La liturgia silenziosa di Edith Stein

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Lella Costa è conosciuta soprattutto come attrice, anche se ha scritto diversi monologhi teatrali  pubblicati con un buon successo. Non pensavo però si spingesse fino ad affrontare una personalità di grande spessore filosofico e mistico, addirittura una suora di clausura: Edith Stein, santa Teresa Benedetta dalla Croce, eletta patrona d’Europa vent’anni fa ad opera di Giovanni Paolo II che l’aveva definita “figlia d’Israele unita a Gesù Cristo quale cattolica e al suo popolo quale ebrea”. Ne deriva un dialogo di piacevole lettura, interessante proprio perché si svolge tra due donne completamente diverse e l’autrice motiva questa scelta con tre considerazioni d’estrema attualità. Per il pensiero, nell’era dell’ignoranza. Per le donne, nel tempo delle discriminazioni. Per le appartenenze che fondano e nutrono l’Europa, nella tempesta del populismo. La prima citazione di Edith Stein non lascia dubbi sulle intenzioni fortemente laiche: “dipende tutto dall’amore, perché alla fine è sull’amore che verremo giudicati”. Ci sono momenti nella vita delle persone in cui le cose accadono e vengono chiamate epifanie, cioè svelamenti, indizi che hanno lavorato per anni in maniera sotterranea e improvvisamente emergono in superficie e si manifestano.

Per Edith il momento è stato quello della conversione al cattolicesimo attraverso il battesimo e la cresima, tra il gennaio e il febbraio 1921: come è potuta avvenire una scelta così radicale, se l’ebraismo è un’appartenenza profonda che dà senso alla vita e alla morte? Giura a sua madre che non smetterà mai di essere ebrea, non rinnegherà né tradirà mai il suo popolo. Probabilmente piangono parecchio, ma insieme, e insieme vanno in sinagoga. Da attrice, Lella immagina la scena, l’atto culminante, la finzione, l’epifania del racconto.

Siamo nel duomo di Francoforte, una donna semplice entra in Chiesa con il suo cesto della spesa non per assistere ad una funzione religiosa (come succedeva nelle sinagoghe o nelle chiese protestanti da lei visitate), ma per pregare in una sorta di colloquio confidenziale con Dio, senza bisogno di  liturgie. Edith nasce il 12 ottobre 1891, dodicesima figlia di una famiglia ebrea osservante, nella città prussiana di Breslavia. Da giovane sognavo fortuna e gloria, scrive, come una donna comune, nella sua autobiografia. Quando, nonostante le difficoltà familiari, si trasferisce a studiare all’università di Gottinga dove insegna il padre della fenomenologia, Edmund Husserl, promette alla madre di scriverle almeno una lettera alla settimana. Così farà fino alla fine. Durante la prima guerra mondiale si arruola come infermiera e sperimenta sul campo (misurandosi con le sofferenze del prossimo) il concetto di empatia (vedere il mondo con gli occhi degli altri) che stava studiando e che diventerà la sua principale ricerca filosofica. Nel 1916 discute la tesi di laurea a Friburgo e diventa assistente di Husserl, ma non otterrà mai, in quanto donna, la cattedra universitaria; nel 1919 l’università di Gottinga respinge la sua richiesta. Questo evento, l’esclusione dalla carriera accademica, è un punto che Lella Costa ritiene abbia avuto un peso notevole nelle  scelte di vita di Edith.

Il percorso verso il cattolicesimo non avviene, e non può avvenire, soltanto a livello intellettuale (legge con passione gli scritti della mistica carmelitana spagnola santa Teresa d’Avila), ma si immerge nella partecipazione alla liturgia e nella preghiera (tornare alla liturgia silenziosa: è questo il mio destino); va a messa ogni mattina nella Chiesa di san Michele a Breslavia. Dopo tante ricerche e riflessioni razionali sente un disperato bisogno di risposte, di certezze granitiche. Prende i voti nel 1933, già donna matura di 42 anni, col nome mutuato dalla santa spagnola, la sua preferita. Quando il 29 gennaio 1933 Adolf Hitler prende il potere e diventa cancelliere, Edith, profeticamente, intuisce il pericolo e le tragiche conseguenze. Scrive una lettera al Papa Pio XI: “Da settimane siamo spettatori in Germania di atti che comportano un totale disprezzo della giustizia e dell’umanità, per non parlare dell’amore del prossimo. Tutto ciò è accaduto da un governo che si definisce cristiano. L’idolatria della razza e del potere dello Stato non è un’aperta eresia? Ebrei e fedeli della Chiesa cattolica della Germania e di tutto il mondo aspettano e sperano che la Chiesa di Cristo alzi la sua voce per porre termine a tale abuso nel nome di Cristo”. Una lettera ricca d’implicazioni storico-politiche sul ruolo della gerarchia ecclesiastica, ancora, forse, da approfondire e dobbiamo ringraziare l’attrice Lella Costa di avercela ricordata.

Lo stesso anno, il 20 luglio 1933, ad appena tre mesi dalla lettera, il Vaticano firma il concordato con la Germania di Hitler. In Italia l’aveva firmato nel 1929, sette anni dopo la violenta ascesa al potere di Mussolini. Il 15 aprile 1934 diventa suor Teresa Benedetta dalla Croce. Alla fine del 1938 ottiene il trasferimento nel convento olandese di Echt, che però due anni dopo cadrà sotto il dominio hitleriano. 

Tra il 1940 e il 1942 comincia la deportazione e la carneficina di ebrei nei campi di concentramento e l’arcivescovo di Utrecht in una lettera pastorale condanna apertamente la persecuzione nazista. Edith, insieme alla sorella Rosa, pensa di fuggire in Svizzera, ma il 26 luglio 1942 viene dato l’ordine di arrestare e deportare anche gli ebrei convertiti. Il vescovo di Losanna firma l’invito formale a favore del trasferimento, ma il consolato di Berna respinge la domanda. Il 2 agosto la Gestapo si presenta al convento di Echt, il 7 agosto Edith e Rosa vengono caricate sul convoglio per Auschwitz e il 9 agosto muoiono nelle camere a gas. Una rapidità sconvolgente, la via crucis finale durata una settimana, come se il nazismo avesse bisogno della  morte di due monache inermi per affermare la propria criminale potenza. Nel settembre il consolato svizzero di Rotterdam invia l’autorizzazione del rilascio del visto, ma ormai è troppo tardi,  tutto è concluso.

La sua morte costituisce davvero un paradosso. Edith aveva rifiutato ben due volte la religione in cui era nata, prima con l’ateismo poi con la conversione. Aveva abbracciato con fervore la sua patria, ne aveva curato i feriti, ma la patria la uccide in quanto ebrea, lei che era cattolica. Lella Costa finisce il suo dialogo con la citazione delle bellissime frasi della poetessa ebrea, americana di origine portoghese, Emma Lazarus incise sul basamento della Statua della Libertà, accanto a Ellis Island: “Dateli a me i vostri poveri, gli stremati, i relitti miserabili delle vostre coste affollate. Mandateli a me, i senzatetto, i naufraghi, e solleverò la mia fiaccola accanto alla porta dorata”. In uno spettacolo teatrale, per seguire l’affascinante filo conduttore passato-presente, aggiungerei una scena finale: la voce del Presidente americano Trump che incita alla costruzione del muro lungo la frontiera col Messico, seguita dal grido di dolore dei disperati latinoamericani che vogliono oltrepassarlo.

Salvatore Vento

Lella Costa, Ciò che possiamo fare. La libertà di Edith Stein e lo spirito dell’Europa, Solferino, Milano, 2019, p. 126.

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