tradizionali delle esperienze fallite dei cosiddetti stati autoritari o degli stati cosiddetti socialisti pre-1989, ma sono emerse altre scorciatoie.

3. Autocrazie elettorali e democrazie illiberali

A parte il caso della Cina, che ha mantenuto il monopolio politico del Partito comunista e la repressione di minoranze e di confessioni religiose nonostante il tentativo di dialogo con la Santa Sede, coniugandolo con un’economia di mercato fortemente controllata dallo Stato, in vari altri paesi le transizioni hanno dato vita a regimi ibridi, con un minimo grado di pluralismo elettorale che però non intacca la logica autocratica. Si è pertanto parlato di autocrazie elettorali. Autocrazie che, peraltro, tendono poi a scaricare i conflitti verso l’esterno, anche col ritorno all’uso della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Mentre persiste e si espande un colonialismo economico, in particolare ai danni dell’Africa, e tutti fanno fatica a rendere effettivo il diritto all’ambiente nel contesto delle attuali sfide climatiche ed energetiche.
Vi è il tema del preoccupante fascino ambiguo di Cina e Russia sui paesi emergenti, in particolare in Africa e Medio Oriente. Pechino e Mosca trovano porte aperte proprio perché non pongono problemi né di diritti umani né di democrazia, mentre USA e Ue, quando lo fanno, vengono accusati di ingerenza nella sovranità altrui o addirittura di colonialismo, di imposizione autoritaria di un modello che sarebbe solo occidentale e non universale, nonostante che esso sia fatto proprio dalla Dichiarazione Onu a cui collaborò in modo decisivo Jacques Maritain.

In altri casi, anche in Pesi non troppo distanti da noi, sono stati gli stessi governanti a rivendicare la definizione di democrazie illiberali, di paesi dove si vota, ma dove prima e dopo il voto è messa in discussione l’autonomia del potere giudiziario, l’indipendenza delle corti costituzionali, il pluralismo dei media, delle associazioni e l’autonomia delle amministrazioni locali.

