La povertà interpella la democrazia

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 L’Italia è un Paese dove ogni giorno più crescono i poveri e vengono meno i presupposti della democrazia.  “Povertà” e “Democrazia” infatti sono due termini che non possono stare insieme, si elidono a vicenda, dove c’è l’una non può starci l’altra. Spesso convivono nella realtà politica di un Paese, ma marciano divisi perché non sono compatibili. L’Italia, per esempio, è un Paese spaccato a metà: i ricchi, tra cui coloro che vegetano sui privilegi (compresi i politici che nulla fanno per tagliarli o, almeno, per ridurli), e i poveri che ogni giorno si debbono contentare delle briciole che cadono dalla tavola di chi gode. Gli uffici di statistica sono tutti d’accordo nel fornire dati che denunziano lo stato in cui versano i cittadini: singoli, famiglie, anziani, giovani e, più indifesi di tutti, minori. Certo non tutta la popolazione è compresa, ma gran parte di essa e, ogni giorno che passa, crescono quelli che precipitano nella povertà. Lavoratori che perdono il lavoro, imprenditori sull’orlo della disperazione, giovani che non studiano né lavorano: è un continuo scivolare verso il basso! Fino a raggiungere il massimo (che poi è il minimo!) del degrado con il suicidio.

Anche il papa denunzia tale situazione, chiamando quasi per nome i poveri e spingendo i cristiani a superare ogni forma di egoismo e a lasciarsi guidare da sentimenti di misericordia, di solidarietà e di tenerezza. I suoi frequenti interventi, e in particolare la sua Evangelii Gaudium, mentre esaltano i poveri, denunziano le ingiustizie e gli sfruttamenti dovute alla globalizzazione dell’indifferenza, ed esige invece la globalizzazione della solidarietà.

La povertà, quando non è scelta di vita, intesa come deprivazione, deriva sempre dalla cattiva distribuzione della ricchezza. Oggi è un male generalizzato perche c’è la crisi; ma quasi sempre lo stato di povertà di alcuni è dovuta allo stato di ricchezza di altri. I neo-liberisti, antichi e moderni, esaltano la ricchezza e dedicano alla povertà, bontà loro!, un welfare compassionevole. Politiche improprie e idee sbagliate hanno funzionato molto bene, non certo per il Paese nel suo complesso, ma, dice Krugman, per un gruppo ristretto di persone molto ricche  e influenti. E questa non è democrazia! La politica, gestione della cosa pubblica e non semplice amministrazione dell’esistente, si occupa (dovrebbe!) della gestione del bene comune, cioè del bene di tutti e del bene per tutti. Nella società si può essere (un po’ meno) ricchi o (un po’ meno) poveri, dirigenti o semplici operai, grandi intellettuali o modeste casalinghe, ma tutti egualmente ‘democratici’. Perché la democrazia è il bene di tutti e tutti i cittadini concorrono a formarla e a difenderla, nel caso in cui qualcuno volesse ‘offenderla’. La democrazia è esigente, “non promette niente a nessuno, ma richiede molto a tutti” (Zagrebelsky).  Il processo di democratizzazione ha avuto inizio con il riconoscimento dei diritti civili, è proseguito con la conquista delle libertà politiche e continua con le libertà sociali. Esse comportano un livello minimo di benessere, una disponibilità di servizi essenziali per tutti e una democratizzazione della società secondo una logica antiautoritaria e antigerarchica. La estensione dei diritti civili ‘universali’ è alla base della democrazia. Robert Dahl sostiene che non soltanto occorre creare le condizioni per ridurre i possibili effetti avversi dell’uguaglianza sulla libertà, ma bisogna ridurre quelli sulla democrazia e sulla uguaglianza politica, che si hanno quando si produce una forte disparità nella distribuzione delle risorse.

La democrazia consiste nel raggiungimento dell’uguaglianza per tutti gli uomini, nel partecipare alle risorse politiche che consistono nella possibilità di ‘influenzare’ gli altri per mezzo delle informazioni, nel tempo e nell’intelligenza.Ugualmente necessita dell’occupazione e delle politiche attive del lavoro; delle conoscenze assicurate da una scuola e una università libere e capaci di garantire a tutti quella partecipazione responsabile che solo “una società della conoscenza” può dare; dell’assistenza sanitaria che garantisca il “diritto alla salute” voluto dalla Costituzione; della liberazione dalla fame e dalla miseria e dei diritti effettivi e di tutto ciò che rende la persona libera e autosufficiente.

Amartya Sen  osserva che il permanere di alti dislivelli di accesso alle risorse materiali di vita, priva la persona umana di un elemento fondamentale per la tutela e la realizzazione della sua dignità e le impedisce di usufruire della libertà, fondamento della democrazia. La povertà è la deprivazione di uno o più diritti civili, politici e sociali; la democrazia è l’esercizio di tutti i diritti per i singoli e per le comunità. E perciò che la povertà interpella la democrazia, perché essa non sarà mai “di tutti e per tutti” finché la povertà affliggerà anche uno solo degli uomini. Povertà e democrazia sono due concetti tra loro inconciliabili: o esiste l’una e manca l’altra, o cresce l’una e scompare l’altra: simul non stabunt!

 Salvatore Rizza

 

 

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