4. Quali obiettivi porsi nella distinzione dei ruoli per essere parte della soluzione e non del problema

In alcuni casi anche uomini di Chiesa e personalità politiche cristiane non sembrano cogliere queste gravi contraddizioni rispetto all’opzione preferenziale per la democrazia sancita dal Vaticano II. Non c’è sostegno a valori o concessione verso le comunità religiose che valga la pena di scambiare col consenso a regimi che negano la dignità e la libertà delle persone.
In altri casi ancora vediamo con preoccupazione un susseguirsi di cadute di governanti per fenomeni di corruzione e un’instabilità costante.
Di fronte a questi fenomeni quali obiettivi può proporsi?
In primo luogo diffondere informazioni e denunciare le violazioni dei diritti. Purtroppo la disinformazione è un grave male di questa epoca ed occorre contribuire alla diffusione di un’informazione corretta e di una vera cultura democratica.
In secondo luogo affrontare le cause politiche, economiche, sociali, ecclesiali, che portano consenso a queste linee regressive. Qui non si può nascondere che in molti casi siamo di fronte alle promesse non mantenute della democrazia, che creano sfiducia e scetticismo nei popoli di fronte al permanere di ingiustizie e diseguaglianze che le transizioni democratiche non sembrano aver ridotto, anzi, in molti casi hanno aumentato. L’enciclica di papa Francesco Laudato si’ ha colto pienamente le contraddizioni insite in democrazie che sembrano spesso essere strumenti di un capitalismo spietato. Soltanto se la democrazia sarà capace di essere anche portatrice di giustizia ed equità potrà essere difesa. Insistere sui principi della Laudato si’ può rappresentare un contributo prezioso.
In terzo luogo fare proposte e stimolare impegni anche personali diretti per diffondere esperienze positive, conoscenze, nuove pratiche di partecipazione e di democrazia, a partire dalla rilettura dei documenti conciliari, in primis la costituzione Gaudium et spes e la dichiarazione Dignitatis humanae, e dei testi giuridici che ci hanno fatto progredire nella tutela dei diritti, dalla Dichiarazione Onu del 1948 alla Convenzione europea del 1950, fino alle Costituzioni delle democrazie stabilizzate.
In altri termini si tratta di capire se nella Chiesa, nella società civile e nelle istituzioni vogliamo essere parte del problema o parte della soluzione.
Da questo punto di vista credo non sia stata colta fin qui in tutta la sua importanza l’impostazione della lettera del cardinale Ladaria al Presidente della Conferenza episcopale nordamericana del 7 maggio 2021, che invita ad un uso corretto, non asimmetrico, non astorico, non ideologico del richiamo a principi e valori nelle democrazie pluralistiche. Un approccio ideologico, che ignorasse la necessità di mediazioni tra valori e realtà, di contemperare diversi principi in una medesima decisione e di tener conto anche dello strutturale pluralismo delle democrazie costituzionali, finirebbe col comportare una sorta di ‘non expedit’ generalizzato nella vita politica. Un approccio asimmetrico che selezionasse a priori valori negoziabili e non negoziabili porterebbe ad alleanze ambigue con forze spesso solo nominalmente rispettose del fatto religioso. “Sarebbe fuorviante” scrive il cardinale, allora in quanto prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede “se si desse l’impressione che aborto e eutanasia da soli costituiscano le uniche gravi questioni della dottrina morale e sociale cattolica”.
Infine una preoccupazione, direi soprattutto italiana: non bisogna mai confondere le responsabilità istituzionali della Santa Sede e quelle peculiari dei cattolici impegnati in politica nelle democrazie costituzionali. La prima ha a che fare con un dovere di confronto e di mediazione con regimi di vario tipo, procurando preziose occasioni di pace anche laddove esse sembrino impossibili, oltre al dovere di tutelare con una necessaria prudenza gli spazi di libertà dei propri fedeli in regimi non democratici. I secondi hanno responsabilità diverse, di raccordo tra le democrazie costituzionali, che possono richiedere anche gravose decisioni di creazione di alleanze difensive, di risposte pronte e immediate ad aggressioni belliche con mezzi imperfetti anche di natura militare. Sarebbe non responsabile abdicare a tali responsabilità scegliendo forme di appeasement scambiando i livelli di impegno e di responsabilità., Nel 1949 Alcide de Gasperi e Giovanni Battista Montini, quest’ultimo figlio di un deputato antifascista, ritennero doverosa la scelta dell’adesione dell’Italia alla Nato, così come ritennero poi doverosa la scelta intrecciata del contributo alle istituzioni europee, in un mondo lacerato dalla frattura della Guerra Fredda. Altri autorevoli uomini di Chiesa e altri autorevoli politici cattolici erano di avviso diverso. La storia, però, diede chiaramente ragione a De Gasperi e Montini: sulle opzioni da loro difese si è raggiunta nei decenni una sostanziale unità delle forze politiche, anche di chi allora vi si era opposto. Di questo occorre tenere conto in tempi di conflitti internazionali perché non si parte mai dall’anno zero. Contro ricorrenti tentazioni di astratto neutralismo, che derivano da visioni di massimalismo etico, l’eredità degasperiana e montiniana, protesa alla ricerca del bene possibile, resta ancora del tutto feconda.

2 Comments

  1. Molto interessante ed approfondito il suo intervento Prof. Ceccanti ma sinceramente non sono così sicuro, relativamente alla questione della scelta italiana nel secondo dopoguerra di aderire alla NATO, di condividere pienamente l’affermazione che “la storia, però, diede chiaramente ragione a De Gasperi e Montini”. Non credo di essere un massimalista se ritengo le allora obiezioni di Giuseppe Dossetti non infondate anche con il senno di poi. Più in generale mi viene da pensare che, in caso di conflitto che non ci coinvolge direttamente, i cattolici dovrebbero lavorare, insieme agli altri uomini “di buona volontà”, al prevalere (o almeno alla sussistenza) delle iniziative di mediazione su quelle di sostegno ad una delle due parti (anche quando il bilancio dei torti e delle ragioni ci indurrebbe a scendere in campo a favore di uno dei due contendenti). Mi viene in mente a mo’ di esempio il drammatico conflitto israelo-palestinese: a che pro limitarsi a prendere le parti degli uni o degli altri se il vero obiettivo è la pace? E anche per quanto riguarda la guerra russo-ucraina: stiamo davvero lavorando per la pace o ci stiamo limitando a sostenere militarmente l’Ucraina?

  2. Sul perché avessero ragione De Gasperi e Montini e non le forze di sinistra e di destra che non voraono per la Nato e sul costo di quella divisione, ricomposta pienamente solo nel 1977, consiglio di leggere qui Giorgio Napolitano:
    https://www.corteappello.milano.it/documentazione/D_1530.pdf

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